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L’avvocato della camorra

 

di Luigi Rezzuti

 

Non era stato facile per Alberto frequentare l’università e laurearsi in legge. I suoi ce l’avevano messa tutta, spendendo fino all’ultimo centesimo per consentirgli di raggiungere quel traguardo. Dal canto suo, si era impegnato all’estremo delle forze per vedere i sacrifici ripagati, almeno in parte, da quel primo successo.

Subito dopo cominciò l’altro calvario, quello della ricerca di uno studio legale che gli consentisse di superare l’esame di Stato, per l’iscrizione all’albo e l’esercizio della libera professione.

Per fortuna un affermato studio legale si era dichiarato disponibile ad accogliere il giovane praticante.

Poi ci fu il colpo di fortuna quando si presentò il caso della difesa di un gruppo di giovinastri, sorpresi in una rissa, senza, però, grosse conseguenze.

L’incarico fu affidato a lui ed egli riuscì ad escogitare una serie di cavilli, che gli consentirono la rapidissima assoluzione dei ragazzi.

Quello che nessuno avrebbe mai potuto prevedere fu che uno dei sei giovani era il figlio di un elemento di spicco di una famiglia malavitosa del territorio.

L’abilità di Alberto fece presto il giro di quegli ambienti e, in poco tempo, si trovò a realizzare tutti i suoi sogni, dallo studio tutto suo ad una serie di incarichi che, in breve, gli procurarono fama, successo e danaro.

L’unica nota stonata era la fama di difensore della malavita, che presto gli fu affibbiata e che sostanzialmente corrispondeva alla  verità, ma ci mise poco ad abituarsi e quasi a godere nel sentirsi definire, nella migliore delle ipotesi, “consigliere di Satana”, per l’abilità con cui riusciva a scovare i cavilli più assurdi per scagionare da ogni accusa persone colpevoli di reati, anche gravissimi.

La frequentazione di certi ambienti lo portò a guardare le ragazze di quelle famiglie ed in breve, anche su quel fronte, si trovò ad essere l’oggetto misterioso di desideri inconfessabili, finche gli occhi di Concetta lo inchiodarono e si fidanzarono, ma fu necessario adeguarsi ai dettami della famiglia, legata a norme e limiti arcaici. Fra questi il più importante era che Concetta doveva arrivare al matrimonio come la mamma l’aveva concepita.

Infatti, ogni sabato e domenica era ospite della famiglia di Concetta ma non dovevano uscire di casa e l’unica cosa che rimaneva era quella di guardare la TV.

Il padre di lei era uno degli uomini più potenti della “Sacra famiglia”, il capo riconosciuto dalla malavita, che torturava e ammazzava le sue vittime quasi col sorriso sulle labbra.

Alberto, cosciente di questa realtà, non si azzardava neanche per un attimo a pensare di rompere il fidanzamento, ma nemmeno rinunciava a dare la caccia a ragazze, fossse anche per una serata.

Il tempo libero da impegni di lavoro lo trascorreva volentieri in locali “allegri”, dove la sua fama di “consigliere di Satana” assumeva il fascino del vietato, dell’avventura, del proibito e molto spesso era un elemento favorevole per le sue conquiste.

Una sera, in uno di questi locali, conobbe Floriana, la classica ragazza di famiglia piccolo - borghese.

Floriana, dopo gli esami di maturità si era iscritta all’università ma, avendo trovato difficoltà, era arrivata all’età di trent’anni senza laurearsi.

A seguito dei problemi economici, che avevano messo in ginocchio la famiglia, era andata alla ricerca di un lavoretto, possibilmente part-time, col  quale mantenersi all’Università e far fronte alle necessità quotidiane.

Dal punto di vista sentimentale, non sapeva scegliere se considerarsi una stupida, che aveva fatto molti errori, per scarse capacità di riflessione, o una sfortunata, che non ne aveva imbroccata una buona. Si sentiva, soprattutto, assai incapace di far fronte alle disavventure della vita. Inoltre, non sembrava essere consapevole della sua bellezza, mentre  dagli altri era considerata indiscutibilmente bella.

Senza un valido curriculum e senza grandi prospettive, alla fine aveva accettato un lavoro come assistente barman in un pub.

Fu qui che incontrò Alberto e, dopo averlo preso un po’ in giro per la definizione di “consigliere di Satana”, aveva intrecciato con lui un rapporto che la rendeva felice di comunicare con una persona di una cultura certamente superiore alla sua.

Floriana, però, si sentiva ancora innamorata di un uomo, col quale aveva rotto solo da pochi mesi e che, comunque, non riusciva a dimenticare perchè sapeva di averlo amato, pur se non ricambiata.

Intanto Alberto era condizionato dalla fidanzata, che non poteva lasciare, altrimenti sarebbe successo il finimondo con la sua famiglia di camorristi.

