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Pensieri ad alta voce

di Marisa Pumpo Pica

 

Dietro il velo delle parole…

Senso e abbandono

 

“Le parole sono pietre. Sono proiettili”, ebbea dire una volta il grande scrittore siciliano, Andrea Camilleri. Con questa espressione, così netta e precisa, voleva ricordarci di usarle con cura e, soprattutto, con ragionevolezza

Non diversamente, e con altrettanta saggezza, le nostre mamme, quando dovevamo affrontare situazioni importanti, solevano ripeterci: “Parla poco, mi raccomando, e conta fino a dieci prima di aprire bocca.” E se noi, con un misto di apprensione, timore e sorpresa, chiedevamo perche mai avremmo dovuto misurare così tanto le parole, la risposta era sempre la stessa, puntuale e lapidaria: “Pare brutto…”

E siamo cresciuti così, frenando, in molte circostanze, moti immediati di insofferenza, di rabbia o di aggressività, scambiati, spesso, dagli altri, come paura, timidezza o riservatezza. Lo ricordavamo ad alcuni amici, qualche giorno fa, ed insieme abbiamo finito col concludere che ogni generazione ha la sua cifra, che ne rappresenta il segno distintivo e la rende singolare, rispetto ad altre. La cifra della nostra generazione è stata quella del pare brutto, che ha pesato non poco sulla formazione ed evoluzione umana e culturale di ognuno di noi. Tacere ed obbedire. Non era mai il nostro momento per parlare.

Questa premessa, che evoca tempi lontani, ma sottolinea anche valori e significati fondamentali, anticipa il nostro assunto: le parole hanno un senso, velato o nascosto, ma anche esplicito e fin troppo evidente. Tutto sta nel capire contesti sociali, incastri linguistici, accostamenti fra le parti del discorso, come sostantivi, aggettivi, verbi, preposizioni. Su queste ultime, in particolare, vogliamo soffermarci perché, nell’articolato e variegato collocarsi delle parole fra loro, esse assumono un ruolo importante e finiscono col caratterizzare sentimenti, situazioni e stagioni della vita. Nel bene e nel male.

Non si riflette forse mai abbastanza, non tanto sul significato delle espressioni che usiamo, quanto piuttosto sulle variabili in esse contenute, nella varietà degli accostamenti.

Le parole sono proiettili, comediceva Camilleri. È vero. Talvolta, e in talune situazioni, sono esplosive, ma noi vorremmo aggiungere che sono anche fluttuanti, come agili ballerine, che danzano in vario modo a seconda degli accompagnatori. E, come il corpo di una danzatrice muta e si adatta alle varie posizioni, assumendo direzioni diverse, così muta il senso di un discorso e le parole si piegano a diversi significati e prospettive.

Vi siete mai chiesto quanto siano importanti, in una lingua, le preposizioni, semplici o articolate? Poste accanto a dei sostantivi, conferiscono ad essi un particolare significato, a seconda della loro collocazione.

A mo’ di esempio, facciamo riferimento a due parole: abbandono e senso. Accostandole a preposizioni articolate diverse, avremo tre espressioni con un significato che sta a rappresentare situazioni molto differenti fra loro:

l’abbandono ai sensi;

l’abbandono dei sensi;

il senso dell’abbandono.

Come il lettore potrà notare, le stesse parole, senso e abbandono, danno luogo a situazioni, esperienze, sensazioni e sentimenti diversi, spesso agli antipodi fra loro e, in linea di massima, riconducibili, come innanzi si sosteneva, a stagioni diverse della vita.

L’abbandono ai sensi. La frase dà subito l’idea dell’adolescenza e della giovinezza, di quella età spumeggiante della vita, in cui tutto sembra possibile e l’essere umano, come puledro a briglia sciolta, corre ansante, ma deciso, verso il proprio futuro. Si appropria della vita, sua, e talvolta anche di quella altrui. Va alla conquista del mondo, che impara a conoscere, inizialmente, solo grazie alle sue prime sensazioni. Tutto sembra concesso. Ai sensi, più che alla ragione.

Agli albori dell’esistenza siamo “bestioni tutto senso”, prima di abbandonarci alla fantasia e di essere, poi, in grado di “riflettere con mente pura” (Vico docet!). Questo, in linea di massima, come si diceva, in quanto non è detto che l’uomo non possa rimanere un eterno fanciullo e concedersi, da adulto e in età senile, (anche in quella!) l’abbandono ai sensi.

Ma gli appartiene sicuramente, in questa età, l’abbandono dei sensi e, ancor di più, il senso dell’abbandono.

Lo sperimenta pian piano, questo abbandono dei sensi, il venir meno della vista, dell’udito, della memoria, di quel bagaglio, insomma, di forza e di baldanza che lo rendeva orgoglioso di procedere trionfante lungo i sentieri del mondo.

Di qui è facile che possa sentirsi imprigionato nella tristezza e nel rimpianto per il tempo che sfuma e per la vita, che sembra sfuggirgli di mano.

È il senso dell’abbandono, un’esperienza dolorosa che, negli ultimi anni, a seguito dell’imperversare della pandemia da Covid 19, con il suo corollario di paura, ansia e depressione, rappresenta sempre più frequentemente lo stato d’animo dell’anziano.

Anche qui, però, non si può generalizzare perché spesso incontriamo, nei parchi cittadini o nelle palestre e nelle piscine più attrezzate, persone in età avanzata che praticano gioiosamente e gagliardamente ogni sport, tanto da fare invidia a giovani immusoniti ed impigriti, dinanzi allo smartphone. È da aggiungere, al riguardo, che le varie forme di alterazione del tono dell’umore, fra cui ansia e depressione, non conoscono differenza di età, sesso o stato sociale. Si segnalano oggi con sempre maggiore intensità, più frequentemente come il “male oscuro” della società del benessere e del consumismo. Abbiamo tutto eppure tutto sembra mancarci.

Colpisce il fatto che questo senso dell’abbandono sia presente spesso in ogni fascia di età. C’è, addirittura, chi il senso della solitudine se lo porta dentro, vivo nel cuore, fin dall’adolescenza. Lo avverte come una condizione dell’animo, sensazione, predisposizione o atteggiamento, che può accompagnare a lungo un essere umano, a prescindere dagli agi, dalla vita che conduce e da quanti gli vivono intorno e che possono essere anche tanti, senza che per questo riescano a riempire il vuoto e ad impedire che il loro caro avverta il senso dell’abbandono.

Quanta strada possono farci fare, col pensiero, quelle che sembrano le parti del discorso più trascurabili e insignificanti: le preposizioni, semplici ed articolate!

È la magìa delle piccole cose.

(Maggio 2021)