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Edoardo Dalbono: poesia e disordine.

 

di Antonio La Gala

 

 

Il pittore Edoardo Dalbono nacque a Napoli nel 1841 in una famiglia di artisti e letterati.

Apprese la tecnica del disegno da un incisore romano. Fu allievo di Giuseppe Mancinelli, ma seguì soprattutto la lezione di Domenico Morelli.

Esordì nel 1859, dedicandosi, negli anni giovanili, ai temi storici e a quelli di genere folclorico, e al paesaggio. Dal 1863 partecipò regolarmente alle esposizioni della Promotrice di Napoli fino a quando, nel 1878, andò a Parigi per un soggiorno, che durò una decina d’anni, durante il quale lavorò intensamente per Goupil, noto mercante dell’epoca, producendo olii, acquerelli e affreschi. Partecipò alle maggiori esposizioni italiane e internazionali (Torino 1880; Roma 1883 e 1911; Venezia, 1895; Londra e St. Louis, 1904, Parigi). Alcune sue opere oggi si trovano nella Galleria d’Arte Moderna di Roma.

Nell’ambito della pittura napoletana si dedicò in particolare al paesaggio, specialmente locale, di cui descrisse morbide atmosfere con giochi di luce e toni cromatici di delicata poesia. Partendo dall'attenta osservazione del vero, la sua pittura sconfina nella fantasia e nel sogno, coglie l'attimo fuggente di un'atmosfera, fra gli scogli del Granatello di Portici, nelle marine, sulla spiaggia di Mergellina, nei luoghi dei miti antichi, fra gli avanzi dei templi di Baia o di Cuma.

Un'intervista a Dalbono, nei suoi ultimi anni, nell'abitazione di Via Monteoliveto, ce lo presenta come uno spirito burlesco, forse un pò strampalato. Per afferrare effetti di luce particolari per le sue magie coloristiche, convocava modelli e modelle alle luci dell'alba, sull'altura di San Potito, provocando curiosità, ma anche allarme, come quando, fra i modelli, c'era un incappucciato, circostanza che fece credere al popolino che si stessero celebrando stregonerie. Durante le conferenze usava trarre di tasca dolcetti e castagne e sgranocchiarle con disinvoltura, senza preoccuparsi degli ascoltatori. Colleghi e amici talvolta si trovavano a disagio nella sua casa, per le conseguenze olfattive della presenza della moltitudine di gatti ospitati. Piuttosto trasandato nel vestire, usava una vecchia palandrana ed una mezza tuba abbassata fino alle orecchie. Ad un importante funerale si presentò con un ombrello appeso al braccio con un nastro. Morì nel 1915.

(Novembre 2021)