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L’eruzione vesuviana del 1906

 

di  Antonio La Gala

 

Il 7 aprile del 1906, il giorno prima della Domenica delle Palme, il Vesuvio si ripresentò con una sua ennesima eruzione.

Di questa eruzione, oltre le cronache dell’epoca, abbiamo una testimone illustre: Matilde Serao, che visse quella vicenda con la passionalità che le era propria, recandosi sui posti quotidianamente e raccogliendo impressioni di orrore e dolore.

La lava di quella eruzione travolse Boscotrecase e minacciò Torre Annunziata, Somma Vesuviana, San Sebastiano, Ottaviano e San Giuseppe Vesuviano.

A Boscotrecase la pioggia di cenere durò ininterrottamente tre giorni e tre notti, facendo crollare molte case e causando quaranta vittime. Matilde Serao racconta che la lava si fermò a dieci metri dal quadro di Sant’Anna, la patrona del paese, portato in processione da una folla di fedeli. 

A Torre Annunziata, dove 30.000 persone (che costituivano i nove decimi della popolazione), avevano precipitosamente lasciata la città, la lava si fermò in prossimità del muro di cinta del cimitero, davanti al quadro della Madonna della Neve, patrona della città, anch’esso portato in processione da una folla di fedeli,

A Somma Vesuviana si fece vedere il re, a Ottaviano (o come si diceva allora Ottajano), comparve la duchessa d’Aosta. La Serao scriveva: “Qui rimase incolume fra tante sciagure, strano a dirsi, il palazzo avito dei principi di Ottajano, che domina ora solo e triste, tanto disastro”. Qualche decennio dopo da quel palazzo “solo e “tristo”, dominerà Raffaele Cutolo.

La duchessa d’Aosta, visitando poi San Giuseppe Vesuviano (è sempre la Serao che ce lo racconta), “s’inchinò sui cadaveri” estratti dalle macerie che “apparivano non sfracellati ma morti quasi per soffocazione, per asfissia e piamente pregò per essi”. Erano i cadaveri delle 200 persone che erano rimaste sepolte nel crollo di un oratorio mentre si stava svolgendo una funzione religiosa, e che non fu possibile soccorrere in tempo per le esalazioni del gas vulcanico. 

L’eruzione distrusse anche la famosa, e allora frequentatissima funicolare del Vesuvio, e la ferrovia costruita nel 1903 dagli inglesi Cook per far arrivare più comodamente i turisti alla stazione inferiore della funicolare, collegata alla stazione Pugliano/Resina della Circumvesuviana. La ferrovia, alla fine del 1907 era di nuovo in funzione; la funicolare riaprì nel 1909, rinnovata nel tracciato, negli impianti e nelle carrozze.

In occasione di quell’eruzione non mancarono episodi curiosi.

A Torre del Greco fu evitata un’ecatombe perché all’avvicinarsi della lava, un trombettiere a cavallo girò per il paese invitando tutti a fuggire, cosa che tutti fecero, affidando le case alla custodia dei soldati.

In più località alcuni si dettero a trafficare scatolette contenenti cenere del vulcano da vendere ai turisti, in qualche caso riempiendole con sabbia del mare invece della cenere.

L’eruzione toccò anche Napoli, dove crollò il mercato di Monteoliveto, seppellendo undici persone e ferendone una trentina.

A Napoli, come da collaudata tradizione, la città si rivolse a San Gennaro. La folla, atterrita, invase il Duomo, s’impadronì della statua del santo, e la portò in giro per la città. Si tramanda che, giunta la processione in via Tribunali, il cielo all’improvviso si rischiarò, cessò l’eruzione e riapparve il sole.

Lo sterminator Vesevo si calmò, e stette calmo per una quarantina d’anni. Le nostre generazioni le sta lodevolmente rispettando più a lungo.

(Febbraio 2020)