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LA TRAGEDIA DEL VAJONT (1963 - 2013)

 

di Luigi Rezzuti

 

Era una sera come tutte le altre, ma, alle 22,40 (circa), tutto cambiò.

Una parte del monte Toc, che sovrastava la diga del Vajont, si staccò precipitando a valle.

Già diverse società private avevano intuito la possibilità di sfruttare le acque del torrente Vajont, che scorre nella valle di Erte e Casso, per confluire nel Piave, davanti a Longarone e a Castellavazzo, in provincia di Belluno, per produrre energia elettrica.

Nel 1957 erano iniziati i lavori della diga. Era la più alta del mondo (261 metri). Nel 1960 era stato effettuato il collaudo della diga.

Numerose furono le circostanze che dimostrarono come il disastro fosse prevedibile ed evitabile ma la diga era stata collaudata, nonostante varie perizie sfavorevoli. Nel periodo precedente al disastro si accavallarono segni premonitori.

Correva l’anno 1963. La sera del 9 ottobre due chilometri quadrati di montagna e 260 milioni di metri cubi di roccia vennero giù e andarono a riempire il bacino idroelettrico. L’impatto fu violento e generò un’onda altissima che superò la diga e si abbatté sui paesi e sulle frazioni circostanti cancellandoli come fosse un colpo di spugna.

Cinquanta milioni di metri cubi di acqua si riversarono nella valle del Piave. Longarone e le località di Pirago e Rivalta furono completamente rase al suolo. Il fango e l’acqua avevano trascinato via e sepolto tutto.

Altre frazioni furono cancellate quasi totalmente, come San Martino, Frasèin, Col della Spessa. Ingenti danni  subirono Pineda e molti altri comuni.

Le vittime furono circa 1900, l’80% delle quali fra Longarone e dintorni.

Una tragedia annunciata. Centinaia di vite che potevano essere risparmiate se solo fossero stati fatti accertamenti più approfonditi e valutazioni migliori.

Era stata una giornalista a denunciare l’instabilità del monte Toc. Infatti erano evidenti i segni di movimento del terreno. Già nel 1960 si era verificata una frana, con detriti che erano scivolati nel lago, e si era delineata in alto una lunga frattura, l'antecedente della futura frana del 9 ottobre 1963. La società Sade, costruttrice della diga, aveva citato in giudizio, per turbamento dell’opinione pubblica, la giornalista, poi assolta in tribunale.   Al processo penale per il disastro del Vajont, l’accusa dichiarò prevedibile l’evento, per cui la frana e l’inondazione costituirono un disastro colposo. La Cassazione inflisse a tutti gli imputati pene molto leggere. Il processo civile, un lunghissimo e travagliato iter, portò alla condanna della Montedison S.p.A., costretta a risarcire il comune di Longarone per i danni materiali e morali, patiti dalla popolazione.

Per la tragedia del Vajont, grande ed immediata fu la solidarietà di tutti i paesi del mondo. Con l’erogazione dei contributi e l’intervento dello Stato, ma soprattutto grazie alla tenacia e alla volontà dei superstiti, il paese fu rapidamente ricostruito.