Spigolature
di Luciano Scateni
Paura e caos
Sono normali e quotidiane le difficoltà di funzionamento di un grande tribunale qual è il palazzo di Giustizia napoletano, che ogni giorno ospita migliaia di persone e molte decine di operatori, ma è caos se le misure di sicurezza, adottate dopo i fatti di Milano, si esasperano per scongiurare il temuto ingresso di malintenzionati. L’inadeguatezza, l’esiguità dei varchi per avvocati e magistrati hanno provocato lo stress dell’accesso e lunghissime file in attesa del proprio turno di verifica, introdotta in questa tardiva prudenza degli ingressi: risultato? Gli avvocati denunciano con veemenza le conseguenze negative del disagio, provocato dalla pur necessaria novità, che mette a rischio lo svolgimento dei processi. Contrastano, insomma, le esigenze di sicurezza e il normale svolgimento della vita all’interno del Palazzo di Giustizia. L’esasperazione degli avvocati ha toccato eccessi di tensione con il tentativo di sfondamento dei varchi d’accesso, costato un paio di agenti feriti e altrettanti avvocati denunciati.
Risarcimento inadeguato
Dieci anni di carcere e ventitré, vissuti con il peso di una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa, che la Corte Suprema Europea dei diritti umani ha invalidato, giudicando il reato non sufficientemente chiaro all’epoca dei fatti, compresi tra il 1979 e il 1988: la vicenda riguarda Bruno Contrada, che lo Stato italiano dovrà risarcire con diecimila euro, per compensare i danni morali subiti. Ben poco, se si considera la sofferenza patita in un quarto di secolo dal numero due del Sisde. Il legale di Contrada, appresa la sentenza, dichiara di puntare all’assoluzione completa del suo assistito.
Lo rifarei: parola di Fabio Tortosa
Che sia odio politico, assurdamente interno a soggetti di analoga appartenenza a ceti sociali contigui? Si spiegherebbe così la ferocia dei poliziotti torturatori della scuola Diaz, nella democratica Genova? C’è anche questo, nel blitz che ha massacrato giovani inermi, come anche, quasi certamente, il condizionamento dei vertici della polizia che hanno buon gioco sulla frustrazione di uomini malpagati ed esposti a rischi, nel difficile compito di tutelare l’ordine pubblico. Eppure, l’analisi di comportamenti violenti, che trasformano il mandato istituzionale in aggressività incontrollata, non ce la fa a fornire alibi a quanti, a ridosso della sentenza sui fatti di Genova, hanno testimoniato condivisione e solidarietà a Fabio Tortosa, uno degli 80 agenti che fecero irruzione nella Diaz. “Rientrerei nella scuola altre mille e mille volte”, ha postato su Facebook Fabio Tortosa, l’agente che ha ricevuto da circa duecento lettori un ignobile “mi piace”, esteso alla delittuosa espressione rivolta a Carlo Giuliani, giovane vittima dei disordini: “Spero che sotto terra faccia schifo ai vermi”. Cos’altro c’è, dietro numerosi casi di pestaggi illegali di poliziotti e carabinieri, sistematicamente impuniti grazie all’omertà dei rispettivi vertici dei due corpi e all’assenza di riferimenti sulla divisa? Un’interpretazione del ruolo che snatura i compiti istituzionali. Cosa nasconde l’assoluzione politica che Renzi ha riservato a De Gennaro, a quel tempo capo della Polizia, promosso a presidente di Finmeccanica? Fra tanti interrogativi, una certezza: il ministero degli Interni è stato da sempre oggetto di rivendicazioni della destra, con l’evidente obiettivo di usare la forza pubblica contro ogni forma di rivendicazione sindacale o sociale e di gestire i servizi segreti, delicati filoni di controllo della politica.
(Aprile 2015)