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Testimonianze artistiche nel borgo dei Vergini

 

di Antonio La Gala

 

In un precedente articolo abbiamo esposto brevemente, dal punto di vista storico, la nascita e lo sviluppo urbanistico della zona di Napoli, nota come il borgo dei Vergini, osservando che questo borgo, con le sue memorie di età classica, i suoi conventi, le sue chiese, i suoi palazzi aristocratici, racchiude un patrimonio storico, artistico, culturale, il quale meriterebbe ben altra visibilità, promozione e conservazione di quelle che la città gli ha sempre riservate e che gli riserva tuttora. Cioè nessuna. Anzi abbandonandolo a offese collettive quotidiane.

Nel presente articolo ci soffermiamo su alcune di queste testimonianze artistiche del borgo, che riteniamo piuttosto rilevanti: le quattro chiese che nel borgo si incontrano nell’arco di cento metri e i due superbi palazzi del Settecento, anch’essi vicini fra loro.

All’imbocco di via dei Vergini, provenendo da porta San Gennaro, sorge la chiesa di Santa Maria della Misericordia o Misericordiella ai Vergini, già esistente nel Cinquecento, sepolta dalle numerose “lave dei Vergini” (le colate di fango e detriti provenienti dalla sovrastante collina di Capodimonte), danneggiata nel corso dell’ultima guerra, restaurata nel 1967, e poi lasciata a lungo in abbandono. 

La quasi contigua chiesa di Santa Maria Succurre Miseris apre una delle due cortine di edifici che prospettano sull’ampia via dei Vergini. Sorse nel Trecento intitolata a Sant’Antonio di Padova, detta di Sant’Antoniello ai Vergini; poi fu sepolta dalle alluvioni della zona. Costruita con il nuovo attuale titolo nel 1613, fu restaurata nel Settecento da Ferdinando Sanfelice, a cui si deve il portale.

Lungo l’altra cortina che prospetta sul lato opposto di via dei Vergini, troviamo incastrate fra dissonanti edifici estranei due altre chiese: quella di Santa Maria dei Vergini e quella della Missione.

Le prime notizie della chiesa di Santa Maria dei Vergini risalgono al 1326; nel 1453 fu coperta dalle “lave” e sui suoi resti fu costruita l’attuale chiesa, a navata unica e cappelle laterali poco profonde. Nel 1724 la chiesa fu restaurata e ne fu realizzata la facciata che vediamo oggi, ideata per allineare la preesistente struttura del Cinquecento, agli edifici su via dei Vergini. Durante la seconda guerra mondiale il tempio venne quasi interamente distrutto da un bombardamento. Una decina d’anni dopo, la struttura è stata ricostruita nelle sue forme attuali, ricalcando la primitiva architettura. Alla distruzione bellica è scampato il  fonte battesimale del Seicento, dove, nel 1696, fu battezzato Sant'Alfonso Maria de' Liguori, come testimoniano i registri, ancora conservati nella sagrestia.


Nella vicina chiesa della Missione dei Padri di San Vincenzo dei Paoli incontriamo Luigi Vanvitelli. Qui egli fu chiamato, dal 1756 al 1764, a sistemare fabbriche già costruite da altri nei decenni precedenti, per ampliare il complesso esistente. Vanvitelli realizzò ariosi e luminosi interni, caratterizzati dal rigore geometrico e dal biancore degli intonaci, illuminati da eleganti aperture dall’alto, ambienti, chiesa compresa, che però, per la presenza delle parti già costruite in precedenza, sono finiti nascosti dietro una discutibile facciata costruita nel 1788 da altri.

Nel primo Settecento, nella fioritura dell’ultima fase del barocco, il rococò, Ferdinando Sanfelice, il più grande architetto napoletano di quello stile, fra il 1723 e il 1726, impreziosì il borgo dei Vergini con due delle sue più riuscite creazioni: il palazzo dello Spagnuolo, in via dei Vergini e palazzo Sanfelice, in via Arena della Sanità. 

In questi due palazzi dei Vergini sono inseriti i più noti esempi di scale costruite dal Sanfelice, che è famoso, in particolare, proprio come l’inventore di originalissime scale all’interno dei palazzi, tutte aperture d’archi e di volte, molto imitate nei secoli successivi.

Il palazzo dello Spagnolo, costruito nel 1738 per un nobile locale, ma così chiamato perché agli inizi dell’Ottocento divenne dimora di un nobile madrileno, presenta due cortili consecutivi, separati da una scala aperta. Carlo III di Borbone vi veniva a cambiare i cavalli con dei buoi, meglio capaci di portarlo fino a Capodimonte lungo le ripide salite della zona.


Il palazzo Sanfelice, che l’architetto costruì per se stesso tra il 1724 e 1726, ha due ingressi molto simili che introducono a due diversi cortili e costituisce un esempio della maniera molto libera del Sanfelice di innovare il linguaggio architettonico. In esso, potendosi esprimere liberamente, essendo lui stesso il committente, sperimentò scale particolarmente innovative, intrecciando scale aperte e scale chiuse.

Sulle scale vicine all'ingresso si nota la copertura degli scalini con pietra di lavagna, pietra inserita dal Sanfelice, forse in omaggio alla moglie, originaria proprio del paese di Lavagna, in Liguria.

Il palazzo è stato lo scenario di alcuni film fra cui ricordiamo Questi fantasmi e Le quattro giornate di Napoli di Nanni Loy

In particolare, con i palazzi di Ferdinando Sanfelice e la chiesa dei Padri delle Missioni di Luigi Vanvitelli, il borgo mostra l’intero percorso dell’architettura napoletana del Settecento, dallo stile fantasioso ed agile sanfeliciano alla classicheggiante severità vanvitelliana.

In questo articolo abbiamo illustrato solo una parte del patrimonio storico, artistico, culturale, presente nel borgo, circostanza che ci induce a chiudere l’articolo ripetendo quanto abbiamo detto in apertura, cioè che si tratta di un patrimonio che meriterebbe una ben altra visibilità, promozione e conservazione dell’abbandono che, invece, gli riserviamo.

(Dicembre 2020)