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Miti napoletani di oggi.8

TOTO’ E EDUARDO

 

di Sergio Zazzera

 

Nel presentare il saggio di Andrea Jelardi su Nino Taranto (A. Jelardi, Nino Taranto, Napoli 2012), ebbi ad affermare che nel celebre artista convergevano le tre possibili “anime” del napoletano – vale a dire, quella nobile, quella borghese e quella proletaria –, incarnate rispettivamente e individualmente da Totò, da Eduardo e da Raffaele Viviani. A ben riflettere, però, il mio discorso poteva reggere soltanto per quest’ultimo autore-attore, laddove l’idea del Totò-nobile e quella dell’Eduardo-borghese, pure abbastanza diffuse tra il pubblico, altro non sono, che miti; ma mi spiego.


Già le origini nobiliari di Totò sono tutt’altro che reali, dal momento ch’egli era stato adottato dal marchese Francesco Maria Gagliardi Focas nel 1933, all’età di 35 anni, mentre il padre naturale, Giuseppe De Curtis, lo riconobbe soltanto quattro anni dopo. Anche nelle vene di tanti personaggi da lui interpretati, inoltre – dal portinaio-ciabattino di San Giovanni decollato (regia: Amleto Palermi, 1940), allo sterratore Pasquale Miele, figura inventata per la versione cinematografica di Napoli milionaria (regia: Eduardo, 1950); dallo scrivano pubblico di Miseria e nobiltà (regia: Mario Mattoli, 1954), al magliaro di Totò e Peppino divisi a Berlino (regia: Giorgio Bianchi, 1962) –, scorre sangue tutt’altro che blu.


Quanto poi a Eduardo, le vicende della borghesia pervadono in maniera marcata soltanto il segmento più recente della sua produzione teatrale: si pensi agli Stigliano di Mia famiglia (1955), ai Savastano di Bene mio e core mio (1955), al Rocco Capasso di Dolore sotto chiave (1958) o ai Priore di Sabato, domenica e lunedì (1959). Viceversa, la loro proposta è preceduta da una fase di mero incontro fra borghesia e proletariato, che si fa avvertire in modo incisivo nelle figure di  Domenico Soriano e della protagonista in Filumena Marturano (1946) e in quelle dei Saporito e dei Cimmaruta ne Le voci di dentro (1948). A sua volta, inoltre, questa fase è preceduta da quella dominata addirittura in maniera esclusiva dal proletariato, rappresentato da personaggi, come Sik-Sik e Giorgetta di Sik-Sik, l’artefice magico (1929), i Cupiello di Natale in casa Cupiello (1931),  gli Jovine di Napoli milionaria (1945) o l’omonimo protagonista di De Pretore Vincenzo (1957).

Credo, dunque, di avere fatto ammenda del contributo da me stesso altrove offerto alla perpetuazione di questo mito napoletano contemporaneo.