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SEGNALIBRO

di Marisa Pumpo Pica

 

I desideri della fiaba

di Antonietta Dell’Arte -  Passigli Editore

 

Molto interessante sarebbe potersi soffermare per prima cosa sul rapporto, di somiglianza o di differenza tra fiaba e poesia, ma per questo aspetto, peraltro molto significativo, rinviamo il lettore alle considerazioni contenute nella prefazione di Giò Ferri e ci soffermiamo, invece, sulle riflessioni della stessa Antonietta Dell’Arte, nella “Nota dell’autrice.”

Qui ella parte da un assunto ben preciso: “La fiaba è, in qualche modo, poesia e la poesia è fiaba. Non per i ritmi che sono diversi, ma per l’invenzione, la creazione, la possibilità di rendere possibile l’impossibile, visibile l’invisibile e viceversa, la possibilità di superare gli orizzonti.”

Ecco, questo ci sembra il punto nodale, da cui prendere le mosse: la poesia, come la fiaba, può superare orizzonti e confini ed andare oltre. Andare oltre ogni cosa, oltre ogni assillo, quello del tempo, che vola via in fretta, della vita, che se ne va, come della morte, che incombe. Andare, insomma, oltre tutte le paure dell’uomo, che sente, ad ogni ora,  che qualcosa va franando sotto i suoi piedi. E allora i desideri della fiaba stanno a significare il bisogno dell’uomo di costruire un proprio angolo, un mondo tutto suo, l’esigenza  dell’oltre, l’ansia del sogno, contro la realtà, del possibile, contro l’impossibile e, soprattutto, il senso pieno della libertà. In questo fiaba e poesia si fondono e, come le fiabe, anche queste poesie di Antonietta Dell’Arte rivoluzionano tempi e ritmi.

A questo punto, però, ci preme sottolineare un elemento che ci fa ritornare un po’indietro, ad un altro libro della stessa autrice, che abbiamo recensito, anni addietro, anch’esso sulle pagine de “Il Vomerese” (quando tempi meno duri ancora ci consentivano di andare in stampa), “Il tema del padre”, un libro molto bello e coinvolgente.

In esso, allora, così scrivevamo: “(…) è possibile rilevare come ogni verso esprima le vibrazioni del cuore, le emozioni, le suggestioni di un rapporto, il rapporto padre-figlia, che è sempre fondamentale e fondante la personalità di ciascuno di noi. Poema del padre, questo libro, romanzo di formazione, romanzo familiare, come viene definito nella bella Prefazione di Vincenzo Guarracino, ma anche favola musicale, come ci apparve fin dai primi versi. Favola musicale dove il padre dà il la, come in uno spartito musicale.

Favola musicale, concerto d’amore. E da questo amore, dal ricordo del padre la nostra autrice può trarre la forza per ritrovare se stessa, costruire la propria identità, riscoprire il senso pieno della libertà.”

Così scrivevamo allora.

Ecco, il senso pieno della libertà è quello che si esprime anche qui, in questo suo nuovo libro, nel quale, lasciata la sfera più intimista degli affetti familiari, Antonietta Dell’Arte può spaziare sui più svariati temi e con i più diversi ritmi e forme, andando dall’ironico al tragico, dal sorriso alla smorfia di dolore, ma trovando - anche nel dolore e nella sofferenza - aspetti di libertà e di positività.

Il  libro precedente era un poema d’amore, vissuto, come si è appena detto, nell’intimità di un rapporto padre-figlia. Ora siamo dinanzi ad un poema d’amore con l’universo intero, con le cose, gli alberi,  i luoghi che, nel nostro linguaggio abituale, erroneamente definiamo inanimati. In queste poesie, infatti,  paesaggi, oggetti, luoghi si animano e diventano capaci di insegnarci tante cose e, soprattutto, di insegnarci a vivere. Acquistano suoni al tocco del verso, assumono luci e colori caleidoscopici, grazie alla magia della poesia e dei suoi ritmi musicali.

Favola musicale, dunque, anche questa raccolta, preannunciata dalla precedente silloge. Anche qui ogni poesia, per lo più breve, parte da un tema, anzi alcune poesie sembrano essere raggruppate proprio a seconda del tema: il tema del tempo, quello della guerra, dell’infanzia violata e tradita, degli odii, delle violenze, delle miserie e delle pene del mondo. Temi molto seri, trattati con apparente leggerezza, attraverso una poesia ironica e trasgressiva, con la quale si guarda alle fragilità umane, che vengono poste in evidenza per coglierne la caducità.

A mo’ di esempio la poesia sulla bellezza, che si guarda compiaciuta allo specchio, quasi ad entrarci dentro prigioniera, “ e rideva con la pelle levigata / come una pietra preziosa / un giorno perse l’equilibrio / cadde nel fiume / perse fuscelli e corona / nel gorgo del tempo / imparò le rughe”. (pag. 48)

Una poesia, quella di Antonietta Dell’Arte, che nasconde, dietro il velo della metafora, dietro il gioco sottile del disincanto, grandi verità, profonde ed inossidabili. Si legga “Un giorno la morte” (pag. 53)

E che dire del pino, grande e maestoso, che sembra irridere al piccolo filo d’erba, dicendogli che non  ha futuro mentre poi il filo d’erba avrà il suo riscatto felice, divenendo un pesco rosso e profumato? (pag. 56) E la favola delle due pietre che chiedono ed ottengono anch’esse il loro riscatto trasformandosi in due pini splendenti? (pag. 57) Come non sorridere bonariamente sulle lamentazioni della farfalla e dell’uomo e sul compiacimento della lumaca che, lenta,  non conosce il tempo, “goccia a goccia lo godo / infiocchettata e bella /sotto l’insalata? (pag. 35)

Una poesia, questa di Antonietta Dell’Arte, che nasce anche per esorcizzare la paura dei mali,  della malattia della morte. “Calerà la notte” (pag. 31). 

