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UN AMORE FATTO

DI PICCOLI GESTI

di Laura De Rosa

Il fatidico 14 Febbraio si avvicina e centinaia e centinaia di persone in gran parte del mondo si affannano alla ricerca del perfetto simbolo del loro amore, da donare a colui o colei che ha avuto il privilegio di rubare almeno una parte del loro cuore: cioccolatini, fiori, peluche, bigliettini; chi più ne ha più ne metta. D’altronde si sa, San Valentino è il giorno degli innamorati.

Non è stato, però, sempre così.

La ricorrenza, infatti, prende il nome dal santo e martire cristiano San Valentino da Terni e venne istituita nel 496 da Papa Gelasio I, andando a sostituirsi alla precedente festa pagana delle Iupercalia - dedicata però non all’amore romantico, bensì alla fertilità -, presumibilmente allo scopo di cristianizzare la festività romana. Tuttavia, pur essendo la figura del santo portatrice di un messaggio d’amore, l’associazione all’amore romantico è quasi certamente posteriore, con molta probabilità risalente all’Alto Medioevo, periodo in cui assunse i conosciuti caratteri di una festività centrata sullo scambio di messaggi d’amore e regali tra gli innamorati. Poi, a partire dal XIX secolo, soprattutto negli Stati Uniti, divenne vittima, ma non unica purtroppo, della commercializzazione, prendendo la forma oggi conosciuta.

Il significato primo della festività, dunque, era l’esaltazione di un sentimento – l’amore – non solo dal punto di vista romantico, ma in ogni sua sfaccettatura.

L’amore, infatti, non è costituito solo da romanticherie, ma è qualcosa di molto più grande, immenso, un qualcosa che va al di là di ciò che si può vedere o toccare, come un regalo nel giorno di San Valentino. Pertanto, piuttosto che dilungarmi sulla descrizione di una festività che il lettore certamente conoscerà bene, è mia intenzione approfittare dell’opportunità che mi è stata concessa per porre una domanda che può sembrare scontata o banale, ma a cui non è facile rispondere: che cos’è questo “amore” che festeggiamo il 14 febbraio, che ci fa sentire potenti e impotenti allo stesso tempo, che ci rende felici, ma con estrema facilità ci abbatte, questo sentimento che spesso ripudiamo e allontaniamo nella speranza di non soffrire, ma che, inevitabilmente, finisce comunque per travolgerci?

Una cosa è certa, ovvero che fin dall’alba dei tempi ha mosso ogni singola azione umana, dando vita ad una elaborazione artistica che spazia in tutti i campi e che non avrà mai fine.

Il poeta lirico greco Archiloco ce lo descrive come una magica e impetuosa corrente di energia elementare, che assale repentinamente una persona e spezza ogni difesa psicologica, lasciandola preda di un desiderio incontrollato e inappagabile:

“ Così grande brama d’amore mi s’è insinuata nel cuore,

e m’ha versato sugli occhi una gran nebbia,

rubandomi dal petto la tenera anima”

Una forza, quindi, terribile, capace di travolgere l’innamorato e sommergerlo, non lasciandogli via d’uscita se non la ricerca perpetua della soddisfazione di questa “brama d’amore”.

La concezione dell’amore come bisogno inappagabile derivante dalla mancanza di un qualcosa, è molto antica e ben radicata nella filosofia greca. Basti pensare alla spiegazione che Platone dà di Eros nel Simposio, una delle sue opere più importanti. Infatti, alla domanda sulla natura di Amore rivolta a Diotima, figura magistrale e sapienziale di donna che compare nel testo, nonché portavoce del filosofo, ella risponderà che è un essere a metà tra l’umano e il divino, figlio di Pòros (Ingegno) e di Penìa ( Povertà ), povero e tormentato da un lato, ma abile e risoluto dall'altro; Amore è mancanza e insufficienza: la condizione, insomma, in cui verte l’uomo, che tende al Bene e alla Bellezza, di cui è privo.

L’amore, quindi, come viene ripreso anche dalla filosofia più recente, nascerebbe dal bisogno dell’uomo di riempire un vuoto, dalla necessità di sentirsi amato e di amare.

La definizione dell’ amore più suggestiva, però, probabilmente è quella espressa da Saffo, la famosa poetessa dell’isola di Lesbo, in un frammento, tra quelli pervenutici, di una delle sue innumerevoli liriche

“ Squassa Eros

L’animo mio, come il vento sui monti che investe le querce”

Si legge tra queste righe un timbro drammatico, quasi disperato, da cui scaturisce un Eros quale irrefrenabile pulsione, possente, dolorosa, incontrollabile, come la potenza del vento che colpisce le querce.

Al di là dei numerosi echi letterari, che si potrebbe star qui ore ad enumerare per poter almeno tentare di comprendere come tale sentimento abbia caratterizzato e segnato la vita di ogni singolo individuo al mondo - tentativo, a mio avviso, da esplicare in altra sede, dove potervi dedicare tutto lo spazio necessario - l’amore non è solo impulsività e potenza: l’amore è fatto anche di piccoli gesti quotidiani e parole non dette, da intese e discussioni, da sacrifici compiuti con piacere. L’amore, inoltre, non è solo quel sentimento che si nutre nei confronti della propria “dolce metà”, ma è anche quello rivolto alla famiglia, ai figli, agli amici, a Dio, allo sconosciuto che hai aiutato a portare le buste della spesa. L’amore, quello vero, non lo si può rinchiudere in un concetto astratto e limitato: è concretezza, palpabilità, rinnovamento.

Spesso, nel giorno di San Valentino si tende a  ridurre questo sentimento al regalo scambiato, prestando maggiore attenzione alla natura dello stesso, piuttosto che a ciò che sta a simboleggiare, quando questa festività dovrebbe, invece, essere la mera manifestazione di un amore che già esiste, e che si riscontra di giorno in giorno in un gesto, uno sguardo.

Non è, insomma, a San Valentino che bisogna amare, ma in ogni momento della propria esistenza.