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In ricordo di Giulio Mendozza

 

di Marisa Pumpo Pica

 

E’ venuto a mancare all’affetto dei suoi cari il professor Giulio Mendozza, uomo di grande spessore umano, poeta e scrittore, infaticabile operatore culturale.

Nell’esprimere vivo cordoglio ai familiari, si uniscono a me i soci e gli amici del Centro di promozione culturale e sociale “Cosmopolis” e la Redazione tutta de “Il Vomerese”.

 

Stimato professionista, dal grande cuore, ha educato diverse generazioni di allievi. Molti i riconoscimenti e i premi ricevuti da Istituzioni pubbliche e private (medaglie, targhe, coppe, pergamene, diplomi). L’Accademia di Alta Cultura “Europa 2000” lo ha insignito del titolo di Accademico, conferendogli il Premio “Lo scugnizzo d’oro”. Ma quello a cui egli più teneva era l’aver meritato la Medaglia d’Oro come benemerito della Scuola, della Cultura e dell’Arte. Tale premio gli fu conferito dal Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, nel corso di una solenne cerimonia al Quirinale, il 3 novembre del 2003.

Giulio Mendozza ha sempre amato la poesia, fin da ragazzo, I primi componimenti in versi, come egli stesso era solito raccontare, li ha scritti quando aveva appena sedici anni e furono pubblicati, poi, nella sua opera prima, in un mix molto ben riuscito, accanto a quelli della maturità. E amava, in particolare modo, la poesia napoletana, perché ha amato la sua città di un amore profondo. Infatti, in un profilo di sé, che compare in un suo libro, “Versi Diversi”, scritto in tandem con un altro caro e comune Amico, Giulio Pacella, egli scrive che l’adorava, “oltre che per la sua bellezza, per il carattere unico del suo popolo, aperto, gioviale, ironico, quando non addirittura sarcastico, generoso, in una parola, carnale” Di sicuro in questi tratti del popolo napoletano, da lui così ben individuati, ci sono i segni del suo DNA.A differenza di Napoli, però, sempre chiassosa e festosa, egli era un uomo apparentemente schivo e riservato ma, al pari del popolo napoletano, era gioviale, ironico, generoso, carnale. Unico.

Come egli sottolinea, non ha “mai pensato a fughe da questo inferno-paradiso che è la sua odiata-adorata città, che rimane unica e imperdibile, ove certe atroci storture ne sporcano il volto ma non lo scalfiscono.” Era molto legato anche alla tradizione, agli usi, ai costumi della sua città, come è testimoniato da uno dei suoi saggi, l’ultimo, “La devozione popolare a Napoli”, in cui il rigore delle informazioni gli consente di sottrarsi alle tentazioni oleografiche.

Ha collaborato a diverse riviste letterarie, attraverso poesie ed articoli.

Amici, estimatori e critici, in gran numero, hanno scritto di lui, tessendone giustamente le lodi.

Tutti noi lo abbiamo apprezzato per le tante qualità, rilevabili nel suo quotidiano, nel suo tessuto umano e professionale, come nella sua poesia. I versi, sempre accattivanti e gradevoli, caratterizzati spesso dalla battuta finale, scherzosa ed ironica, sono anche oltremodo incisivi, per la varietà delle immagini, che arricchiscono il testo, e delle problematiche, che ne elevano il tono.

Un altro grande nostro Amico comune, il giornalista Pietro Gargano, lo aveva inserito nella “Nuova Enciclopedia Illustrata della Canzone Napoletana” e di lui, tra l’altro scriveva “(…) la vena è ampia, dalla malinconia al sorriso, pur se nei salotti gli chiedono soprattutto le poesie umoristiche. E di salotti ne ha frequentati tanti – riversando il suo sapere – a partire da quello storico di Salvatore Tolino. Mendozza parla con leggerezza di cose serie, fa ricorso all’aneddoto quando è utile al discorso”.

Anche Ettore Capuano lo aveva inserito nel suo volume “Letteratura a Napoli” e di lui scrive “Nei suoi scritti Giulio Mendozza analizza il carattere dei napoletani riferendosi alle dominazioni che essi hanno subito nei secoli ed allo spirito di rassegnazione che ne hanno ricavato come elemento fondamentale atto a produrre una saggezza: guida sicura per sopravvivere. Egli ama la luce: sia quella sfolgorante del sole che l’altra più tenue della luna. L’importante, infatti, per lui non è tanto l’intensità dello splendore quanto la sua continuità ed il risultato di questo bagno luminoso riesce ad alternare il momento prorompente del trionfo con la modestia della discrezione. Egli ama gli scatti nervosi dell’ironia quanto la delicatezza che si stende sull’anima con la gioia. Nella vita non bisogna mai abbattersi anche se l’errore ci turba e ci stringe in una morsa d’acciaio: esso, infatti, durerà quanto il respiro di una canzone e se non ci sentiamo più padroni di noi stessi sotto l’incalzare dell’oscurità potremo, quanto meno, consolarci alla fine con la crescita interiore dei nostri valori cardine”. Il riferimento al libro di Giulio “Russo ‘e luna” è quanto mai evidente.

