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La Germania necessitata

La Germania necessitata

 

di Marisa Pumpo

 

Sinossi del libro La Germania necessaria

Nel 2012 la Germania non si presentava più solo quale attore economico affidabile, non più solo come membro leader della Ue, ma sembrava muoversi autonomamente nello scacchiere internazionale e nelle aree di crisi, promuovendosi anche quale partner culturale. Era questa una novità interessante, che apriva spazi di analisi e nuove domande sul percorso che la Germania aveva vissuto: da stato totalitario a paese vinto, da paese membro della comunità europea e atlantica a paese nuovamente unito, ora espressione di un modello culturale condivisibile a livello globale. Ancor più sorprendente era il fatto che, se la Germania era cambiata, lo era anche l'Europa, e non solo a causa della crisi economica. Molto avevano giocato gli allargamenti a Est e, non in ultimo, le difficoltà incontrate dall'Europa comunitaria nell'assumere un chiaro ruolo internazionale. In definitiva, era mutato il rapporto di controllato/controllore in favore di un nuovo concetto di "necessità" di Germania. Si poneva, a partire da quel momento, il tema spinoso, ma anche affascinante, di una Germania necessaria e nuova leading power.

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Questo l’assunto del libro, ma noi non possiamo esimerci da una riflessione: mai forse la presentazione di un libro è caduta nel momento meno appropriato, in un momento in cui i fatti  sembrano smentire, se non il  contenuto, quanto meno il  titolo.

Di Germania necessaria parla il libro, come si è appena letto, ma noi vogliamo tentare, provocatoriamente, una variante al titolo, al di là del  contenuto, per il quale lungo e complesso è stato certamente il lavoro dell’autrice e inimmaginabile per lei quanto, poi, sarebbe accaduto. Prima di ogni altra cosa, un interrogativo, connesso alla nostra provocazione: si può ancora parlare di una Germania necessaria, in questo momento, tenendo conto di quanto accade in questo Stato e dello scenario politico attuale? In luogo de “La Germania necessaria” non sarebbe più appropriato, oggi,  parlare di “Germania necessitata”, ovvero necessitata dalla situazione politica, costretta a sciogliere i nodi di un percorso difficile, che ha segnato gli avvenimenti più recenti, e a tutelare prestigio, autorevolezza e stabilità? È fuor di dubbio che non è possibile ignorare la crisi che l’attanaglia e le difficoltà della cancelliera Angela Merkel, che stenta a trovare un assetto di governo.

I fatti sono ben noti. Il 24 settembre, un autentico terremoto alle elezioni politiche tedesche.

L’Unione (e cioè CDU/CSU che, insieme, formano un unico gruppo parlamentare) resta primo gruppo al Bundestag, ma in una posizione molto peggiore rispetto al 2013. Crollando dal 41,5% al 33%, fa registrare un calo dell’8,5%. Uno dei peggiori risultati in assoluto dal 1949.

Con questi dati, è andato a monte il tentativo di formare un governo di maggioranza, essendo falliti i negoziati per la Grande Coalizione Giamaica, così detta dai colori della bandiera dell’isola caraibica, corrispondenti ai colori dei partiti coinvolti, il nero di CDU/CSU, il giallo di Fdp, il verde di Die Grunen.

A rendere la situazione più drammatica è l’intransigente posizione assunta dal partito socialista SPD. Martin Schulz ha dichiarato, infatti, che il suo partito non  entrerà a far parte del governo per la nuova legislatura, ma avrà piuttosto il ruolo di partito di opposizione.

Questa situazione di stallo politico in  Germania è tra le più difficili e pericolose, indicativa di una grave crisi, quale non si era mai avuta dal dopoguerra in poi.  

Dopo il fallimento dei negoziati per la Grande Coalizione, infatti, restano due alternative: l’ipotesi di un governo di minoranza o nuove elezioni. Nell’uno come nell’altro caso, il governo della Merkel ne rimarrebbe indebolito con rischio di instabilità per il Paese e l’immagine stessa della cancelliera perderebbe il suo smalto anche sul piano internazionale.

