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Annella, un’anomalia del Seicento.

 

di Antonio La Gala

 

Un tratto dell’antica “via per colles”, che in epoca romana congiungeva l’area flegrea con il centro di Neapolis passando per il Vomero, e precisamente il tratto fra via Belvedere e Antignano, fino a poco fa, era interamente intitolata ”via Annella di Massimo”, toponimo, ora limitato alla parte più vicina ad Antignano.

Molti si pongono la domanda, alla don Abbondio: “chi era costei? Chi era questa signora di cognome Di Massimo ?” E in effetti lo sanno in pochi, per lo più fra chi se ne intende di pittura napoletana.

Questa signora era Diana De Rosa, una pittrice napoletana, nata agli inizi del Seicento, che è conosciuta come Annella di Massimo per la trasformazione del diminutivo Dianella in Annella. L’estensione “di Massimo” le deriva, poi, dalla collaborazione con Massimo Stanzione (1585-1658), nel cui studio entrò, dopo aver studiato in famiglia, in particolare con il fratello Francesco De Rosa, detto Pacecco (1607-1656).

Francesco e Dianella De Rosa erano figli del pittore Tommaso De Rosa, che morì nel 1612. La madre, per restare fedele almeno alla pittura e all’attività di famiglia, sposò un altro pittore, Filippo Vitale.

Tanto per cambiare qualcosa, Dianella sposò un altro pittore, Agostino Beltrano, detto Agostiniello, morto nel 1665. Il resto della biografia di questa pittrice sfugge e poco si sa di sicuro sulla sua produzione, anche se alcuni la ritengono un’artista di un certo rilievo.

Sappiamo che andò a bottega da Massimo Stanzione. Secondo il biografo settecentesco De Dominici, era "cara al maestro come collaboratrice in pittura, e, per la sua bellezza, come modella".

Come oggi (e sempre) càpita nell’ambito delle varie categorie professionali, così nel Seicento, nell’ambito della pittura, il mestiere se lo tramandavano in una stessa famiglia, per lo più da padre in figlio. Nel caso della pittrice che stiamo per conoscere, ci sono due varianti. Anzitutto perché stavolta il “figlio” avviato alla pittura era femmina: a quell’epoca “un pittore femmina” era cosa quasi inaudita, Annella costituiva una vera e propria anomalia; e poi perché i padri che le tramandarono il mestiere furono due, quello naturale e il patrigno acquisito.

Ad Annella di Massimo non si attribuiscono opere certe, forse perché le sue tele andarono distrutte in un incendio del 1638, oppure perché collaborava alle opere di Beltrano e  di Stanzione, ma senza completarle, o forse anche perché all'epoca non era usuale che le donne firmassero quadri, costituendo una pittrice un’anomalia sociale oltre che artistica.

In assenza di attribuzioni certe, le vengono accreditati dipinti che si trovano nel Museo Diocesiano di Napoli e nella chiesa napoletana della Pietà dei Turchini.

Stilisticamente viene ricordata come una pedissequa imitatrice del maestro.

De Dominici ipotizza che Annella fu uccisa dal marito, poi riparato in Francia, che sospettava, non si sa se a torto o a ragione, che Annella lo tradisse con il maestro Stanzione, ma alcuni documenti dicono che Annella morì di morte naturale nel 1643.

La figura che accompagna questo articolo è un autoritratto della pittrice.

(Gennaio 2019)