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Parlanno ’e poesia 6

 

di Romano Rizzo

 

Giuseppe Capaldo

Nacque a Napoli il 21 marzo del  1874 da genitori di modeste origini, che gestivano un’ osteria nel quartiere Porto. Da piccolo studiò in un collegio di preti, ma, a dodici anni, conseguita la licenza elementare, andò ad aiutare i genitori nella loro attività commerciale. Mostrò, però, fin dalla più piccola età una naturale inclinazione per l’Arte: poesia, pittura e musica, settori a cui si approcciò come autodidatta.

A soli 18 anni una sua poesia, “ Vicenzella”, che aveva scritto per una compagna di lavoro di cui si era innamorato, venne musicata dall’ottimo maestro Alberto Montagna e poi pubblicata dall’editore Bideri. Egli ignorava, però, che la fanciulla che amava si era già promessa a suo fratello Pasquale. Non potendo sopportare questa situazione, Giuseppe, abbandonò il lavoro nell’osteria paterna e si dedicò a comporre scenari per i teatrini delle marionette, salvo, poi riprendere il suo vecchio mestiere di cameriere, ma al celebre Caffè Greco.

In verità, più che un poeta, il Capaldo può essere definito, autore dei versi di autentici capolavori della canzone classica napoletana,   come ‘A tazza ‘e cafè, Comme facette mammeta, L’arte d’’o sole e tantissime altre; ma le sue erano autentiche poesie perché, a quei tempi, erano i musicisti, che provvedevano, in seguito, a rivestire di note le poesie che a loro erano state proposte e non viceversa. Per questo essenziale motivo, non v’è dubbio, a mio parere, che il Capaldo debba essere considerato, per questa attività, essenzialmente un poeta. A tal proposito ci piace ricordare il giudizio di Pasquale Ruocco, che lo definì “ musicista e poeta per istinto.”

Il Ruocco si poneva e ci poneva il seguente dilemma: “ O il Capaldo è dotato di una raffinata esperienza o è ricco di una tale capacità intuitiva che gli consente di racchiudere in poche strofe tutto il sentimento di un popolo come il nostro, scherzoso e saggio, ironico e cordiale.” Con lui sostanzialmente concorda Libero Bovio che scrisse: “Napoli ha avuto due grandi poeti del popolo: un povero guantaio morto di tisi ed un garzone di osteria, spentosi nella più squallida miseria. Non ai maestri, ma a questi due popolani, invidio qualche poesia !”

Al teatro Bellini, la sera del 26 agosto del 1919, fu proprio lo stesso Libero Bovio, che, interrompendo l’audizione delle canzoni della Piedigrotta, salito sul proscenio, annunciò l’improvvisa morte del Capaldo. Così, proprio tra le canzoni che aveva amato tanto, in uno dei più bei teatri di Napoli, il popolo pianse il suo cantore, che visse in condizioni assai modeste ma con uno smisurato amore per l’Arte, che con lui è stata prodiga solo di elogi postumi.

Su questo punto, mi piace concludere con le parole di Libero Bovio, il quale scrisse: “ Penso che sarebbe meglio amarli in vita questi uomini degni, più che dopo la morte…perché la lode postuma o è un primo segno di rimorso o un ultimo gesto di ipocrisia !”

 

Bellizze ’e Primmavera

 

Bellezza che nasciste ’o mese abbrile,

’ncopp’a nu lietto ’e sciure ’e cchiù gentile,

te dichiaraje pe’ figlia ’a Primmavera

e bella te facette ’e sta manera

Mannaje n’aucelluzzo ’mparaviso

a piglià ll’acqua pe’ te ..vattià.

 

’E primme rose, ‘nfaccia t’’e mettette..

cu ‘e sciure arancio ’diente te facette !

Passaje pe’ te vasà na turturella

e te facette ’o fuosso â vavarella.

‘O sole te purtaje nu gran tesoro

e so’ sti ricce d’oro ’nfronte a tte.

 

Quanno durmive, ’o viento che passava,

c’’o fruscio c’’o rifruscio te vucava.

’A nonna te venevano a cantare:

fate, regine e serene d’’o mare.

Si cchiù te guardo, bella cchiù d’’e belle,

o ghiesco pazzo o..moro appriesso a tte !!

 (Giugno 2016)