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Addio vecchio medico

Pensieri ad alta voce

di Marisa Pumpo Pica

 

Addio, vecchio medico

 

Addio, vecchio medico dei tempi andati!


Ti chiamavi, allora, medico condotto perchè avevi la condotta medica di un circondario, piccolo o grande che fosse: borgata marina, attraversata dal libeccio o dalla bora, villaggio montano, chiuso tra vallate brulle e deserte. Eri, fin dal Medioevo, un ufficiale medico, un dipendente del Comune.

Accorrevi dovunque ti chiamassero e con qualunque condizione atmosferica, affrontando giorni infuocati dal torrido sole o inverni gelidi, tra raffiche di vento e bufere di neve.

Pronto e sollecito al richiamo d’aiuto. Sempre consapevole dei tuoi doveri perché sentivi che a te era assegnato un compito irrinunciabile: gestire la salute di un intero nucleo umano, un bene prezioso. Affidato a te. A te e a nessun altro…fuorchè a Dio…

Accorrevi, solerte e premuroso, pronto ad affrontare gli umori più vari. Spesso sorridente, talvolta burbero, ma solo in apparenza. In sella alla vecchia mula o sul disastrato, traballante calesse. Traballante un pochino anche tu, per aver bevuto un bicchiere di troppo. Qualche sera poteva accadere.

Ma arrivavi. Anche a piedi, quando il percorso era troppo accidentato per essere attraversato da qualunque mezzo.

Giungevi ansante e tranquillizzavi tutti col tuo vocione sereno e rassicurante.

Eri medico generico, eppure, all’occorrenza, sapevi essere cardiologo,  ortopedico, chirurgo e perfino ginecologo ed ostetrico, se, giunto  al capezzale di una donna, con doglie violente, al termine della  gravidanza, si rendeva necessario far nascere quel bimbo scalpitante, che chiedeva di venire al mondo.

 

Cara, vecchia figura di medico, che credeva in sè e nella professione, alla quale si era dedicato anima e corpo, fin da giovane. È scomparsa, ormai. Si è dileguata nel nulla. Possiamo ritrovarla soltanto nei versi dei poeti o in qualche vecchia pellicola cinematografica, che ancora c’intenerisce e commuove, per la forte carica di abnegazione rappresentata.

Poi, gli scenari sono cambiati. E molto in fretta.

Si è passati al medico della mutua, ben caratterizzato dal nostro grande Alberto Sordi, l’Albertone nazionale (ricordato con tanto affetto, in questi giorni, anche per la sua casa-museo.) Fu un film straordinario, per la regia di Luigi Zampa, in cui la nuova figura del medico, affarista e con pochi scrupoli, tratteggiata con sottile ironia,  sembra lasciarsi definitivamente alle spalle l’indimenticabile vecchio medico condotto. Successivamente, con l’l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, (Legge n. 833 del 23 dicembre 1978) nasceva il medico di medicina generale, ovvero, medico di famiglia  o, nel linguaggio comune, medico di fiducia e, in quello giornalistico, medico di base..

Oggi, in piena pandemia da Covid-19, si parla molto di medicina del territorio, che, però, fa acqua da tutte le parti anche - bisogna riconoscerlo - per una politica allo sbando che, per anni, ha tagliato i fondi alla sanità pubblica, a tutto vantaggio del privato.

Nel fiorire delle polemiche, il medico di base si dibatte fra discussioni su competenze e sentenze del Tar, con i suoi 1.500 pazienti, che gli forniscono un ottimo alibi per non entrare in lizza e non prenderne in carico seriamente nessuno. Manca, dunque, chi dovrebbe fronteggiare la morsa negli ospedali, presi d’assalto da pazienti disperati. Ma il medico di base nulla sa, nulla gli spetta ed aspetta che altri gli dicano cosa gli compete fare, districandosi abilmente fra norme e pandette. Esiste, eccome!, ma solo sulla carta, una medicina del territorio, rappresentata, appunto, da queste figure professionali, che dovrebbero svolgere una funzione di filtro, preoccupandosi di affiancare, con la loro opera, il  personale sanitario, ormai sotto stress, negli ospedali.

Ma, ci dicono, mancano strutture logistiche più adeguate, rispetto al piccolo studio medico, nonchè attrezzature e presidi di protezione, per la salvaguardia personale. Ed anche questo è vero. Eppure, ci chiediamo: quando andava in vecchi casolari sperduti, abbandonati spesso al degrado igienico-sanitario, il medico condotto di un volta si chiedeva, prima di entrare, se gli competeva curare una tubercolosi, un tifo, una malaria o una qualunque altra malattia infettiva, di cui, magari, ignorava origine e causa? Tornava forse indietro dicendo: “Ho sbagliato strada, questo non è il posto giusto e devo accertare se mi compete entrare qui per alleviare le vostre sofferenze.” No, il medico condotto andava dovunque, nelle situazioni più disparate e faceva quel che poteva, accettandone tutte le conseguenze, per sé e per gli altri…

Si levava dal suo desco, talvolta anche a sera inoltrata, dopo la frugale cena con zuppa di fagioli ed un bicchiere di troppo, per fronteggiare il freddo che, insidioso, gli serpeggiava lungo la schiena. E andava alla ventura, dove il bisogno chiamava, senza perplessità né tentennamenti.

E intanto ora, in tutto il mondo,“il morbo infuria”, per dirla con le parole di un poeta. Il Covid imperversa e non  guarda in faccia nessuno. Non risparmia nessuno.  

Almeno un’opera di informazione la potrebbero svolgere, fra i loro 1.500 pazienti, questi medici di base, rendersi reperibili per suggerimenti, consigli o soltanto per una parola di conforto. Potrebbero anche, in ultima analisi, essendo diventati così bravi ad interpretare norme, leggi, codicilli e pandette, informare a dovere, i loro assistiti, su diritti e prerogative, anche in casi di infortuni, disabilità ed invalidità varie.

Già questo varrebbe a dire che esiste una medicina del territorio…

Per amore della verità, non possiamo chiudere queste nostre brevi note senza riconoscere, tuttavia, come le cronache di questi giorni ci hanno dimostrato, che alcuni medici di famiglia non si sono tirati indietro, hanno avverttito il peso delle proprie responsabilità e più di uno, fra loro, ha finito col pagare, anche con la vita, il dovere della cura e dell’assistenza ai pazienti.

(Dicembre 2020)

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