Floriana era molto attratta da Alberto e lui da lei, al punto da sentirsi spinto sempre più decisamente verso il “colpo di testa”, dietro il quale, però, egli sapeva bene che non c’era solo la gelosia di Concetta ma tutto quel mondo perverso che egli stesso rappresentava, sia nella vita privata che in quella professionale.

Anche Floriana era combattuta tra la volontà di portare avanti, ad ogni costo, quel sentimento e il rischio di scontrarsi con qualcosa di indeterminato e di difficile, dai contorni sfocati. Le ragioni della prudenza le suggerivano di rinunciare, a meno di non diventare la sua amante segreta, nella vana speranza che la fidanzata, poi,  lo lasciasse libero.

Intanto Alberto aveva finito con l’essere quasi parte dell’arredamento del locale, per la sua presenza costante in esso. Voleva incontrarla, vederla, regalarle fiori, dedicarle attenzioni.

Una sera Floriana cedette all’assiduo corteggiamento e accettò di andare nello studio di Alberto, dove egli, nei locali retrostanti l’ufficio, aveva predisposto un piccolo salottino.

Senza dubbio, non era una sprovveduta, sapeva perfettamente a cosa preludeva quell’invito.

Alberto, infatti, dopo aver chiuso la porta dell’ufficio, l’avvinse a sè in un appassionato bacio, degno della migliore letteratura cinematografica.

Floriana sentì immediatamente salire alla testa fiamme più vive di quelle dell’inferno. Non è difficile immaginare il resto…

Quasi all’alba Floriana sentì un’auto fermarsi sotto le finestre dell’ufficio di Alberto. Certamente erano gli addetti alle pulizie e si rese conto di dover andare via,prima che l’ufficio fosse aperto, mentre per Alberto farsi trovare addormentato nell’ufficio poteva essere giustificato da un eccesso di lavoro.

La ragazza si rivestì in fretta e scappò a casa. Qui nessuno le chiese dove aveva trascorso la notte e, solo quando ebbe dormito qualche ora, svegliatasi per il pranzo, si rese conto pienamente di quello che era successo, ma ormai era accaduto e non le restava che accettare di aver commesso, forse, un altro errore.

Alberto, intanto, accentuò la sua corte pressante diventando ancora più assiduo nel pub e al suo bancone di lavoro, ma soprattutto aspettandola ogni volta all’uscita ed insistendo per passare dall’ufficio prima che tornasse a casa per poi sgattaiolare via all’arrivo degli addetti alle pulizie.

Floriana si rese conto che la giornata non  bastava più per tutto quanto doveva fare: studio, lavoro, famiglia, mentre il rapporto con  Alberto le creava molta ansia nella difficoltà di gestire questo stato d’animo e tutto il resto.

I problemi arrivarono presto perché la presenza di Concetta incombeva minacciosa, non solo per lui, che comunque se ne fregava, ma soprattutto per Floriana, che intravvedeva quasi l’ombra di un fantasma.

Alberto aveva pensato di farle cambiare lavoro per poterla vedere più spesso perché ormai gli era entrata nel sangue e non solo perché decisamente più bella di Concetta ma anche perché più intelligente, aperta e capace di passare ore a dialogare, spesso anche contrastandolo con garbo ed acume. Insomma con lei stava benissimo, anzi avrebbe voluto metterla in condizioni di poterle dedicare più tempo possibile.

Pensò, infatti,  di assumerla nel suo ufficio. Sarebbe stata la cosa ideale, ma la sua presenza avrebbe potuto insospettire ancora di più Concetta, con tutte le conseguenze prevedibili ed ipotizzabili.

Risolse, invece, il problema chiedendo ad un collega di assumerla come segretaria per poterle assicurare un reddito adeguato, certamente superiore a quello garantito dal lavoro al pub, ma soprattutto con orari decenti e la possibilità di dedicarsi alla sua vita e agli studi universitari.

Cominciò così per Floriana una stagione di grande entusiasmo con lo stipendio più alto, che le permise anche di cambiare finalmente l’auto.

Ogni tanto Alberto le faceva importanti regali, che Floriana accettava sempre con qualche difficoltà perché, in questo modo, si sentiva una “mantenuta”.

Egli le comprò, poi,  un piccolo appartamento, dove potersi incontrare in piena libertà.

Tanta felicità, tanta gioia di vivere non potevano passare inosservate. Le malelingue non mancarono di riferire tutto a chi di dovere, in primis a Concetta, che cominciò a vivere con profondo dolore il ruolo della donna tradita, nonché quello della eterna  promessa sposa, affibbiatole dalla famiglia, a cui non poteva sottrarsi. Ormai per tutti era chiaro che doveva diventare la moglie del pupillo del “Boss” mentre la notizia dell’ “altra”era di dominio pubblico.

