Pensieri ad alta voce
di Marisa Pumpo Pica
Addio al mio Maestro, Aldo Masullo
Si è spenta una voce critica nella nostra città
Chi mi conosce o ha avuto modo di leggermi, qualche volta, sulle colonne di questo nostro periodico, sa quanto mi sia difficile parlare di una persona cara che ci lascia. Oggi più che mai. In tanti hanno parlato di Aldo Masullo sulle colonne della stampa quotidiana e da tutti sono state espresse parole di grande stima ed ammirazione, oltre che di vivo e sentito cordoglio, e sarebbero sufficienti a dare una sia pur pallida idea di quello che ha rappresentato nella vita culturale e politica della nostra città. Ad esse rinvio i nostri lettori. Mi piacerebbe, inoltre, ricordare quella bella intervista rilasciata, anni fa, ad Antonio Gnoli per le pagine culturali de la Repubblica. Il titolo è quanto mai attuale in questo momento: La filosofia mi ha insegnato che nessuno di noi si salverà da solo. Una frase che è il punto nodale e di approdo di quella Etica attiva della salvezza, a cui si appellava come uomo e che è l’essenza stessa della sua vita e del suo insegnamento. Ed è il ricordo del Maestro che io qui vorrei rivivere insieme ai miei lettori.
Tu sei lo mio maestro e il mio autore… e qui mi fermo per non essere tacciata di immodestia. È stato da più parti ricordato che Egli ha formato intere generazioni. Ed è così, ma quello che non tutti forse sanno è come egli ci abbia formato: con la forza di una dialettica serrata e al tempo stesso ricca di passione civile, con un linguaggio sempre rigoroso e non privo, talvolta, di una sottile ironia, che era, in definitiva, il suo modo di guardare al mondo e alla vita, di insegnarci a provare la vita, dove in quel provare, al quale egli ci conduceva, erano impliciti tutti i sacrifici, le battaglie, le scommesse della vita. E noi, suoi allievi, oltre che alle lezioni, accorrevamo ad affollare in tanti i suoi seminari, momenti indimenticabili nei quali non ci stancavamo mai di ascoltarlo, sposando sempre, e non per pura concessione, le sue idee, condividendo le sue argomentazioni, sempre stringate e frutto di indiscutibile coerenza. Ai suoi seminari, noi allievi non eravamo più gli studenti chiassosi e magari un pò distratti, come accadeva per le altre lezioni, ma ci sentivamo ragazzini timidi ed impacciati, che pendevano dalle Sue labbra. Poi, ascoltandolo giorno dopo giorno, accadeva la metamorfosi e ci ritrovavamo d’improvviso maturi ed adulti, ma soprattutto liberi, in anni in cui Egli era “Il Rosso” per il colore dei capelli e delle idee. Avvertivamo un vento nuovo di libertà e di dinamismo in un ambente universitario forse ancora un po’ chiuso, pur se di grande prestigio, in cui imperavano il diktat tomista di Petruzzellis, la ferrea disciplina di Arnaldi, il rigore di Pontieri o di Cortese! Con Lui, che era stato allievo appassionato del grande avvocato penalista, Alfredo De Marsico, (nei suoi studi di giurisprudenza, per la seconda laurea, conseguita nel 1947), imparammo cosa significasse portare avanti una tesi ed essere convincenti, grazie al fascino di una parola rigorosa, ma suadente al tempo stesso. Imparammo anche a lanciare e ad accogliere sfide. Io lo imparai sulla mia pelle, quando mi recai da Lui per chiedergli la tesi e, dopo che avevamo studiato Fichte e l’Idealismo, Sartre e l’Esistenzialismo, Husserl e la Fenomenologia, mi vidi assegnata una tesi su Antonio Labriola, di cui, in quegli anni, non si sapeva assolutamente nulla, salvo che era stato colui che aveva introdotto, attraverso l’allievo Benedetto Croce, il marxismo in Italia. Accettai la sfida, questa, ma non l’altra, quando, nel puntualizzare il titolo della tesi, sapendo del mio legame affettivo con Donato Pica, l’uomo, che poi sarebbe diventato mio marito, e che era anch’egli suo allievo, mi chiese, istrionico e sornione come sempre: “Ha intenzione di sposarsi, dopo la laurea? Non lo faccia subito, così di corsa. Non volti le spalle alla cultura accademica”. Era già dura la prima sfida, per accettare la seconda. Mi sposai, mi dedicai all’insegnamento, ai figli, alla famiglia e, dopo svariati anni, mi volsi ai tanti interessi e alle tante altre sfide che la vita mi diede l’opportunità di cogliere. E ci ritrovammo di nuovo in diversi contesti culturali. Fu mio ospite come relatore, in eventi organizzati dal Centro culturale Cosmopolis, che intanto avevo fondato, ed ebbe per me parole di grande stima quando, con una bellissima relazione, presentò un mio romanzo presso la libreria Guida di Via Merliani.
