NEWS

“La mappa non è il territorio”   di Gilda Rezzuti   L’essere umano, per sua natura, non può vivere in solitudine, ma deve, lungo il corso della sua...
continua...
ELOGIO DI “SE’ STESSO”   di Sergio Zazzera   Non tema il lettore: non si tratta di un episodio di narcisismo. Non è di me stesso che intendo parlare,...
continua...
Chiesa della Madonna del Buon Consiglio di via Girolamo Santacroce   di Antonio La Gala   La Chiesa parrocchiale della Madonna del Buon Consiglio...
continua...
Spigolature   di Luciano Scateni   Habemus papam e che papa!   L’intero pianeta dell’informazione si è giustamente appropriato di un evento...
continua...
Le utilitarie del Primo Novecento   di Antonio La Gala   Nel periodo fra le due guerre l’automobile ebbe un forte sviluppo sia come diffusione che...
continua...
La musica al tempo del Coronavirus #IoRestoACasaMo   a cura di Marisa Pumpo Pica   Maurizio Casagrande, insieme a tanti amici artisti, ha voluto...
continua...
CALCIOMERCATO INVERNALE 2022   A cura di Luigi Rezzuti   Si è conclusa, il 31 gennaio 2022, la sessione invernale del calciomercato che, di solito,...
continua...
ANPI "Aedo Violante"   Domenica 4 Febbraio 2024 Ore 10.30 Aderire all'ANPI per difendere la Costituzione ed i valori della Resistenza. La Collina...
continua...
LA NOTTE MAGICA DI SINNER   di Luigi Rezzuti   Una notte magica quella di Jannik Sinner alle ATP Finals di Torino: il tennista si San Candido...
continua...
 LA NAVE CHE AFFONDO’ IN UN MARE DI STRACCI   di Luigi Rezzuti   Quella lettera sembrava le bruciasse le dita. Assuntina, una popolana napoletana...
continua...

Articoli

Una favola cinese

Una favola cinese

 

di Alfredo Imperatore

 

Mao-Tse-Men, il “ciglio di Budda”, così parlò: < Il servo dei servi che, alzando lo sguardo alle nobili e autorevoli vostre persone, onora la sua vista e la sua casa, vi ha chiamato a consiglio e giudizio. Che la vita serbi a lungo la felicità nostra e della nostra terra. Parlo con il cuore spezzato dal tradimento, davanti all’altare dei nostri grandi antenati. Voi ascolterete e giudicherete>.

I venerabili, intervenuti all’assemblea, rimasero in religioso silenzio, perché presi da una fortissima emozione, benché fossero uomini plasmati di granito e dall’anima forgiata di fatalismo.

Gli iperbolici draghi, raffigurati negli arazzi pendenti tutt’intorno alle pareti del salone delle riunioni, parvero animarsi e dalle forge dilatate sembrava che spirassero grosse lingue scarlatte, emettenti intensi lampi di luce.

La grande casa di Mao-Tse-Men era in alto a un lago tondo e dalle acque limpide, incastonato in una collina, chiamata il Colle dei mandorli, ove la primavera sembrava più lunga, con i mandorli sempre fioriti. In un alternarsi di gemme e sbocci, si dilettavano i meravigliosi petali rosei dei loro fiori, mischiandosi ai mirabili tappeti offerti dal caprifoglio, sorgenti dalla soffice terra odorosa.

Il fiore di loto, adorato dalle moltitudini di cinesi, si rispecchiava, insieme agli altri fiori di più basso rango, narcisisticamente, nell’azzurro del lago.

Anche la luna, sembrava posare più a lungo il suo sguardo sereno, su quello spazio privilegiato, offerto dalla collina col suo lago.

All’esterno dell’altura si estendeva la verde, sterminata pianura, con rade casette e, lontano, all’orizzonte, la sagoma imprecisa di una cittadella.

Sul lato interno, più orientale, di questa collina, al primo saluto del sole, si aprivano le porte di accesso della casetta di Lee-Tsi-Mey, figlia del grande sapiente, venerato come il “ciglio di Budda”; essa era posta al lato destro del grande edificio del padre.

