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L’eremo dei Camaldoli 

 

di Antonio La Gala

 


Nel Medio Evo la configurazione territoriale delle alture vomeresi, per l’esistenza di punti sopraelevati e isolati, ha fatto loro assumere, pur in presenza di scarsa presenza religiosa, un ruolo di primo piano nella storia della religiosità napoletana.

Infatti per la sua natura di luogo impervio e fuori mano, attirava spiriti contemplativi e mistici. Nel cristianesimo dei primi tempi si era affermato il monachesimo eremitico: i primi monaci si ritiravano nel deserto o in luoghi isolati. Ne resta memoria anche sulle colline vomeresi. In seguito si mise l’accento sulla vita comunitaria come sviluppo della vita spirituale, perché si ritenne che il cristianesimo, essendo basato sull’amore reciproco, trovava attuazione solo nella comunità. Si affermava il monachesimo comunitario: gli spiriti contemplativi e mistici si riunivano in comunità cenobitiche.

Questa attrazione ha lasciato sulle alture vomeresi due presenze religiose fra le più notevoli della città:

il cenobio certosino sulla sommità di San Martino, fondato nel Trecento angioino, trasformato nel Seicento e Settecento nella grandiosa Certosa che tutti conosciamo;

il convento camaldolese sull’altra sommità della collina, sorto sullo spirare dell’evo antico.

Qui poniamo attenzione al convento camaldolese, limitandoci a un breve cenno, perché sull’argomento esiste già un’ampia e qualificata letteratura.

Sulla sommità dei Camaldoli, dove ora sorge l’eremo, si tramanda che nel V sec. vi sia sorta, fondata da San Gaudioso, la cappella di “San Salvatore al Prospetto” (i Camaldoli erano il prospetto, lo sfondo della città di Napoli). San Gaudioso era un vescovo nato vicino Cartagine, che morì a Napoli nel  455, dove era approdato fortunosamente dopo che, non volendosi convertire all'arianesimo, il re vandalo Genserico lo aveva imbarcato, assieme ad altri cristiani, su vecchie navi alla deriva, senza vele e senza remi. Per la verità sul colle non vi sono tracce della reale esistenza della chiesetta di San Gaudioso, ma solo segni della presenza medievale di monaci ed eremiti.

A fine Cinquecento la cappelletta di San Gaudioso era divenuta pericolante e fu la sua sostituzione che portò alla costruzione dell’eremo. L’iniziativa della costruzione di un cenobio al posto della chiesetta fu presa nel 1585 da Giovan Battista Crispo, un proprietario di quei luoghi, che avendo conosciuto e apprezzato i frati camaldolesi, donò la chiesetta agli eremiti camaldolesi, col territorio circostante, e “a sue spese diede principio ad una bellissima chiesa e monasterio”, ad uso di quei frati.

Una lapide all’ingresso del cenobio ricorda la fondazione nel 1585 a opera del nobile don Giovanni D’Avalos. Forse i monaci attribuirono generosamente il merito della fondazione al D’Avalos, perché questi fu largo di offerte per la nuova fabbrica e favorì la prosecuzione della costruzione con un generoso lascito. Dopo circa 5 anni di lavori i monaci potettero occupare il convento. L’eremo fu ampliato a metà Seicento, diventando il più importante dell’Italia meridionale.

La comunità dei Camaldolesi fu fondata da San Romualdo, che abbracciò la vita monastica secondo la regola di San Benedetto e dopo irrequiete peregrinazioni fra ritiri e predicazioni, attorno al 1025 impiantò a nord di Arezzo una piccola comunità di monaci, che presero a indossare un saio bianco, a osservare la Regola benedettina, aggiungendovi una componete eremitica, che poi divenne dominante. 

I Camaldolesi in seguito ad espropriazioni furono espulsi più volte dal convento, ma riuscirono sempre a rientrare: espulsi nel 1806 rientrarono; espulsi nuovamente nel 1860, rientrarono nel 1885. Nel 1998, ridottisi di numero, sono stati sostituiti da Suore Brigidine.

(Luglio 2022)

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