 

Era da molto che non ci incontravamo, come ci accadeva, invece spesso, in passato, in occasione di tanti incontri culturali, conferenze, presentazioni di libri, salotti e quant’altro. Motivi vari hanno diradato i nostri incontri anche perché, per scelte, per così dire, di logistica personale, Giulio frequentava di più il centro della nostra città, io maggiormente il Vomero con le sue librerie, che ospitavano il Centro “Cosmopolis” per i nostri incontri culturali.

Negli ultimi tempi, poi, il sopraggiungere del Covid, che ha spezzato vincoli e legami, con la perdita dolorosa di tanti amici comuni, ha interrotto bruscamente tante felici consuetudini. Non ci ha strappato, però, le belle amicizie né la stima e l’affetto per uomini come Giulio Mendozza . Ci restano i ricordi, belli e tristi, al tempo stesso, ma sempre avvolti dalla magìa del passato. Ed è stato così che, rovistando nella mia libreria, alla ricerca dei libri di Giulio, per quella sorta di malinconico inventario, quasi un rito che non riesco ad evitare quando qualcuno dei cari amici ci lascia, mi sono soffermata sulla sua prima pubblicazione, “Curtellate ‘e sole”, del 1997, Editrice Ferraro - Napoli. Ferraro era, in quegli anni, l’editore dei Professori. Ebbene ho riletto alcune poesie, sempre, come molte altre, scritte dopo, nei libri successivi, ricche di immagini, pensieri e sentimenti, legati alla migliore tradizione dei nostri antichi poeti. Solo dopo aver letto queste poesie, ho dato una scorsa alla dedica, che, sul momento, mi era sfuggita e mi sono commossa per le belle parole a me riservate da Giulio, di suo pugno. Le cito qui, non per superficiale o stupida vanagloria, ma soltanto perchè in queste poche parole, semplici e stringate, c’è tutto il suo cuore. Sono il segno più autentico della generosità, dell’affetto, della stima che nutriva per gli amici. “A Marisa Pumpo che sa unire con un filo d’oro, cultura e sentimento, questo frutto del mio sentire”.

C’è, poi, un altro ricordo, che risale ad alcuni anni fa quando, nel salutarci, al termine della presentazione di un libro, edito da “Cosmopolis”, che ci aveva visti seduti accanto, allo steso tavolo, gli dissi: “Caro Giulio, abbiamo fatto tanto per la promozione della cultura e della poesia in particolare, per questa nostra città, ma quanti si ricorderanno di noi, quando non ci saremo più?” Mi guardò, con uno sguardo intenso, senza rispondere nulla ed abbozzò un sorriso. In quel sorriso c’era tanta malinconia, la stessa, forse, che aveva colto nelle mie parole. Purtroppo, spesso è così. Però io oggi voglio dirti, caro Giulio, che non ti dimenticherò. E voglio dirti, soprattutto, che, quando si opera per la cultura, non lo si fa per desiderio di gloria né perché altri debbano sentirsi obbligati a noi per debito di riconoscenza. Lo si fa e basta, perché c’è qualcosa in cui si crede, perché la cultura non ha limiti né confini né barriere. E comunque nella vita è sempre meglio essere creditori piuttosto che debitori. Giulio Mendozza ha dato tanto a molti, con professionalità e rigore. Attraverso prefazioni e recensioni di libri, su molti dei quali, sia pure a distanza, ci siamo ritrovati insieme con i nostri nomi sugli stessi testi, in una forma di grande solidarietà culturale.

Giulio Mendozza ha fatto tanto, per promuovere la cultura in tutte le sue forme. Lo ha fatto sempre, senza mai risparmiarsi, fino all’ultimo momento, pur dopo che la perdita della moglie lo aveva dolorosamente provato. E mi sembra giusto ed opportuno ricordare qui anche la moglie, la cara Laura Miccoli, che era legata a me e alla mia famiglia da un forte vincolo affettivo, per aver frequentato, da ragazza, la stessa scuola di mia sorella Irene. Era di casa da noi, come suol dirsi, e sempre arrivava festosa, col sorriso sulle labbra e la battuta pronta e vivace, non priva di arguzia ed ironia. Giulio la ritroverà così, ad accoglierlo con lo stesso sorriso, in luoghi migliori. Qui egli sicuramente, con l’arguzia e la pacatezza di sempre, senza mai perdere quella sua capacità di affabulatore, con cui riusciva ad avvincere il pubblico, parlerà a “russe ‘e luna” di “stelle ‘mpazzute”, di “suonne e penziere”, di “suonne marenare” e così via. In quei luoghi sereni continueranno ancora a sognare insieme, all’infinito per sempre.

(Dicembre 2023)