Per Alberto poche cose erano cambiate, ma si sentiva a disagio sul piano della professione, dovendo cercare tutte le scappatoie più indegne per ribaltare situazioni evidenti e rendere  i camorristi innocenti e “rispettabili”

Egli teneva in gran conto gli umori della famiglia di Concetta, anche se il rapporto di fiducia, che aveva col grande capo, gli dava la quasi certezza di essere un “intoccabile”.

Lo stesso “Boss”, in un colloquio privato, tenuto in carcere per un processo in cui era  imputato, gli aveva assicurato che era al riparo da qualunque iniziativa del “clan” e che il discorso valeva anche per i suoi familiari.

Alberto non aveva fatto caso, però, alla puntualizzazione e non si era reso conto che, dalla garanzia, restava esclusa Floriana che, per la famiglia di Concetta e agli occhi di tutti, era una estranea e, dunque, “sacrificabile”.

Alberto quella mattina era uscito alla solita ora  per andare in Tribunale a seguire il processo importante di cui si occupava.

Passò per l’edicola dove comprava i giornali ma non fece caso all’aria sfuggente con cui l’edicolante lo guardò e notò a malapena, in un riquadro in prima pagina, la notizia di una macchina incendiata in una strada vicina.

Cominciò a riflettere sugli sguardi della gente e gli apparvero chiaramente come sguardi, quasi di compassione. Li riscontrava in tutti gli ambienti da lui frequentati, a cominciare dal bar, dove si fermò, come sempre, per fare colazione.

Aprì il giornale e, in cronaca, gli balzò dinanzi agli occhi la foto dei resti bruciati di una macchina. La targa la conosceva molto bene...

Il titolo parlava dell’incendio doloso di un’auto con dentro una ragazza, che ben conosceva per averla amata e per amarla ancora con tutto se stesso.

Sentì il cuore battere forte e venirgli meno il respiro.

Floriana era morta, bruciata nella sua auto, per mano di qualcuno che aveva voluto realizzare una vendetta.

Un velo si calò sugli occhi e, per un attimo, si sentì di morire. Poi l’abitudine ad affrontare situazioni di emergenza, difficili e spesso pericolose, ebbe la meglio, mandò giù quel caffè che gli sembrò più amaro che mai, si stampò in faccia un sorriso e decise di chiedere conto di quel gesto alla famiglia di Concetta e di rompere il fidanzamento, che ormai gli pesava più di una catena al cuore.

Poi pensò di non fare più l’avvocato difensore ma di diventare collaboratore di giustizia e, con i dati e i documenti a sua disposizione, creare, nell’organizzazione della “sacra famiglia” una tempesta tale da mandare in galera una grossa fetta del clan, a cominciare da Concetta e dai suoi familiari, senz’altro mandanti dell’uccisione di Floriana.

Per puro scrupolo professionale si fece fissare un colloquio col giudice che conduceva il processo alla “sacra famiglia” e indagava sugli affari della camorra, ma si rese conto che valeva poco la sua deposizione perchè, col tempo, la famiglia avrebbe trovato il modo di fargli pagare la sua dichiarazione. Infine il ricordo, ancora così vivo e penoso, della tragica fine di Floriana lo spinse a sentirsi più sicuro col ricorso ad un gesto clamoroso.

Entrò nell’aula del tribunale, dedicata al processo alla “sacra famiglia” e ai suoi accoliti, prese posto al tavolo della difesa, ma non indossò la toga e, sotto lo sguardo meravigliato di tutti, chiese ed ottennee dal giudice il permesso di avvicinarsi per conferire.

Depose la toga sul tavolo della presidenza e dichiarò che, per sopraggiunte divergenze con i camorristi, rinunciava a rappresentarli e rimetteva agli imputati la facoltà di procurarsi un nuovo avvocato difensore.

Dalla zona, dove gli imputati erano raccolti, si levarono le peggiori ingiurie possibili e il giudice fu costretto a far intervenire la polizia per placare gli animi.

Uno dei componenti della “sacra famiglia” chiese di  conferire con Alberto e gli disse che il “boss”non avrebbe  accettato la sua rinunzia e che  doveva stare attento a non farlo.

Alberto, a quest’ultima minaccia, confermò la sua decisione al giudice e al componente della “sacra famiglia” rispose: “Avverti il tuo padrone che la mia difesa è totale solo con i veri amici ma, quando mi deludono, li affido agli altri. Buona permanenza in carcere al tuo padrone e a te”.

Uscì, quindi,  dall’aula finalmente sereno e gli sembrò che intorno a lui volasse un angelo con le sembianze di Floriana.

(Aprile 2020)

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