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Un romanzo tragico. Filippo Cifariello

 

di Antonio La Gala

 

La vicenda artistica e umana dello scultore Filippo Cifariello sembra uscire da un romanzo.

L’artista nacque a Molfetta nel 1864. Allievo di Achille D’Orsi, seguì la corrente che in quel periodo a Napoli nel campo della scultura s’ispirava al verismo di Vincenzo Gemito.

Fin dall'inizio della sua attività suscitò polemiche, soprattutto a causa del realismo crudo delle sue opere, come ad esempio lo scugnizzo reduce dai baccanali di Piedigrotta che scolpì a vent’anni, oppure il santo cristiano raffigurato nel momento del martirio.

    Cifariello modellò - in marmo, bronzo, terracotta ed argento - prevalentemente busti e figure.

Per scolpire anche statue di notevoli dimensioni aveva bisogno di un grosso locale, motivo per cui quando andò ad abitare al Vomero impiantò vicino alla sua residenza un ampio studio, al civico 10 di Via Solimena, locale che oggi risulta adibito a garage. Vi si notano ancora alcuni anelli di ferro nelle murature per sostenere tiranti e altri segni che vi testimoniano l’attività dello scultore.

Opere del Cifariello si trovano sotto forma di monumenti in varie località italiane, e sue sculture sono ospitate, oltre che da musei italiani, anche da musei europei.

Artista avversato ma anche decantato dai suoi contemporanei, Filippo Cifariello ebbe una vita segnata da vicende tragiche.

Dapprima sposò una “sciantosa”, Maria Brow, d’origine francese, di comportamenti, diciamo così, “disinibiti”. Nel 1905 la Brown fu uccisa e fu accusato il Cifariello d’averla soppressa per gelosia. Un giornale dell’epoca così raccontava il delitto: “L’illustre Filippo Cifariello, il cui nome ancora poco tempo fa era meritatamente acclamato per l’inaugurazione del suo bel monumento a Umberto I a Bari, dopo torture inenarrabili del suo animo e del suo cuore, dopo una lotta fra la passione – diremo quasi morbosa e l’amore atrocemente offeso – uccideva a Posillipo, alla pensione Mascotte, la propria moglie che lo aveva tradito così a lungo. Trattasi di un dramma eminentemente passionale nella sua rapidità sanguinosa e fulminea”.

Il processo suscitò molto interesse, anche per la notorietà di Cifariello. L’artista ne uscì assolto,  

Successivamente, a cinquant’anni, sposò la ventiduenne Emilia Fabbri, che morì bruciata nel 1914 al ritorno del viaggio di nozze, per un infortunio domestico nel maneggiare un fornello, incidente avvenuto nella casa del Vomero. La donna fece in tempo, prima di morire, a scagionare il marito dall’incidente.

Risposatosi ancora una volta, il Cifariello si suicidò nel 1936, a causa del turbamento per una grave malattia.

La tragedia lo seguì anche dopo la morte: nel 1966 in un incidente aereo morì il figlio, l’allora noto attore Antonio Cifariello.

Napoli ha intitolato al Cifariello una fra le strade più antiche del Vomero, in precedenza denominata "Vico San Gennaro" oppure "Via San Gennariello al Vomero", nomi che ricordavano, assieme alla millenaria chiesa di San Gennariello che vi si trova, che quella strada era un pezzo di storia del quartiere collinare.

Forse sarebbe stato più opportuno lasciare il vecchio toponimo e spostare il nome di Cifariello di cento metri, nel tratto più alto di Via Solimena, dove peraltro Cifariello è vissuto ed ha lavorato.

L’immagine che accompagna questo articolo è tratta da un “Mattino Illustrato” del 1905 e mostra Filippo Cifariello all’epoca del delitto di Posillipo.

(Marzo 2023)