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Meno male che il santo c’è

 

di Antonio La Gala

 

 

      I recenti preoccupati commenti sul mancato miracolo di San Gennaro di metà dicembre,hanno fatto ricordare che i napoletani hanno sempre considerato e venerato il loro Patrono, San Gennaro, come un costante punto di riferimento nelle non poche loro difficoltà, un santo che da secoli assicura e promette la sua protezione. Tralasciando la vexata quaestio dal punto di vista teologico sul famoso miracolo, ci limitiamo a rilevare sull’argomento solo qualche curiosità storica.  

Nel Cinquecento, a Napoli, la venerazione per San Gennaro già vantava una tradizione millenaria, da quando agli inizi del V sec. i napoletani avevano traslato i resti del santo da Pozzuoli alle catacombe vicino Capodimonte. Quando, nel 1526, tanto per cambiare, Napoli visse un anno difficile, fra l’assedio dei Francesi e un’epidemia di peste, i napoletani invocarono proficuamente San Gennaro, facendogli poi voto di costruire una cappella in suo onore per custodire più degnamente le sue ossa, che, nei secoli precedenti, avevano girovagato più volte per vari luoghi di sepoltura.

Infatti nell’831, tranne le ampolle e il cranio, erano state spostate da Capodimonte a Benevento e,  circa tre secoli dopo, nel santuario di Montevergine, dove restarono fino a metà Quattrocento, quando gli Aragonesi le riportarono di nuovo a Napoli. 

Torniamo alla pestilenza del 1526.

Ricevuta la grazia, a gennaio dell’anno successivo, i napoletani, per sciogliere il voto, stipularono un atto notarile con il santo a proposito della cappella promessa nel voto. Si vede che, anche a quei tempi, l’esecuzione di opere pubbliche andava per le lunghe: i lavori per la costruzione della cappella del Tesoro di San Gennaro, decisi nel 1527, iniziarono nel 1608. Essi furono curati dalla Deputazione, un’apposita istituzione di natura comunale, deputata anche alla custodia del sempre più crescente Tesoro e a garantire l’intangibilità delle sacre ampolle e delle reliquie del santo.

Nel Seicento le cose a Napoli non andarono meglio del secolo precedente, anzi quello fu un secolo horribilis, fra 11 eruzioni (la più grave fu quella del 1631), tre terremoti, due carestie, la rivoluzione di Masaniello del 1647 e la grave epidemia di peste del 1656.

L’eruzione del 16 dicembre 1631, la peggiore dopo quella che seppellì Pompei nel 79 d.C., arrivò dopo ben 492 anni di riposo del vulcano, essendo la precedente  avvenuta nel 1139, cioè l’anno dell’ingresso a Napoli dei Normanni. L’eruzione del 1631 procurò, nella discesa della lava fino al mare, 18.000 morti e rappresentò uno dei momenti di maggiore rischio per la città, che, anche in quella occasione, trovò conforto nell’aiuto del suo santo, che ringraziò elevandogli una guglia in piazzetta Riario Sforza, opera di Fanzago.

Anche dopo la peste del 1656 i napoletani ringraziarono il santo, con la costruzione di un ospizio per i poveri, chiamato, appunto, San Gennaro dei Poveri.

Nel Settecento il numero delle eruzioni fu superato: se ne contarono 19, numero anch’esso superato nell’Ottocento, quando se ne contarono 26 (in media una ogni 4 anni), sebbene meno tragiche di quella del 1631.

Una delle prime eruzioni del Settecento fu quella del 31 luglio 1707: mentre la città festeggiava la fine della dominazione spagnola e la venuta del suo nuovo padrone - gli Austriaci - le case tremarono e il Vesuvio cominciò improvvisamente ad eruttare fiamme, fumo e lapilli.

Anche in questa occasione San Gennaro mostrò la sua benevolenza.

Nella città in  preda al terrore, una processione uscì dalla Cattedrale, poco prima di mezzanotte, capitanata dall’arcivescovo Pignatelli e dal nuovo viceré, stavolta austriaco, conte di Martinitz. La statua del santo fu trasportata a Porta Capuana, di fronte al Vesuvio. Si narra che, dopo pochi minuti, l’eruzione cessò, il cielo si schiarì e apparvero le stelle. Fu allora eretto, vicino alla chiesa di Santa Caterina a Formiello, un monumento al santo, che non è quello che si vede oggi, perché è stato rifatto nel 1793.

Il Vesuvio si ripresentò l’8 agosto 1779. Quando il giorno successivo l’eruzione s’intensificò, una processione portò una statua del santo fino al ponte della Maddalena. Narrano i cronisti che l’eruzione cessò quasi per incanto.

Il Settecento vulcanico nei primi anni dell’Ottocento dette il cambio eruttivo al nuovo secolo. E fu di nuovo San Gennaro a porre rimedio, perdonando uno sgarbo dei napoletani, che in quella occasione dovettero pensare che chi lascia il santo vecchio per il nuovo, sa il santo che lascia ma non sa quello che trova.

Infatti,poco prima di un’eruzione di inizio Ottocento, i napoletani avevano licenziato San Gennaro dall’incarico di patrono e lo avevano sostituito.

Perché lo avevano esonerato? Che aveva combinato?

Quando nel 1799 Napoli cadde in mano ai Francesi e ai Giacobini, il santo fu chiamato alla resistenza contro l’invasore. I preti addetti avevano assicurato che il primo sabato di maggio il santo, per protesta contro i Francesi, non avrebbe fatto il miracolo. Poiché, però, il popolo credeva che un’assenza del miracolo comprometteva la prosperità della città, scoppiarono tumulti.

Alle otto di sera di quel sabato di maggio, quando una turba di gente inferocita cominciava a diventare pericolosa per l’ordine pubblico, i Francesi intimarono al santo, armi in pugno, di fare il miracolo.

Non glielo intimarono direttamente, anche perché essi, figli della Rivoluzione, dei Lumi e devoti solo alla Ragione, con i santi avevano rotto i rapporti. Si rivolsero, come si fa in diplomazia, a intermediari, agli addetti ai lavori, al prete che doveva officiare la cerimonia, concedendogli dieci minuti per fare accadere il miracolo, allo scadere dei quali sarebbe stato fucilato.

Forse non sentendosela di far fucilare il poveretto, il santo fece il miracolo.

Apriti cielo. I napoletani lo accusarono di aver fatto un endoserment agli occupanti. Accusato di collaborazionismo con il nemico, fu destituito dall’incarico di patrono, sostituito,  e una sua scultura fu gettata in mare.

Quando, poco dopo, partiti i Francesi, si presentò un’altra eruzione, i napoletani, delusi dai santi neoassunti, si pentirono, e ritenendo che solo San Gennaro, secondo tradizione, sarebbe riuscito a fermare la lava, mandarono dei sub a recuperare la statua del santo. Ma non fu trovata. Intanto la lava avanzava. In zona Cesarini venne in aiuto un’altra statua del santo, portata in processione sul ponte della Maddalena, che andò incontro alla lava a braccia spalancate.

Al fermarsi della lava, gli ingrati napoletani, pentiti come la Maddalena del ponte omonimo, reintegrarono il santo nelle sue secolari funzioni di sperimentato protettore. I Borbone fecero erigere, in ricordo dell’evento e per ringraziamento, una guglia vicino alla chiesa di Santa Maria di Portosalvo.

Chi lascia il santo vecchio per il nuovo….

(Gennaio 2021)

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