Bella come un raggio di sole, lieve come il petalo di un mandorlo, buona come la rugiada ai suoi fiori prediletti. L’usignolo taceva se il canto di Lee-Tsi-May effondeva le sue note di dolcezza, a blandire tutte le cose d’intorno.

Quando, nelle inesplicabili controversie, le persone più importanti oppure i manovali e i contadini del Colle dei mandorli, chiedevano il consiglio del Saggio, si fermavano a mezza strada sui gradini della vecchia Pagoda, prima di ascoltare il suo illuminato parere.

Il vegliardo scendeva sollecito, quasi fino a loro, e sempre decretava con una norma infallibile ed efficace.

 

***

 

Gene-Sua-Pin, agente commerciale della S.O.T., succursale di Shanghai, aveva attraversato molti chilometri del fu Celeste Impero, per conto della sua società, onde giungere alla vecchia Pagoda.

Aveva trent’anni, era biondo, intelligente, forte, così armonicamente creato da sembrare un semidio.

Il successo negli affari, molti lo attribuivano più che alla sua capacità speculativa, al fascino della sua persona. Egli lavorava, si divertiva e viveva felice: ma il suo destino si doveva concludere sul Colle dei mandorli.

Nel breve periodo d’intrattenimento per definire una commissione con Mao-Tse-Men, un meriggio, mentre, tra una trattativa e l’altra, passeggiava attorno al lago, inaspettatamente gli capitò di vedere Lee-Tsi-May, uscire dall’acqua, vestita solamente dalla sua bellezza.

La figlia del “ciglio di Budda”, si accorse che Gene la guardava come abbagliato dal suo splendore e si arrestò senza paura di fronte al giovane sconosciuto, come l’avesse atteso durante le sue notti sognanti.

Per il breve tempo che Gene sostò alla Pagoda, s’incontrarono ogni giorno sulle rive del lago, per dissetare la febbre dei loro sensi, e i giorni della sua trasferta trascorsero e furono anche superati, senza che Gene se ne rendesse conto.

Lee gli offriva la sua anima incontaminata e il corpo divino, mentre Gene ricambiava con tutta la sua baldanza e la sua virilità.

Gene improvvisamente si rese conto di aver oltrepassato di molto il tempo datogli per la sua missione e, senza avere la possibilità di salutare i suoi clienti, repentinamente partì, come dicevano gli antichi romani insalutata ospite.

Mao-Tse-Men, messo al corrente dalla figlia per l’illecito comportamento dell’agente commerciale, da quel giorno non conobbe più il sonno, finché i suoi fedeli, girando in lungo e in largo per Shanghai, non gli riportarono il fedifrago, dopo averlo drogato.

I venerabili, che erano stati convocati per emettere il loro giudizio, chiesero tre giorni di riflessione e si ritirarono, come in una specie di conclave. Trascorso il periodo richiesto, il vegliardo tra loro, lesse la sofferta sentenza:

<Avendo noi, valutato attentamente e accuratamente il peccaminoso comportamento dell’agente Gene-Sua-Pin, che ha inusitatamente approfittato dell’ospitalità del sacro maestro Mao-Tse-Men, lo condanniamo alla seguente pena: deve essere recluso per la durata di tre anni, in una piccola dimora, sita in un luogo diametralmente opposto alla casetta di Lee-Tsi-Mey. Solo allo scadere del 1095esimo giorno, potrà uscire dalla detenzione e scivolare sull’acqua cristallina del lago, fino a raggiungere a nuoto la sponda di fronte; soltanto allora potrà congiungersi con Lee-Tsi-Mey, e potranno vivere felici e contenti per il resto dei loro giorni>.

Le successive, sfarzose nozze eliminarono ogni precedente dissapore. La S.O.T. creò una grossa succursale anche sul Colle dei mandorli, di cui Gene-Sua-Pin fu nominato Direttore generale, ampliando i successi che aveva sempre ottenuto nei precedenti affari.

