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Pittura nel Seicento al Vomero

 

di Antonio La Gala

 

Quando si parla di pittori "vomeresi" il pensiero va subito ai protagonisti del mondo artistico figurativo collinare fiorito a partire dagli ultimi decenni dell'Ottocento, dalla nascita del Vomero del Risanamento, fino ad esaurirsi, progressivamente, attorno alla metà del Novecento, come, per esempio, Casciaro e Pratella.

Questo è il periodo che corrisponde al sorgere, risplendere e poi affievolirsi di quella specifica e irripetibile identità socio-culturale che caratterizzava in positivo il quartiere collinare nell'immaginario collettivo napoletano, la cosiddetta "vomeresità", oggi sopraffatta dal degrado standard partenopeo e rievocata con accorata nostalgia nei ricordi di quanti l'hanno conosciuta.

Ma in precedenza, fin dal Seicento, il Vomero già aveva incontrato il mondo della pittura, un incontro veramente "alla grande". Infatti lungo tutto il Seicento salirono in collina con pennello e tavolozza le più brillanti star della pittura allora presenti sulla scena napoletana, e anche “forestiera”. Qualche nome: Guido Reni, Lanfranco, Massimo Stanzione, Ribera, Solimèna, De Mura, Battistello Caracciolo, Luca Giordano, Andrea Vaccaro, Corenzio. Essi, salendo in collina, non immaginavano che alcuni secoli dopo la toponomastica vomerese vi avrebbe fatto circolare i loro nomi quotidianamente e per sempre. 

Ma, per la verità, va detto che i citati sommi maestri non salivano in collina per ritrarre la bellezza agreste del luogo o per risiedervi in compagnia dei pochi contadini che vi abitavano. Le star di qualsiasi settore vanno sempre dove cresce la loro visibilità e, in particolare, dove si guadagna bene, anzi molto bene. Nella fattispecie degli artisti dell'epoca, dette opportunità erano assicurate dalla committenza legata alla costruzione o all’abbellimento di chiese e conventi. Fu in collina che gli artisti sopra ricordati trovarono tale committenza, peraltro di altissimo livello: quella dei monaci certosini che stavano trasformando la Certosa di San Martino, che mostrava i segni dei suoi secoli, nello splendido monumento che oggi ammiriamo.

In effetti la Certosa (come la vicina fortezza di Santelmo), nei secoli passati costituivano delle realtà di fatto chiuse in se stesse ed estranee alla vita collinare, e pertanto questo esordio della pittura in collina si svolse al di fuori di ogni vero legame fra gli artisti e il luogo, anche per la natura specifica del lavoro da eseguire, cioè temi di carattere religioso all'interno di un cenobio.

Nel frattempo, però, nel 1615, l'Arenella dava i natali ad un pittore il cui nome è rimasto ai piani alti della storia dell'’arte: Salvator Rosa, Salvatorello”.

Prendendo motivo dal suo luogo di nascita, i vomeresi ne fanno con orgoglio un fiore all'occhiello delquartiere, perché lo ritengono forse il personaggio più famoso fra i nati in collina, l'unico “vomerese” che ha acquisito fama storica oltre il confine cittadino.

Ancora per la verità, credo che questa affermazione vada assoggettata a “revisionismo” perché Salvatorello, sebbene si sia formato artisticamente a Napoli, poco più che ventenne scelse di vivere la sua vicenda umana e artistica non a Napoli ma a Roma, accasandosi a Trinità dei Monti, e una decina d'anni a Firenze.

Ed è a Roma che ha avuto sepoltura monumentale, nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, con un alto elogio, che tradotto dal latino suona: "non secondo a nessuno dei pittori del suo tempo, pari ai principi dei poeti di ogni tempo".

Tuttavia Salvator Rosa, pur vivendo ed operando altrove, conservò un'anima partenopea, che si può leggere anche nella sua pittura, negli sguardi dei ritratti e autoritratti, nelle pennellate vivaci. Comunque nella produzione di Salvator Rosa i soggetti ispirati a Napoli, e in particolare alla sua natia collina, in sostanza si limitano a qualche rappresentazione di anonimi luoghi naturali dipinti negli anni giovanili.

Assecondando l’idea che Salvator Rosa sia il fiore all’occhiello del Vomero-Arenella, all’artista è stato dedicato l'unico monumento (in formato mignon, alta 110 cm., opera di Achille D'Orsi), che adorni una piazza della collina, piazza Muzii, dopo essere stato in piazzetta Arenella, davanti la Parrocchia di Santa Maria del Soccorso, ubicazioni scelte perché si ritiene che la casa natale dell'artista si trovasse di fronte alla citata parrocchia.

Dopo le “sue glorie” artistiche qui illustrate, il Vomero dovrà aspettare ancora del tempo prima di ospitarne altre, veramente legate al quartiere.

(Ottobre 2020)