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Al Teatro Troisi Gianrico Tedeschi in  “Farà giorno”, regia di

Piero Maccarinelli

 

di Antonio Esposito

 

Un’ afosa estate romana, Ferragosto, palazzi deserti, Manuel (Alberto Onofrietti), un giovane di borgata, simpatizzante dell'estrema destra, che ha scelto di tatuarsi  sul corpo  nomi e motti del ventennio, condizionato più dall’ambiente esterno che da accadimenti storici, di cui ignora anche l’esistenza, investe  con la sua auto uno dei pochi inquilini del caseggiato popolare che non è partito per le vacanze, Renato, (Gianrico Tedeschi) ex    tipografo  e   partigiano, il quale ha scelto, in giovinezza, di abbracciare le armi per i suoi  ideali di libertà e giustizia, convinto  assertore  dell’ importanza  di  accrescere continuamente il proprio patrimonio di conoscenze. In camera da letto ha affisso al muro una  foto di Antonio Gramsci, fondatore del partito comunista italiano.

Sulle prime Manuel vorrebbe abbandonare il corpo esanime dell’anziano sul selciato ma poi, temendo che Renato potrebbe riprendersi e denunciarlo, decide di caricarselo in spalla, andare a casa dell’anziano  e  attendere  gli  eventi;  Renato,  adagiato sul suo  letto,  si riprende e la conoscenza approfondita  tra i due, appartenenti a mondi, distanti anni luce, sia dal punto di vista anagrafico che da quello sociale, non è  certo  delle migliori; Manuel  è   preoccupato per le conseguenze dell’accaduto, sul piano legale e  per le prevedibili  ritorsioni    del padre,  che  gli  ha  proibito di usare l’auto poichè gli hanno già ritirato la patente  e minaccia  Renato per convincerlo a non denunciarlo.

Alla fine i due, pur appellandosi a vicenda con epiteti non riferibili, tra cui quelli piu’ passabili sono “vecchio” e “camerata”, raggiungono un accordo: considerato che Renato vive solo e che le sue finanze non gli consentono una assistenza domiciliare a pagamento, lo stesso dichiarerà di essere caduto dalle scale in cambio dell’assistenza domiciliare gratuita da parte di Manuel-

In fase iniziale le cose andranno davvero male, Manuel e Renato sono costretti a frequentarsi  e  sono davvero molto diversi, ma l’intimità, dovuta all’assistenza da prestare e l’inizio di un dialogo faranno si che i due, pur continuando ad appellarsi reciprocamente in maniera non lusinghiera,   finiranno con lo stabilire un rapporto, si racconteranno le rispettive vite, le incomprensioni    con  i  familiari,  i sogni;   Manuel noterà le cicatrici delle pallottole sul corpo   di  Renato  e comincerà a rispettarlo. Dopo un po’ si chiameranno per nome.

Le ideologie, la differenza di età e di cultura saranno azzerate dalla reciproca conoscenza e si riconosceranno come individui. Anche Renato inizierà a conside-rare  Manuel  non   più   come  un  giovane    imbecille  ma   come un individuo che può migliorare,   tanto  che   si  dichiarerà disposto ad aiutarlo economicamente, salvo poi scoprire che i soldi, che gli voleva prestare, erano già stati rubati da Manuel. Infine lo ospiterà a casa quando sarà ricercato dalla polizia e scacciato dai genitori.

Renato ha perso un figlio giovane per una grave forma di leucemia, non vede da anni la  figlia Aurora, oggi medico volontario in Paesi,  teatro  di  guerre,  in   passato terrorista di estrema sinistra, denunciata alla Questura dallo stesso padre che continuerà a chiederle perdono con lettere che non avranno mai risposta ma che Aurora, come si scoprirà dopo, leggerà tutte. A complicare ulteriormente la cose, il ritorno a casa di Aurora. Lo scontro iniziale con Manuel è  inevitabile. La   ragazza  si  chiede  cosa giustifichi quella forzata assistenza e Manuel riesce, con poche, ma efficaci parole,  ad ottenerne la fiducia.

Aurora rappresenta la seconda generazione, anello di congiunzione tra Renato e Manuel e questi tre mondi, così lontani fra loro, devono confrontarsi.

Manuel cresce, cambia, legge,  inizia a lavorare in un’officina e quando, a causa  dei suoi precedenti, sarà ingiustamente accusato di aver dato fuoco ad un campo rom,  scoprirà l’assurdo del pregiudizio, ma troverà in Renato ed Aurora un aiuto economico e morale. Alla fine sarà scagionato dalle accuse.

All’uscita dal carcere la sua gioia, però, sarà offuscata dalla  morte di Renato, che gli lascerà in eredità la sua casa ed i suoi libri, tra cui il primo da leggere “Guerra e pace”, che lo stesso Renato non ha mai avuto il tempo di finire.     

 

Uno spettacolo riuscito, ben strutturato, con una regia apprezzabile.

Gianrico Tedeschi si conferma grande interprete, attraverso una recitazione che  infonde alla storia un pathos narrativo ineguagliabile. Il modo migliore  per  festeggiare  i suoi 60 anni  di carriera ed i novantaquattro anni di età.

Bravissimi anche gli altri due protagonisti.

(Novembre 2014)