(Giugno 2021)

Quell’avventura

Quell’avventura di una notte di 50 anni fa

 

di Luigi Rezzuti

 

Il mondo si divide fra quelli capaci di avere l’avventura di una notte e quelli che, invece, non ce la fanno.

Non perché non riescono ad andare a letto con una donna appena incontrata ma perché il giorno dopo non riescono ad impedirsi di sognare che, da quelle poche ore trascorse insieme, nasca qualcosa.

Sandro non era di quelli che riuscivano a vivere una notte d’amore e poi, il giorno dopo, pensare ad altro, senza colpo ferire.

L’avventura di una notte può diventare un ricordo da tenere in serbo per tutta la vita.

Ed è questa la storia di Sandro, 70 anni, sposato e felice, che però, di tanto in tanto, digita su Google un nome e un cognome: quelli della ragazza con la quale ha avuto la sua prima volta, cinquant’anni fa.

Una prima volta speciale, perché lei era fidanzata e fra loro c’è stata solo l’avventura di una notte, l’ultima notte delle vacanze, con il fidanzato di lei, che dormiva nella sua camera.

Quando Sandro racconta la sua storia si emoziona come se quella notte d’amore fosse accaduta il giorno precedente.

Ricorda tutto, nei minimi particolari: quella serata in gruppo, il primo bacio, tornando in hotel, il saluto in atrio, lei che, a sorpresa, pochi minuti dopo, bussa alla sua porta. Sembra quasi un romanzo, eppure è tutto vero, anche se ammette che per lui quella notte è stata come un sogno, quasi non ha capito ciò che gli stava capitando.

Ha scoperto di non essere fatto per le avventure di una notte.

Sarà perché era la sua prima volta o perché è uno di quelli che, il giorno dopo, non fanno a meno di sognare ad occhi aperti?

Lui però non si è limitato a sognare: prima che lei lasciasse la stanza per tornare dal fidanzato le ha chiesto il numero di telefono.

E ancora oggi, di tanto in tanto, prova a cercarla on line.

Questo il suo racconto: “La mia storia risale a una cinquantina di anni fa, avevo 20 anni quando ebbi la mia prima storia di una notte, che era anche la mia prima volta in assoluto. A ripensarci ora sembra quasi un sogno, oppure la trama di un libro rosa. Ero in vacanza con un mio amico e nel nostro hotel c’erano molti ragazzi della nostra età tra cui anche una coppia di fidanzati molto simpatici. Avevamo dato vita ad un bel gruppo e uscivamo spesso tutti insieme. Anche l’ultima sera, prima di ripartire. Ma lui, il fidanzato, era stanco e andò a letto presto mentre lei rimase a far baldoria con il resto del gruppo. Era una serata strana, la ricordo benissimo: l’ultima sera di una vacanza ha sempre un’atmosfera particolare, forse perché si sa che non ci si rivedrà più. Io sarei tornato nella mia città, lei nella sua. Forse, proprio il fatto di sapere che non ci sarebbero state altre occasioni, mi diede il coraggio. Ero timido e impacciato ma, non so come, tornando in hotel, presi coraggio e provai a baciarla. A quel punto eravamo da soli, perché tutti gli altri, anche il mio amico e compagno di stanza, erano andati in discoteca. Continuammo a baciarci e, come in sogno, non osai chiederle niente e andai nella mia camera. Per me la serata era finita, ero emozionato e felice. Ma, pochi minuti dopo, sentii bussare alla porta … era lei. Io l’abbracciai in modo goffo e impacciato, non sapevo cosa fare. Fu lei a dirmi: “Se vuoi fare l’amore, dobbiamo farlo bene.” E si spogliò. Per me era la prima volta, ma non ero nervoso, ero come drogato, eccitatissimo, sia fisicamente che mentalmente. Quasi non mi rendevo conto di quello che mi stava accadendo e non ricordo neanche le sensazioni che provai, il mio corpo era come estraneo a me stesso. Ripeto, come se stessi vivendo un sogno. Quella notte, per me, durò un tempo indefinito, non saprei dire a che ora lei andò via per tornare nella sua camera, dal fidanzato. Potevano essere passate poche decine di minuti o delle ore. Io, a quel punto, ero innamorato perso, al punto tanto che, al ritorno dalle vacanze, non seppi rassegnarmi e cominciai a chiamarla. Un giorno andai anche a trovarla senza preavviso. Per lei, però, era finito tutto o, meglio, non era mai cominciato niente, ero stato solo un’avventura. Per me, invece, questa esperienza è stata fondamentale, nel bene come nel male. Nel bene perché, a cinquant’anni di distanza, ricordo ancora benissimo quella notte e. come mi ha chiesto lei, ho mantenuto il segreto fino a pochi mesi fa, quando finalmente ho avuto il coraggio di confessare tutto anche al mio amico dell’epoca, che non sapeva nulla. Nel male, perché, per un paio d’anni, rimasi a terra, ancora preso da lei. E quando trovai una ragazza non fu facile fare l’amore senza la paura di essere lasciato subito dopo. La mia prima volta non l’ho dimenticata e, negli anni, ammetto di aver cercato quella ragazza. Però su face book non c’è né ho trovato sue foto sul web.