Eppure nessuno potrà far tacere la voce di un poeta, come si evince da altri bellissimi versi (pag. 32). 

Poesia colta, raffinata, potente, che scava in profondità nei nostri cuori e ne fa emergere le pene, ma anche le debolezze, le fragilità, le miserie. E tuttavia, dietro l’angolo più nero e buio, c’è sempre una luce, un  cielo, una luna, il chiarore delle stelle. E così, dietro e dentro la favola, dietro e dentro la poesia, le cose, che chiamiamo inanimate - e qui è il paradosso - si animano misteriosamente perché la fiaba è realtà, la poesia è realtà, come ci suggerisce la nostra autrice. Poesia, fiaba e realtà, anzi, qui si fondono in un unicum, in magici cerchi concentrici.

Le cose più astratte, come l’altezza, la simpatia, la bellezza, la giovinezza, l’amicizia, la verità, e così via,  diventano realtà tutte, da toccare con mano. Il vizio e la virtù, la malattia e la salute, la vita e la morte diventano cose da desiderare oppure da odiare, da cercare o da cui rifuggire, in quella giostra inarrestabile, che è la vita di tutti i giorni. Un treno in corsa su cui e da cui l’uomo sale e scende senza posa, nella perenne ricerca della felicità.

Anche qui, come nella silloge “Il tema del padre”, la poesia si fa tempo dell’attesa. E l’uomo, piccolo e svagato in questo mondo altalenante, non sa o non vuol capire che “la luce giunge / da dove non si attende”.  L’uomo deve riuscire a scoprire che “la felicità è il soffio / di piccole cose la luna / una parola un bacio / che coprono l’universo.”

Ci piace chiudere con due ultimi riferimenti a due poesie: quella in cui parla l’ombra (pag. 83), dove  il desiderio di fiaba appare come quel desiderio di libertà, cui si faceva riferimento agli inizi del nostro discorso, fuga dalle ombre, da cieli cupi e grigi. E infine, l’altra, che chiude la raccolta, che sembra iniziare con un’affermazione di resa “certo io non posso risolvere tutti i problemi / disse alla fine della storia la fiaba” e si conclude con un’apparente condanna  “ma la luce del sole / quella vi sarà negata”, una condanna che cade come una pietra tombale. E tuttavia, anche qui, in questa poesia e nei suoi versi conclusivi, cogliamo, pur nell’accettazione della realtà, l’affermazione della bellezza del sogno: “d’altronde cosa sarebbe la vita / senza un sogno incompiuto?”

Tante altre cose ancora ci sarebbero da dire, ma vogliamo lasciare a voi lettori il piacere di continuare a scoprirle da soli, come sicuramente accadrà. 

 

L’autrice, siciliana di Troina, vive e lavora a Milano, dove è ben nota per la sua attività di promozione culturale. Ha, infatti, organizzato, per dieci anni, nel suo centro polivalente, “Lusca”, mostre, rassegne di poesia e musica, corsi per lo studio della poesia. Ha curato, poi, sempre a Milano, dal 2001 al 2004 e nel 2009, cinque edizioni della Giornata mondiale della Poesia. Ha partecipato ad importanti Festivals della Poesia e della Letteratura, a Castelporziano, a Milano e a Roma. Per questo suo grosso impegno ha meritato “l’Ambrogino d’oro”, una benemerenza civica del Comune di Milano, che viene conferita a personalità del mondo della cultura. E’ stata anche inserita nel Bunker poetico alla Biennale di Venezia. Numerosi gli scritti in prosa ed in poesia, tra cui ricordiamo “Filtro” (Guanda, 1981) e “Lei” (Marsilio, 2001),  selezionato al Premio Viareggio - Repaci dello stesso anno. Molti anche gli scritti in prosa, fiabe e racconti, comparsi, insieme ad alcune sue poesie, su quotidiani, come “Il Piccolo” di Trieste, “Il Corriere della Sera” e su molte ed importanti antologie. Si è dedicata, infine, ad interessanti studi sulla poesia, testimoniati, tra l’altro, dal suo saggio “Autodecodificazione semiotica”, adottato in molte scuole per gli opportuni approfondimenti sulla poesia, da parte degli studenti..

Oggi Antonietta Dell’Arte si muove tra Milano e Diamante, in Calabria, dove a volte si rifugia nella sua casa, tra il verde del Parco degli Ulivi. Anche qui notevole il suo impegno per la poesia e per l’arte in genere. Ha, infatti, donato al Comune di Diamante sette murali di poesia e pittura, realizzati con il pittore Razetti.

Dei suoi scritti si sono occupati molti critici. Citiamo, a caso, Dario Fo, Giuliano Gramigna, Folco Portinari, Mario Luzi, Antonio Porta, Giorgio Bàrberi Squarotti, Vincenzo Guarracino, Alberto Mario Moriconi e Giò Ferri, che ha curato la prefazione a quest’ ultimo testo, che compare, nella collana fondata da Mario Luzi per le edizioni Passigli.            

 (Gennaio 2015)

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