In qualità di leader del partito più popolare, la Merkel potrebbe tentare l’azzardo di guidare un esecutivo  di minoranza, alleandosi in coalizione con  i Liberali o con i Verdi. In assenza di una maggioranza parlamentare, sarebbe, però, costretta ad assicurarsi, di volta in volta, il sostegno dei partiti,  sulle singole decisioni politiche, ma tale ipotesi non sembra entusiasmare molto la Merkel, la quale ha dichiarato di essere più propensa ad andare a nuove elezioni, piuttosto che optare per un governo di minoranza. Bisogna aggiungere che, finora, i governi di minoranza in Germania sono stati un evento raro e si sono avuti, non a livello federale, ma solo a livello di singoli Stati.

Non meno complessa e pericolosa l’altra ipotesi, quella del ritorno alle urne.

In mancanza di alternative, il presidente Steinmeier potrebbe sciogliere il Parlamento e convocare nuove elezioni. Il voto dovrebbe tenersi entro 60 giorni. Questa eventualità avrebbe un costo di ben 92 milioni di euro, che graverebbero sui contribuenti tedeschi, con  ricadute pesanti per l’economia del paese, tenuto conto anche delle conseguenze derivanti da un prolungato periodo di vuoto, per l’assenza di un esecutivo stabile.  

Entrambe le alternative appaiono, comunque, rischiose, per il partito e per la cancelliera stessa. Il risultato delle elezioni  potrebbe, infatti, essere inferiore a quello del 24 settembre, che ha fatto registrare, come si è detto,  il 33% circa delle preferenze a favore del blocco conservatore, ma ha visto anche affermarsi, come terza forza, i populisti di estrema destra di Alternativa per la Germania (Afd: Alternativo fuor Deutschland), entrati per la prima volta nel Bundestag, con il 12,6% dei consensi. Nuove elezioni potrebbero vedere anche l’exploit di Afd, partito anti europeo e anti immigrati.

La frammentazione politica dei partiti in Germania non renderà facile la soluzione dei nodi cruciali che attendono la Merkel, nemmeno nel caso di un esecutivo di minoranza. Cdu, Verdi e FDP, infatti, sono in disaccordo su molti punti, come ambiente, energia, economia e immigrazione.

I Verdi chiedono divieti per i motori diesel e a carbone e limitazioni all’uso delle centrali elettriche, misure che, per gli altri, invece, peserebbero negativamente sull’economia del Paese. Altro tema rovente, che divide il paese, quello dell’immigrazione.

L’approccio molto aperto della cancelliera sul tema dell’immigrazione, che ritorna spesso d’attualità nel dibattito pubblico, in Germania e non solo, secondo alcuni analisti politici le sarebbe costato qualche punto in termini di consensi, anche se, negli ultimi tempi, il governo tedesco ha approvato misure più restrittive.  Per quanto concerne l’immigrazione il Csu ne chiede la limitazione con un tetto di ventimila immigrati l’anno e vuole vietare il congiungimento delle famiglie per gli immigrati già arrivati in Germania.

La situazione è grave e complessa. Il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung ha parlato degli ultimi sviluppi come della peggiore crisi mai avvenuta nei dodici anni di mandato della cancelliera.

La corazzata tedesca naviga davvero in acque difficili. E con lei la Merkel, di cui già qualcuno, a seguito del fallimento dei negoziati per la grande coalizione, ha  cominciato ad insinuare che potrebbe essere prossima l’ora del tramonto, con la conseguente definitiva impossibilità di entrare nella Storia con un quarto mandato.

La Germania necessaria, dunque, a nostro modesto avviso, appare oggi  una definizione a mezza strada tra l’utopia e la leggenda. Più realistico ci sembra parlare di una Germania necessitata, stretta tra Scilla e Cariddi, incalzata dalla terribile necessità di uscire da una situazione di incertezza, inedita e piuttosto rara per questo paese, che si è finora caratterizzato per la sua stabilità.

Senza il vile compiacimento di chi piange sulle miserie o debolezze altrui, dobbiamo dire che quello che sta accadendo in Germania dimostra a chiare lettere quanto abbiamo sempre sostenuto: la necessità che l’Europa si rinnovi, attraverso un ruolo ed una politica super partes e trovi il suo equilibrio in quell’ago della bilancia che può essere rappresentato solo dalla pari dignità degli  Stati e dalla fusione delle loro forze.

Christian Lindner, leader dei Liberali, nel dichiarare, nella notte dei negoziati dello scorso 19 novembre, che il suo partito si ritirava dalle trattative, ha pronunciato una frase significativa, dinanzi  alle telecamere:

“Meglio non governare affatto che governare male.”

Una lezione, anche in casa nostra,  per molti leader politici.

(Dicembre 2017)

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