È stato ancora mio ospite presso alcuni salotti culturali, come quello della duchessa Melina Pignatelli della Leonessa. E qui, nell’introdurlo per la sua conferenza su “Mezzogiorno d’Europa” gli riservai la sorpresa di declamare una mia poesia, scritta per Lui tempo addietro, nella quale credo di avergli dimostrato tutto il mio affetto, la sincera stima e l’ammirazione che ho sempre nutrito per questo mio Maestro. Un grande ingegno, un grandissimo comunicatore, un’eccellenza napoletana, anche se nativo di Avellino. E ben a ragione il nostro sindaco, Luigi De Magistris, lo aveva insignito della cittadinanza onoraria, riconoscendogli “lo straordinario contributo offerto alla crescita culturale e sociale del capoluogo partenopeo”. Nel manifestare, oggi, il suo vivo cordoglio alla notizia della scomparsa di Aldo Masullo, egli non esita a definirlo “Uno dei più grandi filosofi del secondo Novecento, di altissimo profilo etico, di profondo rigore intellettuale, ricordiamo le sue lucide analisi politiche fino ai giorni scorsi. Un faro per tanti, un solidissimo punto di riferimento della cultura partenopea”.
Quest’anno, poi, ha voluto dedicargli l’apertura del Maggio dei Monumenti, in precedenza già dedicato a Giordano Bruno, quel filosofo da Masullo tanto amato per aver testimoniato la forza del libero pensiero, che non si piega alla violenza del potere. Per tale ricorrenza, il sindaco dichiara: “Facciamo uno sforzo di buona volontà perché la sua potente lezione morale, la sua eredità intellettuale e la sua straordinaria testimonianza di passione civile restino più a lungo possibile con noi”.
Mai monito ci è parso più in linea con l’insegnamento del nostro Maestro.
Qui di seguito la mia poesia, declamata per Lui al salotto della duchessa Melina Pignatelli della Leonessa.
Per il Prof. Aldo Masullo
Egregio Professore,
ripenso, in certe ore,
ai "fasti" del passato,
mai più dimenticato,
quando, giovane ancora,
nell'euforia dell'ora,
timida e trasognata
- ancor non immolata
sull'ara familiare -
venivo ad ascoltare
il suo filosofare.
L'ingegno vigoroso
e la parola bella,
lo stile rigoroso,
la limpida favella
ci rendevano attenti
ad ogni Sua opinione,
sollevando le menti
da qualche aberrazione
di facile lettura,
fatta con poca cura.
Ricordo... Quelle ore,
mio caro Professore,
ci rendevano paghi
e sol di studio vaghi.
Oh! Le ricordo, sì,
perchè, con gran passione,
tra Marx e Platone
dividevo i miei dì.
E li divido ancora,
ma non è certo facile
nell'equilibrio fragile
che m'impegna ad ogni ora,
sfruttando senza posa
la mente e la parola,
tra lo stress di casa
e la "routine" di scuola.
Si chiederà chi sono
e dei versi il perchè.
Rispondo: sono un dono
da serbare per Sè,
segno di simpatia
per chi seppe "iniziarmi"
alla Filosofia
e tanta gioia darmi
negli studi di allora,
frutto di nostalgia
per chi ricorda ancora
la propria giovinezza
e i sogni nel cassetto,
che urtan con l'assetto
dato alla propria vita.
La vedo incuriosita.
L'ultimo nodo sciolgo
e col pensier La volgo
all'autor trattato
nella mia tesi e a volte
un tantino ignorato
anche da menti colte.
Antonio Labriola
Anno Sessantadue.
Si perde la parola.
Ben più che trentadue
gli anni da ricordare
e da ricostruire.
Un nome devo fare?
Lo devo proprio dire?
Sì, son davvero molti
i nomi, gli anni, i volti...
Una Sua allieva sono,
che qui vuol farLe dono,
con devozione e stima
di versi in magra rima,
seguendo il proprio estro
nel volgersi al Maestro
che all'Università
ci avvinse col Suo dire
e seppe in Sè riunire
Cultura e Umanità.
MARISA PUMPO PICA
Napoli, 10 maggio 1997
(Maggio 2020)