(Marzo 2021)

PAURA DEL DENTISTA

PAURA DEL DENTISTA

 

di Luigi Rezzuti

 


E’ una paura comune, immotivata, profonda e, per certi versi, freudiana. Vincerla si può, se è successo a me, potete farcela tutti. Non mi sono mai piaciute le persone “senza paura”. So bene che non esistono, lo dico con la presunzione di chi ha percorso un pezzo di strada sufficiente per poterlo affermare. Non condivido frasi come queste: “Io non mi spavento di nulla, tanto la vita, gira gira, ha un destino segnato”.

Da piccolo, per esempio, avevo paura dei cani o che mia zia partisse e non tornasse più. Per me era una tragedia, lei era la mia baby sitter a tempo pieno. Poi sono cresciuto e le mie paure si sono adeguate a tante cose e agli anni che passavano.

Una paura cardine della mia vita, resta il dentista. Ammettetelo, state pensando che siamo in tanti. Chi non teme questa persona infagottato di verde, con la mascherina perennemente in faccia al punto da non decifrare mai i reali lineamenti (di che colore sono gli occhi del vostro dentista?), per non parlare della  suo personale eau de toilette che sa di colluttorio, ammonio e anestetco. Bene, io sono certo che la mia paura del dentista sia la più grande paura che esiste. Sono fuggito a gambe levate, ho disertato non so quanti appuntamenti. Mi sono sottoposto a una serie di panoramiche, pensando: “Intanto inizio così, poi passeremo ai fatti concreti”. Mi sono fatto venire febbri, sincopi, bronchiti, virus intestinali e ogni foggia di “sticchi e stacchi” pur di non accomodarmi sulla fantomatica poltrona. Poi, però, la vecchiaia ha lasciato sulla mia bocca un marchio di fabbrica. Vi risparmio i dettagli. Occorreva intervenire perché, scherzi a parte, i denti non sono un complemento da arredo, non sono un segno estetico e uno scontato strumento di masticazione. Sono molto di più. Vi dico che, tra i tanti problemi odontoiatrici, vi era anche un’infezione cronica a una gengiva. Un dentino era risalito fin sulla gengiva, aveva fatto lì la sua casetta e vi lascio immaginare i dolori: mascella gonfia, infezioni frequenti e molto altro.

Mi decido: devo andare! Faccio un’indagine on line, leggo una serie di curricula, sguinzaglio i miei migliori informatori ed eccolo, lo scelgo. Ha pure lo stesso mio nome, non può essere un caso. Primo appuntamento: visita generale, esami diagnostici. La mia bocca è un mezzo disastro. Il dottore mi spiega subito che l’odontoiatria non esegue chirurgie facili sol perché pratica piccoli tagli. Mi parla in maniera molto franca, mi spiega l’iintervento, gli arnesi.

