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Un “Gigante” della pittura

 

di Antonio La Gala

 

Su Giacinto Gigante e sulla sua opera pittorica esiste una letteratura vastissima e quindi sarebbe ingenua e velleitaria presunzione cimentarsi ad affrontare l’argomento. La breve trattazione svolta in questo articolo si propone perciò solo a contribuire alla conoscenza di questo pittore per chi vi si avvicina avendo scarsa familiarità con la storia della pittura napoletana.

Il padre di Giacinto Gigante, Gaetano, anch'egli pittore, chiamò il figlio Giacinto in onore di Giacinto Diano, di cui Gigante padre era allievo. La famiglia napoletana dove l'11 luglio 1806 l'Artista nacque, fu una famiglia di pittori: oltre al padre furono pittori ben quattro dei sette figli.

Giacinto s'impiegò giovanissimo nel Regio Ufficio Topografico di Napoli, ove conobbe Achille Vianelli che lo presentò al vedutista accademico tedesco Wolf Huber, da cui egli imparò i primi rudimenti, soprattutto su come impostare le vedute, nel cui studio però Giacinto stette pochi mesi. Nei primi anni di attività egli si recò per un breve periodo anche a Roma e si impegnò come litografo ed incisore, ma ben presto preferì seguire il suo estro artistico, cimentandosi come acquerellista.

La svolta artistica di Gigante fu l'incontro con Pitloo, fondatore della “Scuola di Posillipo”, i cui soggetti preferiti, rappresentati con rapide pennellate-impressioni, erano semplici scene di vita quotidiana, riproduzioni luminose del golfo di Napoli, della sua costiera, delle sue isole. Di questa scuola Giacinto Gigante viene considerato il maggiore esponente. Egli si emancipò presto dal Pitloo con spontanee ed estrose vedute per lo più ambientate nel Golfo di Napoli ed a Posillipo. Successivamente l'artista si accostò ai paesaggisti romantici europei di maggiore levatura, come Turner, Bonington, Corot. Da Turner, in particolare, trasse la vivace libertà di tocco, l'abbreviatura formale, e l'arioso luminismo con cui espresse una versione lirica del paesaggio partenopeo, liberandosi dal gusto per il "pittoresco" della tradizione vedutistica, di cui tuttavia conservò l'impianto scenografico, senza però cadere nello scenografismo perché conservò sempre il rigore prospettico e la fedeltà illustrativa appresa da Hubert. "Per Gigante, paesista sommamente dotato, la natura era uno spettacolo immenso e sempre cangiante nella fenomenologia atmosferica, che andava fissata nei suoi aspetti più suggestivi" (Alfredo Schettini).

L'immediatezza dello spunto emotivo gli riuscì meglio negli acquerelli e nelle tempere, grazie alla tecnica specifica di queste forme di pittura. Negli ultimi anni al paesaggio cominciò a preferire la rappresentazione di interni e la figura (la solitudine dei chiostri religiosi, la forza della fede nelle chiese, il sacrificio della clausura, ecc.), avvicinandosi così maggiormente ai valori allora emergenti della pittura romantica, uscendo di fatto dalla catalogazione di pittore della "scuola di Posillipo".

Alcuni critici, per la sua libertà di tocco, nervoso ed impreciso, l'abbreviatura formale e l'ariosa luminosità dello stile, considerano Giacinto Gigante uno dei precursori dell'impressionismo

Sebbene insofferente dell'accademismo fin dagli inizi della sua attività, poco dopo i vent'anni il pittore si iscrisse all’Istituto delle Belle Arti, i cui alunni interni beneficiavano dell'esonero alla coscrizione militare. La sua passione per il vero lo portava a percorrere lunghi tratti boschivi, spesso scoscesi, impervi, fino a quando trovava il punto di osservazione ed il paesaggio giusto da fissare.   Di carattere scontroso, fu in continuo dissidio con i docenti dell'Istituto. Alcuni  lo descrivono di aspetto rude, schivo e sornione, un artista che insieme all'arte amava le donne e la buona tavola. Nel 1831 sposò Eloisa, la sorella di Achille Vianelli.

Entrò nelle grazie della corte borbonica, per la quale nel 1830 pubblicò la raccolta di litografie "Vedute di Napoli e dintorni" ed anche nelle grazie della corte zarista per la quale nel 1846, dopo che aveva accompagnato cinque anni prima in Sicilia l'imperatrice di Russia, compose un "Album di vedute dell'Isola". Nel 1849 accompagnò poi, nella veste di pittore di corte, Ferdinando II, per documentare paesi e monumenti. E’ di committenza reale "Napoli vista dalla tomba di Virgilio" Insegnò disegno alle figlie di Francesco II e spesso si recava presso i reali a Gaeta.

L'avvento dell'Unità d'Italia non influì sulla continuità del flusso della sua committenza: nel 1861 preparò un bozzetto per una monumentale "Entrata di Garibaldi al ponte della Maddalena", oggi nel Museo di San Martino; Vittorio Emanuele II gli commissionò il famoso acquarello “La cappella del Tesoro di S.Gennaro”, che si trova a Capodimonte.

Fu più volte a Roma e nel 1869 lo troviamo anche a Parigi.

Nel 1837, alla morte di Pitloo, trasferì la sede della "scuola di Posillipo" nella casa abitata per venti anni dal pittore olandese, al vico Vasto 15, a San Carlo alle Mortelle. 

I maggiori depositari delle opere di Giacinto Gigante sono il Museo di San Martino, dove sono raccolte circa seicento fra disegni, tempere ed acquerelli, e il Museo di Correale di Sorrento, che gli ha dedicato un'apposita sala.

Fra i tanti personaggi dell'Arte presenti nella toponomastica del Vomero, Giacinto Gigante denomina una delle poche vie vomeresi intitolate ad artisti che hanno avuto un qualche rapporto con la via a loro intitolata. Infatti al civico n. 19 di Via Giacinto Gigante, troviamo "Villa Gigante", che l'artista comprò nel 1844, un edificio giunto fino a noi, piuttosto  modificato. Fino a qualche decennio fa si distingueva per lo svettare di una torretta, oggi demolita.

Nel 1875 il pittore cadde sulle scale della villa, una caduta da cui non si riebbe, morendo un anno dopo, il 29 settembre 1876. Lasciò otto figlie e fu sepolto nella Chiesa della Salute.

(Marzo 2024)