L’architettura delle stazioni ferroviarie dell’Ottocento
di Antonio La Gala
Le prime stazioni ferroviarie, quando sorsero attorno a metà Ottocento, non avevano modelli architettonici precedenti di riferimento. La loro funzione era del tutto inedita. Dovevano affacciarsi all’esterno su una piazza, una strada, e all’interno coprire uno spazio “di lavoro”, fatto di binari, officine, uffici, servizi, frequentati da persone, fra cui i viaggiatori.
La prima stazione di Napoli (e d’Italia), quella costruita da Bayard nel 1839 sul futuro Corso Garibaldi, inizialmente era una piccola tettoia sorretta da colonnine, una struttura leggera strettamente legata alla sua funzione di coprire binari e marciapiedi.
Le stazioni che cominciarono a sorgere subito dopo in tutta Italia, adottarono, in sintonia con le tendenze architettoniche dell’epoca, uno stile cinquecentesco, rivisitato verso soluzioni funzionali, anche quando fra gli anni Sessanta e Ottanta si andranno a costruire nelle principali città le grandi stazioni monumentali, fra cui quella di Napoli Centrale, stazioni che andavano a collocarsi nei tessuti urbani, appunto, come grossi monumenti.
A Napoli fu rifatta la stazione di Bayard, in epoca ancora borbonica, appena qualche anno dopo la sua costruzione; assunse l’aspetto di un palazzotto, la stessa configurazione secondo cui, nel 1843, fu eretta la vicina stazione della linea per Caserta-Capua.
Nelle stazioni del secondo Ottocento si badava principalmente a proteggere binari e spazi “industriali” sempre più ampi, e quindi per lungo tempo si dette più importanza alle tettoie, in ferro e vetro, che ai fabbricati in muratura per i viaggiatori. Le tettoie, inoltre, erano sempre più tecnologicamente capaci di assolvere alle crescenti esigenze della loro funzione, sempre più monumentali. In genere nelle stazioni delle grandi città le tettoie erano in bella evidenza.
Le tettoie metalliche ebbero fortuna anche per altre ragioni. Consentivano ampie coperture senza creare l’intralcio di pilastri di sostegno; assicuravano circolazione d’aria in luoghi saturi di fumi di locomotive; erano luminose; erano sempre più ardite e quindi offrivano soluzioni monumentali e di richiamo propagandistico; cominciarono ad essere disegnate da architetti rinomati ed erano viste vicine a quelle che coprivano spazi pregiati, come i giardini d’inverno, esposizioni, “Gallerie” per passeggio.
A Napoli l’architetto più noto che si occupò di tettoie fu Alfredo Cottrau. La sua tettoia più importante fu quella di Napoli Centrale, cominciata a costruire nel 1870 e demolita nel 1957. Costruì anche le coperture in ferro delle piccole stazioni delle funicolari vomeresi.
Queste riproducevano in miniatura gli schemi delle stazioni ferroviarie: dalla piazzetta antistante si accedeva ai binari coperti da una tettoia, passando per una sala d’attesa posta allo stesso livello della strada. Poiché carrozze e binari delle funicolari erano inclinati, nelle stazioni terminali occorreva creare gradini per accedere ai treni. Ne bastavano una quindicina per stazione. Chi sa perché, rifacendo qualche decennio fa la funicolare di Chiaia, inspiegabilmente, i gradini, sia nella stazione superiore che inferiore, sono diventati inutilmente tanti, che non si riesce più nemmeno a contarli. Rischiando i femori in discesa e affannando in salita.
(Novembre 2022)