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I cannibali del sentimento

 

di Alfredo Imperatore

 

Antonio Pietraverde adorava l’onestà al di sopra d’ogni cosa. Riteneva la sua vita una missione e la compiva con apostolico fervore.

Conosceva la cattiveria, ma non l’ammetteva, sapeva del tradimento, ma lo detestava; il denaro lo considerava nei limiti delle necessità della vita, per cui aborriva gli avari.

La sua psicologia strana, tipica e fortunata, lo induceva a gioire dei successi altrui e a soffrire per i bisogni degli uomini. Non concepiva l’invidia; l’umanità la racchiudeva nella seguente proposizione: far bene a tutti.

Del resto, egli affermava, “a che vale avere dei nemici, quando la preoccupazione costante del giorno è quella di fare del bene?” Inoltre sentenziava: “Se uno non desse retta ai propri nemici, questi cesserebbero di essere tali.”

La neve lo inebriava per il suo candore, ma, nello stesso tempo, si rattristava al cospetto dei ragazzi infreddoliti e, a volte, senza scarpe.

Tra i fiori adorava soprattutto le mammole, perché piccole e fragili come i bimbi poveri.

                                                       ***

Antonio Pietraverde, alto e robusto, a cinquant’anni aveva ancora un viso fresco e roseo, con due occhi neri, dai quali s’irradiavano vivacità ed esuberanza. Nessuno, neanche il peggiore dei perfidi, gli avrebbe attribuito della malvagità.

Inoltre era solito dire che Dio, volendo punire l’uomo per il Peccato originale in modo implacabile, avesse creato la gelosia, dalla quale, nessun essere vivente, in misura più o meno grave, era scevro. Nemmeno le bestie, sentenziava.

Aveva sempre detto che non poteva considerarsi direttamente responsabile della colpa di Adamo, tuttavia voleva evitare il matrimonio per scansare se stesso ed evitare di incappare nell’implacabile punizione.

Per tale ragione a cinquant’anni era ancora scapolo.

Finché, un giorno, una bella, giovane fanciulla, di nome Carolina, ricca, sprezzante e meticolosa nella scelta del suo uomo, fu affascinata da quella mistica, raffinata bellezza, e s’innamorò di lui, divenendo docile e affidabile.

Anche lui non poté sottrarsi alle branche di quella tenaglia infuocata che è la passione amorosa, improvvisa e violenta, comunemente chiamata “cotta”, per cui decisero di convolare a nozze.

Vivevano felici ed ebbero quattro figli.

                                                        ***

Antonio, anche perché indotto dalla giovane e ambiziosa moglie, senza che ne avesse avuto la pretesa, si presentò alle elezioni, e fu eletto Sindaco al primo scrutinio.

Man mano, entrò sempre più nel personaggio di Capo del Paese, si convinse che questo era il mezzo migliore per fare del bene e operò sempre in tal senso. Talché, al tramonto, il pastore in coda al suo gregge, ritornando dal pascolo, si scopriva il capo nel passare dinanzi a lui, così come facevano anche gli uomini più importanti del luogo, salutandolo per primi.

                                                      ***

Un brutto giorno, in quel piccolo paese, giunse un giovane maestro, di nome Armando, di aspetto sgradevole, tarchiato e con il naso schiacciato come quello di un pugile. Era, però, molto colto e, oltre a conoscere bene la sua materia, s’intendeva di arte, di letteratura e di politica.

Aveva sperato di ottenere la nomina a Presidente della Congregazione di Carità, ma, non essendo riuscito nell’intento, perdette la misura nel disseminare discordie.

La cattiveria del suo carattere, tenuta fino ad allora in sordina, incominciò a dar luogo ad eventi perversi. Appena se ne presentava l’occasione, sparlava di ogni persona e finanche della grazia e delle movenze della signora Pietraverde, insinuando una certa incompatibilità tra lei, giovanissima, e suo marito, piuttosto anziano.

A volte, Armando, approfittando delle assenze del marito, perché trattenuto in Municipio, si recava dalla signora Carolina, con la scusa di parlare di politica, o di illustrarle qualcosa sulla storia dell’arte e si tratteneva per qualche ora.

In seguito le visite divennero sempre più abituali e gradite, per cui fu quasi inevitabile che tra loro nascesse una simpatia che, man mano, sfociò in un sentimento più forte.

Incominciarono a frequentarsi a orari fissi, proprio quando erano sicuri di non poter essere visti da nessuno; e così, la tresca divenne consuetudine.

Un giorno, il signor Sindaco, ebbe un invito a conferire col Prefetto con una certa urgenza, su questioni annonarie, per cui lasciò l’ufficio prima del solito, per recarsi a casa. Appena giunto, impallidì quando vide la giovane moglie che, cercando di nascondere un biglietto, sbiancò anche lei.

Colto da improvviso sospetto, per una misteriosa previsione di un atto immorale, egli, che non aveva avuto mai uno scatto, con un tono che non ammetteva repliche, impose alla moglie di consegnargli subito il foglietto e, alla sua indecisione, glielo strappò da mano: lo lesse.

A cinquant’anni, Antonio Pietraverde, morì di crepacuore; di sincope, fu scritto sul certificato d’inumazione del medico.

Di gelosia, avrebbe detto lui, dal catafalco, se avesse potuto…

(Dicembre 2021)