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I tram a vapore di Napoli

 

di Antonio La Gala

 

Nella seconda metà dell’Ottocento la locomozione a vapore nel settore delle ferrovie maggiori otteneva notevoli risultati; si pensò allora di estendere l'uso del vapore anche al trasporto per distanze minori (le cosiddette ferrovie secondarie), e in qualche caso anche alle tranvie urbane, fino ad allora gestite con la trazione a cavalli. Il cavallo diventava "cavallo-vapore".

Linee a vapore si diffusero nella seconda metà degli anni Settanta, prima a Roma, Milano e Torino, per poi estendersi al resto d’Italia.

A Napoli arrivarono negli anni Ottanta. La trazione a vapore fu introdotta dapprima sulle linee extraurbane e poi su quelle interne alla città.

La SATN (Società Anonima Tram Napoli), una società belga che gestiva in concessione la rete tranviaria di Napoli, nel 1884-85 costruì ed inaugurò a Napoli un nuovo tratto di linea tranviaria a vapore, un percorso che prolungava verso Napoli la linea a vapore Pozzuoli-Bagnoli-Fuorigrotta, che la SATN già gestiva, dal 1883, prolungandola con il tratto Piedigrotta-Mergellina-Torretta.

In quegli anni il collegamento fra Napoli e Pozzuoli costituiva un buon affare, visto che andava crescendo l’interesse per le aree flegree dove si stava sviluppando l’industria metallurgica (per tale motivo fu aperta anche la “Cumana”), e che inoltre per congiungere Fuorigrotta con la Torretta, la SATN si aggiudicava anche lo scavo di una galleria sotto la collina di Posillipo, la galleria di Piedigrotta, oggi detta “delle Quattro Giornate”, lunga 750 metri e larga 12, lavoro completato nel 1884.

La galleria era stata progettata appositamente per ospitare una tramvia a vapore, cioè un trenino con un paio di vetture, non più trainato dai cavalli, ma da una piccola locomotiva a vapore, sulla scia delle ferrovie maggiori.

L’esercizio di tramvie a vapore a Napoli non ebbe molta fortuna e si svolse solo su due linee: la Pozzuoli-Torretta e la linea fra il Museo e la Torretta, lungo il percorso Salvator Rosa, piazza Mazzini (allora chiamata piazza Salvator Rosa), Corso Vitttorio Emanuele, Mergellina, la Torretta.

La linea per Salvator Rosa merita qualche informazione in più per la sua singolarità.

La progettazione e la costruzione di questa linea non furono facili. La difficoltà maggiore era rappresentata dal fatto che in via Salvator Rosa il tram doveva superare dei tratti in salita, e in particolare un tratto di 800 metri che presentava una pendenza del 7%.

La scelta progettuale fu una linea in cui, negli ottocento metri in salita, si faceva aderire il tram al terreno mediante una cremagliera. Senza addentrarci nella spiegazione tecnica diciamo solo che si stese a terra una specie di scala a pioli in acciaio, in cui i pioli si potevano considerare come "denti", a distanze eguali fra loro, sui quali la locomotiva "si arrampicava" mediante una ruota dentata di cui era dotata e che andava ad ingranare nei denti, uno dopo l'altro. 

Le locomotive in servizio, lunghe quasi quattro metri, erano tre. Di due di esse abbiamo i nomi con cui venivano indicate dai napoletani: la "Leopoldina" e la "San Severino".

Esse rimorchiavano due vetture per ogni treno, di cui una di prima classe e l'altra di seconda. Ogni vettura poteva contenere 24 persone.

Naturalmente la bassa velocità rendeva il viaggio piuttosto lungo: infatti per compiere l'intera corsa fra il Museo e la Torretta, di cinque kilomteri e seicentocinquanta metri, occorrevano cinquanta minuti. Le fermate, fatte a richiesta dei viaggiatori, erano: Museo, piazza Salvator Rosa (oggi piazza Mazzini), Cariati, Rione Amedeo, Torretta.

Il biglietto per l'intero percorso Museo-Torretta costava 30 centesimi per la prima classe e 25 per la seconda, ma esistevano anche biglietti per un solo tratto. 

La linea doveva essere molto frequentata se fu necessario prevedere, come dicono le cronache di allora, "una sorveglianza speciale per evitare gli inconvenienti derivanti da soverchi agglomeramenti alle stazioni delle fermate".

La linea fu inaugurata il 31 gennaio 1888.

È superfluo far rilevare che la rumorosità della cremagliera, a cui si aggiungeva il fumo della locomotiva fra le case, rendevano il tram a vapore di Salvator Rosa tutt'altro che gradito agli abitanti delle zone attraversate che cominciarono a protestare. Inoltre era energeticamente "sbagliato" perché gran parte della potenza sviluppata dal motore serviva a muovere il peso della locomotiva, piuttosto che il peso trainato, cioè i viaggiatori.

Quando la tecnologia mise a disposizione dei trasporti urbani il motore elettrico, più potente di quello a vapore, e quindi capace di arrampicarsi sulle pendenze senza gli impicci delle cremagliere, la Leopoldina e le sue sorelle andarono a superare chi sa dove, qualche altra salita. A febbraio 1899, la linea di Salvator Rosa fu tra le prime in cui furono immessi i tram elettrici. Fra le prime linee ricordiamo quella del mitico tram n. 7, che saliva al Vomero.

L’immagine di fine Ottocento che accompagna questo articolo mostra il capolinea dei tram a vapore alla Torretta.

(Marzo 2022)