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Miti napoletani di oggi.76

“CERTE” MOSTRE

 

di Sergio Zazzera

 

E' stata allestita, di recente, nella sede napoletana delle Gallerie d’Italia (Palazzo Zevallos-Stigliano - via Toledo, 185), la mostra “David e Caravaggio”, che vorrebbe approfondire la dipendenza stilistica dell’artista neoclassico francese Jacques-Louis David da Michelangelo Merisi, il pittore italiano, forse, più celebre di tutti i tempi.


Nella mostra il raffronto è istituito fra La morte di Marat del primo e la Deposizione nel sepolcro del secondo, delle quali, però, sono esposte, rispettivamente, una replica eseguita dagli allievi e una copia realizzata da Tommaso De Vivo (1824).

Ed ecco il mito, con la premessa che il discorso dev’essere ritenuto applicabile a qualsiasi altra esposizione ispirata agli stessi criteri. Pur a fronte, infatti, di quanto teorizzato da Walter Benjamin (L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e società di massa, 1955), è legittimo dubitare dell’utilità di un siffatto genere di allestimenti espositivi, che offrono alla vista un “prodotto” (brutto vocabolo, ma non saprei quale altro adoperare) nel quale l’impronta personale dell’autore dell’opera originale è diluita da quella dell’esecutore della copia/replica. Il che, poi, è tanto più valido, quanto maggiore è la distanza cronologica fra l’originale e la copia/replica medesima; distanza che può avere determinato la formazione di nuove tecniche – stilistiche, ma anche materiali –, idonee a influire sul nuovo “prodotto”.

Nel caso in questione, poi, la mostra è completata dalla presentazione di altre opere di David, questa volta in originale, nonché da riproduzioni di dipinti suoi e del Caravaggio, le cui dimensioni sono state sensibilmente ridotte, il che consente di coglierne, pur se in maniera limitata, soltanto le analogie compositive. E, forse, a voler essere benevoli, potrebb’essere soltanto questa – e nessun’altra più – l’unica utilità di allestimenti del genere.

(Gennaio 2020)