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Le Cumane di Fuorigrotta

 

di Antonio La Gala

 

Non si tratta di antiche Sibille che profetizzano i risultati delle partite al San Paolo, ma delle stazioni della ferrovia Cumana: la stazione “Fuorigrotta” in Via Leopardi e quella detta “Mostra” in Piazzale Tecchio.

Furono costruite nel 1939-40 dall’architetto Frediano Frediani, a seguito dell’interramento del tratto della Cumana che attraversava Fuorigrotta all’aperto, interramento necessario per assecondare la radicale sistemazione di quel quartiere in corso in quegli anni e la realizzazione della Mostra d’Oltremare.

La Cumana nell'aprile 1927 aveva inaugurato l'elettrificazione delle sue linee, ma dopo qualche anno aveva cominciato ad entrare in crisi, per diversi motivi, fra cui, principalmente, l’apertura nel 1925 di una nuova concorrenziale galleria stradale, la cosiddetta “Laziale, fra Piazza Sannazaro e Fuorigrotta; inoltre per la crisi economica mondiale degli anni 1930-31 e per la ritrosia del governo fascista ad aiutare le società di capitale straniero.

La crisi aziendale nel 1937 portò alla sua liquidazione, con passaggio all’EAV, Ente Autonomo Volturno, la società concessionaria di produzione e distribuzione di energia elettrica a Napoli, che in città gestiva anche il servizio di tram e autobus.

L'EAV acquisì la Cumana come società collegata, trasformandola, nel dicembre 1938, nella SEPSA (Società per l'Esercizio di Pubblici Servizi Anonima). Aveva contribuito al passaggio il fatto che in occasione della bonifica-sistemazione del Rione Fuorigrotta e la realizzazione della Mostra d'Oltremare, la Cumana non aveva voluto affrontare l'onere di portare in sottosuolo il suo tracciato che interferiva con le sistemazioni della zona, onere che assunse, appunto, l’EAV.

Una volta portato un tratto del percorso della ferrovia Cumana in sotterraneo, occorreva, ovviamente, rifare le stazioni che si trovavano in quel tratto: la stazione “Fuorigrotta” in Via Leopardi e quella detta “Mostra” in Piazzale Tecchio, allora chiamato Piazzale Roma

Come la coeva Mostra d’Oltremare, le due stazioni andavano ad inserirsi in un contesto privo di riferimenti storico-architettonici, e quindi fu possibile realizzarle con stili autonomi ed originali, caratterizzati dalla combinazione di reminiscenze del mondo classico con il linguaggio razionalistico. 

La stazione su Via Leopardi costituisce un nodo del tessuto viario del quartiere, trovandosi all’incrocio di tre vie, situazione che determina lo schema planimetrico dell’edificio, costituito da un mezzo ottagono. La composizione interna ruota intorno al grande atrio da cui si diramano gli ambienti di servizio, atrio dominato da una cupola a sesto ribassato in vetrocemento, che ricorda la copertura del mercato ittico di Luigi Cosenza, al cui progetto nel 1929 aveva partecipato lo stesso Frediani.

L’edificio ha una forma aerodinamica, in cui si intrecciano parti strutturalmente non omogenee e si ispira  ad antichi complessi termali della zona, e in particolare all’antico tempio di Diana.

In questa, come nell’altra stazione, la fisionomia spaziale originaria dell’atrio oggi risulta snaturata soprattutto dalla collocazione dei tornelli d’ingresso. 

L’altra stazione, detta “Mostra”, come la sorella di Via Leopardi, è sfuggita al monumentalismo della sua epoca, grazie anch’essa alla forma funzionale.

Anche qui Frediani si rifà ai templi rotondi, rivisitati in chiave moderna. Gli edifici antichi erano circondati da muri circolari che reggevano al cupola. Qui invece c’è un unico pilastro centrale che raccoglie le travi radiali della copertura che poggiano su pilastri disposti lungo il perimetro esterno.

Oltre alle colonne e allo spazio circolare, anche la cupola monolitica ricorda i mausolei, come l’uso dei marmi per il pavimento, rivestimenti e scale.

Innovativa anche il tipo d’illuminazione, proveniente da nervature di vetro-cemento ritagliate fra una trave e l’altra della copertura ad ombrello.

Originariamente la parte di completamento e decorativa dell’edificio, semplice intonaco e bassa zoccolatura a bugne, era modesta. Negli anni Ottanta versava in condizioni di avanzato degrado. In concomitanza dei mondiali di calcio del 1990 fu affidato a Nicola Pagliara l’incarico della ristrutturazione. Pagliara, senza alterare l’impianto originario e usando materiali beni amalgamati con quelli preesistenti, rimise in luce la struttura, l’adeguò alle nuove  esigenze di servizio, in particolare con l’aggiunta di scale e ascensori.