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Pensieri ad alta voce

 

di Marisa Pumpo Pica

 

Ci sono momenti, nella nostra vita, che lasciano il segno. Alcuni sono particolarmente gioiosi, altri di profonda sofferenza. Su uno di essi ci soffermiamo, oggi, in questi nostri “Pensieri ad alta voce”, attraverso i quali siamo soliti dialogare con noi stessi e con gli altri

 

Una morte apparente

 

Era come risvegliarsi da un coma profondo… Entrò nel suo studio con passo titubante e, di colpo, si trovò immersa - o sommersa? - fra le sue carte di sempre: libri, inviti a meeting, manifestazioni culturali, concerti, restling, locandine per mostre d’arte, recensioni, bozze di libri, suoi e di altri. E poi, targhe, medaglie, guidoncini dei Lyons e di altre Associazioni e Fondazioni, pergamene, ninnoli… Un mare ondeggiante dinanzi ai suoi occhi. Possibile che avesse raccolto, senza quasi accorgersene, tanto materiale? Utile, inutile? Caro, prezioso, insignificante? Superfluo? Era tutto lì, di colpo, dinanzi ai suoi occhi. Ora, dopo quel lungo periodo di stasi, forse, avrebbe potuto ordinarlo o prenderne le distanze o - perché no? - disfarsene, così, su due piedi. Farlo scomparire, dissiparlo in una nuvola, come di certo sarebbe avvenuto ad opera di altri, se lei fosse scomparsa improvvisamente. Ma tutto quel materiale era sempre lì. Ed anche lei era ancora lì, in quel caos organizzato e razionalizzato, nello studio come nella mente, Era ancora lì, in quello studio, magico nel suo disordine. Un non luogo perché luogo dell’anima, luogo del cuore, palpitante di ricordi, di illusioni, di sogni, di rimpianti...

Quel lungo periodo, popolato di sofferenze, di mali, di affanni, di preoccupazioni, l’aveva cambiata. L’aveva resa un’altra, nuova anche a se stessa. Diversa. Migliore? Peggiore? Chi poteva dirlo? C’era da chiederselo, ma non c’era risposta. Almeno non ora, non in quel momento, nel quale usciva da quel limbo di solitudine e di silenzio. Si era sentita d’improvviso privata di affetti, di amici, di calore umano. I suoi familiari, sì, c’erano e ci sarebbero stati sempre. Lo sapeva. Lo sentiva in ogni sfumatura del loro amore, ma anch’essi sembravano come emergere dal vuoto, da un vuoto, in cui erano scomparsi i suoi affetti, gli amici di sempre. Dove erano finiti? Ad eccezione di pochi, si erano tutti dileguati. Non udiva più voci intorno a sé. 

Eppure non c’era sofferenza nel constatare di essere uscita, viva, dal mondo. Ma da quale mondo? Forse, quello in cui aveva creduto non era stato mai un mondo o, di certo, non il suo mondo, quello nel quale si era illusa, pensando di vivere circondata di affetto e simpatia. Il mondo amico ora lo vedeva con altri occhi: era un villaggio piccolo piccolo, con delle mura di cartapesta, come quelli di alcune favole che soleva raccontare alla sua dolcissima nipotina. Le amava le favole, la piccola. E le aveva sempre amate anche lei. Da bambina e da adulta. Aveva anche creduto alle favole, come a quella della bella addormentata che si risvegliava all’improvviso per ritrovare il suo principe… Aveva creduto alla favola dell’amicizia che dura in eterno, mai scalfita da nulla e nemmeno logorata dal tempo, alla favola della stima e della simpatia che permangono e perdurano, anche quando non fai nulla per nessuno e nessuno deve ricambiare alcunché. La favola ora si era conclusa con lunghi giorni di solitudine e silenzio. Sì, una solitudine, sorella del silenzio, che però le era parsa anche bella. Non le aveva dato noia. Non le aveva procurato dolore, ma quasi un senso di sollievo, di nuova libertà, di nuova vita. La solitudine si era illuminata di silenzio, laddove il silenzio si faceva voce del cuore, soffio dell’anima e aveva offerto linfa alla poesia. Quanti versi erano nati in quel silenzio, in quella solitudine! Versi vergati in fretta, scritti di getto, in qualsiasi ora del giorno o della notte, e tuttavia lasciati lì, abbandonati, ancora in bozza, sulla sua scrivania, in mezzo a tutto il resto.

Rientrando dopo tanto tempo nel suo studio, si era sentita quasi un’accumulatrice seriale, ma non solo di libri e di oggetti, come pensavano i suoi, che glielo ripetevano spesso, a volte con il sorriso, altre con espressione più seria. Ebbene, era vero. Nulla da replicare. Era un’accumulatrice seriale, non solo di libri, di ninnoli, di oggetti, ma anche di sentimenti, di ricordi, di illusioni, di rimpianti Un turbinìo di emozioni che, alla vista di quegli oggetti, le gonfiavano il cuore.


Forse era meglio uscire da quello studio dove, per tanto tempo, non era più rientrata. Aveva vissuto un’altra vita, in un’altra dimensione dello spazio e del tempo. Ed ora tutto riprendeva… Doveva riprendere. Come prima: le telefonate, le conversazioni, gli amici, il giornale, la routine di ogni giorno. Tutto come sempre. Ma non identico a sempre. Ora aveva capito tante cose in più della vita che non aveva appreso quando aveva vissuto prodigandosi per gli altri, dando ogni giorno qualcosa, senza mai aspettarsi di ricevere qualcos’altro, in restituzione. Aveva capito che, nella dimensione esistenziale e banale del quotidiano, non esistevano cambi, ricambi o restituzioni. Tutto andava avanti così, un po’ a caso, e chi poteva o voleva prendeva. Prendeva semplicemente, senza porsi domande su quel che gli veniva offerto ed anche senza porsi limiti. Ora si rendeva conto che doveva pensare un po’ più a se stessa, a coltivare il proprio io, il proprio ego, come facevano ed avevano fatto tanti conoscenti ed amici. No. Meglio conservare un io piccolo piccolo, semplice, umile, modesto, ma soprattutto pago della propria finitudine. Il piccolo io può sfidare se stesso ed accrescere le sue potenzialità, nella molteplicità delle proprie aspirazioni. Il grande ego, gonfio di vanità, pieno di boria e di arroganza, diventa smisurato e nulla più lo appaga, nella smania di un falso Infinito. 

Riordinare lo studio? Liberarsi di qualcosa, di molte cose? Si poteva, ma… “Ci penserò domani”, disse fra sè, come aveva annunciato la protagonista di quel romanzo “Via col vento”, laRossella O’ Hara, che l’aveva incantata negli anni giovanili.

Ancora uno sguardo smarrito alla scrivania, gremita di bozze da portare a termine per tanti lavori, lasciati incompiuti.

Ricordò improvvisamente le belle parole di Papa Francesco di qualche domenica precedente, quando, all’Angelus, nel commentare il Vangelo di Lazzaro, che esce dal sepolcro al richiamo del Signore, per rinascere a nuova vita, esplicitava il senso profondo di tale miracolo, sottolineando che ognuno di noi può avere momenti difficili e sentirsi oppresso dal dolore, dai mali. Quell’Angelus si era chiuso con la sua accorata esortazione a “non chiudersi in se stessi, nel sarcofago delle proprie sofferenze, a non cedere al pessimismo”.

Quelle parole del Papa le apparvero quanto mai calzanti.

Era di nuovo viva, anche lei, finalmente.

Era stata una morte apparente... 

(Maggio 2023 - Gli articoli vengono riprodotti quali ci sono pervenuti)

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