Mi illustra tutto e mi rassicura come se fossi un bambino. Fatto sta che, passo dopo passo, percorro un cammino lungo quasi un anno (e ancora non del tutto concluso). L’altro giorno il momento clou, il grande giorno, quello che :“dottore la prego, questo intervento la prossima volta e poi la prossima volta ancora”. Si deve scollare la gengiva e cacciare via sia il dentino innestato in profondità, sia quella diavoleria dal nome strano, che mi provoca un’infezione cronica alla radice del dente. Farmi aprire una gengiva alla ricerca di un maledetto dente e dell’infezione che ci sta dietro mi terrorizza. Poi, dulcis in fundo, un paio di punti di sutura, Noooo”. Mi dicevo questo ed altro a poche ore dall’appuntamento.

Il grande momento è arrivato: “Luigi, chiudi gli occhi, collabora e pensa ad altro” Già. Ad altro. Ho pensato e ho compreso che alcune paure vanno arginate. Ho riflettuto su timori superati col tempo, anche solo osservando i miei genitori. Dei cani aveva paura mia madre.

Mentre riflettevo il dentista aveva finito ed aveva fatto tutto in un tempo che non ho calcolato. Non ho provato dolore, panico, fastidio. Il dottore mi ha detto che quella piccola azione di coraggio mi arrecherà tanti e più benefici. Alla fine della seduta io e il dottore ci siamo stretti la mano e ci siamo fatti i complimenti a vicenda. Nella vita le grandi vittorie si celebrano anche se so bene che dal dentista non ho compiuto alcun gesto eroico, ma ho sicuramente superato un grande e non plausibile blocco, costruito dalla mia mente.

(Gennaio 2021)

La vendetta

La vendetta

 

di Alfredo Imperatore

 

Il marchese Antonio De Franciscis aveva un grande negozio per la rivendita di tappeti, a Palermo. e un magazzino, a Casablanca, per la loro raccolta da vari paesi dell’Africa settentrionale.

I tappeti sono prodotti in diverse zone della Terra e i più pregiati sono quelli persiani, famosi per i loro disegni, i tessuti (seta, lana e a volte anche con fili d’oro), i colori e il numero di nodi; i più pregiati ne possono avere anche più di ventimila per decimetro quadrato.

Dietro la produzione dei tappeti, però, vi è un ampio sfruttamento di mano d’opera delle ragazzine dai 7-8 fino ai 13-14 anni. Questo è il lasso di tempo in cui le bimbe, con le loro piccole mani, riescono ad annodare il più velocemente possibile, perché, poi, man mano che crescono, si ingrandiscono, conseguentemente, anche le dita, per cui la velocità dell’annodamento dei fili di trama dell’ordito, lentamente diminuisce ed esse vengono subito licenziate per essere sostituite da altre adolescenti più piccole. Tale forma di sfruttamento infantile è presente ovunque questi manufatti sono prodotti.

Ritorniamo al marchese De Franciscis: egli aveva tra i suoi piazzisti, un collaboratore di nome Alberto, che conduceva sempre con sé, nei frequenti viaggi, in aereo o con traghetto, tra Palermo e il magazzino di Casablanca.

Qui aveva una dipendente marocchina, di nome Atina, musulmana come quasi tutti i suoi conterranei, ma un po’ più evoluta rispetto alle sue connazionali, perché non portava quel foulard che copre la testa e le spalle, lasciando scoperto solo il viso o addirittura solo gli occhi, e che, a seconda della forma che assume tra le varie popolazioni, è chiamato hijab, al amira, shayla, khimar, chador, niqab, burqa, e chi più ne ha più ne metta.

Il compito di Amina era di accogliere e contrattare, con i diversi fornitori, il prezzo dei vari tappeti, da quelli più economici, con nodi più grossi, a quelli più pregiati, manufatti con moltissimi piccoli nodi.

Ad ogni persona capitano dei giorni favorevoli (molto rari), e altri sfortunati: i cosiddetti giorni “no”. Infatti, quando giunse il momento in cui il marchese, insieme ad Alberto, doveva andare in Marocco, pareva che tutti i numi si fossero messi contro; era incappato proprio in un giorno “no”.

Sciopero degli aerei, fermi tutti i traghetti, per cui, dopo aver girovagato in lungo e in largo, dové ricorrere a un privato, pagando un caro prezzo per imbarcarsi insieme ad Alberto.

Non poteva rimandare il viaggio, pena la perdita di un’importante commessa che Amina gli aveva assicurato, in quanto era venuto un facoltoso commerciante, che aveva promesso una grande quantità di tappeti ad un prezzo molto concorrenziale. Ma, una volta giunto al negozio, ebbe l’amara sorpresa: il venditore non si era presentato.

La sua rabbia fu fortissima e, poiché era un accanito fumatore, incominciò ad accendere una sigaretta dopo l’altra. Poi disse ad Alberto che poteva andare a spasso per la città, mentre lui si sarebbe intrattenuto ancora un po’ nel negozio.

Rimasto solo con Amina, pensò bene di recuperare il tempo perduto, iniziando a fare le “coccole”, che solitamente si scambiavano. Vi era, infatti, tra i due, “una tenerezza reciproca” e, dopo le prime effusioni, si passava, solitamente, a rapporti più avvincenti.

Il giorno “no” continuò a farsi sentire, giacché la sua impiegata ritenne che fosse giunta l’occasione propizia per chiarire ciò che, da diverso tempo, aveva in animo di dirgli. Lo pose, infatti, dinanzi ad un aut aut: o la sposava o cercava altrove il suo divertimento.

La giornata era iniziata male e stava per finire peggio. Il marchese non volle sottostare a questa imposizione e, con grande meraviglia di se stesso, solitamente calmo e riflessivo, rispose molto bruscamente e sgarbatamente, per cui, obtorto collo, dové rinunziare ai suoi propositi e la lasciò

sbrigativamente, per ritornare nell’albergo che era il suo punto di appoggio nei viaggi a Casablanca. Giunse tanto stanco da buttarsi, vestito com’era, sul letto.

La stanchezza era prevalentemente spirituale, dinanzi alla contrarietà di quella brutta giornata che non gli aveva permesso di raggiungere nessuno dei suoi obiettivi. Era anche prostrato fisicamente, e quasi intossicato dalla nicotina, per essere andato ben oltre i quattro pacchetti di sigarette che normalmente fumava ogni giorno.

Il sonno lentamente lo stava prendendo, dovuto anche alla brezza del vicino mediterraneo, quando entrò nella stanza Alberto. <Come mai hai impiegato tanto tempo per venire?> gli chiese distrattamente il marchese. <Ho girovagato un po’ per la città e poi sono passato per il negozio e, poiché non ti ho trovato, sono ritornato qui>. Questa fu la risposta del collaboratore, ma la realtà era ben diversa.

Giunto al negozio del marchese, aveva trovato Amina in lacrime, sola ed avvilita. Le si era avvicinato per confortarla e, man mano che la ragazza spiegava il motivo della sua tristezza, egli aveva incominciato a consolarla sempre più teneramente, tenendola stretta a sé, finché l’abbraccio non divenne ancora più forte e, con esso, maggiore il sollievo della ragazza.

Amina, tra l’altro pensò, che, tutto sommato, Alberto era da preferirsi ad Antonio, per cui volle essere rincuorata più di una volta. Alla fine, mentre Alberto si era ricomposto e stava per uscire, lo tirò per un braccio, lo guardò fissamente negli occhi e gli disse: <Ué, statti zitto!>. Antonio, sornione, le rispose: <Hai dimenticato che sono di Palermo?>. La donna, dubbiosa, replicò: <E questo cosa significa?>. E lui: <Significa che i siciliani non vedono, non sentono e non parlano!>.

(Febbraio 2021) 

UNA NOTTE AL CASINO’

UNA NOTTE AL CASINO’

 

di Luigi Rezzuti

 


Ettore era un vecchio pensionato che percepiva una pensione di 620 euro al mese.

Nel tempo, con grossi sacrifici, era riuscito a risparmiare qualche soldino accumulando, così, un tesoretto di 500 euro.

Un giorno Ettore venne a conoscenza che ogni mese un’agenzia di viaggi, organizzava un pullman per pensionati in cerca di fortuna al casinò in Slovenia.

Prenotò anche lui il viaggio. Prima sosta del pullman dei nonni che vanno a giocarsi la pensione nell’area di servizio sulla Venezia-Trieste.

Per scaldarsi le mani … tutti acquistano il “gratin” ma l’avventura deve ancora cominciare e sul pullman extralusso c’è allegria.

Davanti c’è una notte al casinò sognando che la pallina della roulette si fermi sul numero scelto, che la slot machine si metta a suonare e annunci ai giocatori vicini, pieni di invidia, che hai vinto centomila euro, che il banco del poker ti regali una scala reale.

“Bisogna usare la testa- ammonisce uno di loro – altrimenti ti puoi fare del male, ma se non superi il budget che ti puoi permettere, se quando perdi non ti metti a raddoppiare la posta fino a quando non sei rovinato, allora ti puoi anche divertire”.

“Io sono qui – racconta un altro – per la prima volta. Con soli 200 euro ti offrono la cena, ti fanno entrare al casinò e in fin dei conti, sarà un sabato sera diverso”.

L’organizzatore del pullman racconta: “Dall’Italia arrivano tantissimi pullman all’anno, siamo arrivati, a tutti buona fortuna, no, non si dice così, al massimo in bocca al lupo”.

Un vecchietto dice: “Quando giochi, ti offrono anche da bere gratis”.

A un tavolo ci sono due coppie che per la prima volta sono venuti a vedere cosa succede qui.

In un altro tavolo, gli habitué. Non hanno molta voglia di parlare, sono molto concentrati, in fondo, si tratta di soldi e ognuno si deve fare gli interessi suoi.

Qualcuno afferma: “Guardi, qui si gioca e si perde quasi sempre. Se qualcuno vince, lo dice a tutti. Se perde, dice che ha pareggiato. Ma poi, in confidenza, sai che qualcuno si è rovinato davvero. Se perdi 500 euro in una sera è un bel dramma e poi sappiamo che queste cose sono successe e succedono. Ma noi veniamo qui con tot soldi e cerchiamo di non perderli tutti”.

Il casinò è un labirinto di slot machine, sembra davvero il paese dei balocchi.

Su ogni macchinetta la cifra promessa al momento: 9,038 euro, 16,372 euro …

Ogni clic costa da 1 euro a 2 euro, ma per perdere un euro ti bastano pochi minuti.

Mai credere a un giocatore, sia pure dilettante, che dice di avere perso 100 euro, adesso mi faccio una giocata al Bingo e poi basta.

Ma lo vedi un’ora più tardi alla roulette dove la giocata e di 2 euro e la massima di 200.

Quasi tutti italiani, le migliaia di giocatori nei saloni del casinò, a loro non si fa mancare nulla.

La partite Roma – Napoli sugli schermi, e poi l’invito all’arena per la sfilata di moda.

Appuntamento alle 2 nella grande hall e qui nessuno parla.

Dialoghi sottovoce: “Come ti è andata?”, “Parliamo di altro”, “Andiamo via proprio adesso che la macchinetta buttava bene?”

E’ nottefonda, quasi l’alba, tutti sul pullman, mentre continuano ad arrivare le auto di lusso dall’Italia, con i boys che aprono la portiera e vanno a portare l’auto nel parcheggio.

Non c’è nebbia, solo una leggera pioggerellina.

All’arrivo dei pensionati in cerca di fortuna un uomo cattivo, vedendo arrivare il pullman davanti al casinò dice: “Ecco la corriera dei polli”.

(Novembre 2020)

BilerChildrenLeg og SpilAutobranchen