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LA CANZONE NAPOLETANA     (Luglio 2023)
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Attilio Pratella, la vita.   di Antonio La Gala   Attilio Pratella è uno fra i più noti pittori che hanno operato a Napoli negli ultimi anni...
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CALCIOMERCATO ESTIVO 2022   di Luigi Rezzuti   Il consiglio della Federcalcio ha votato all’unanimità  i termini di tesseramento per la prossima...
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Il NAPOLI IN RITIRO A VAL DI SOLE   di Luigi Rezzuti   “Siamo felici di tornare in Trentino, sarà un ritiro pieno di sorprese per i nostri tifosi”...
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Il paesaggismo napoletano   di Antonio La Gala   La pittura napoletana prodotta fra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento viene  biasimata...
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CALCIOMERCATO ESTIVO   di Luigi Rezzuti   Ci siamo! Il calciomercato estivo di serie A 2023-2024 si è ufficialmente chiuso. Ogni club di A ha cercato...
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I "CUNTI" CAMPANI DI AURELIO DE ROSE   (Marzo 2023)
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Pensieri ad alta voce di Marisa Pumpo Pica   Le “Lettere al Direttore”   Un recente articolo dell’amico Sergio Zazzera ha come tema “Lettere al...
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E’ MORTO GIGI PROIETTI   di Luigi Rezzuti   Nel cordoglio di tanti, si è spento, per problemi cardiaci, Gigi Proietti, all’età di 80 anni, proprio...
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  Gli sciaraballi   di Antonio La Gala   Nell'Ottocento, fino all'avvento della ferrovia, lo stato dell’arte nel campo dei trasporti per via di...
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Sebastiano Conca, pittore smagliante e decorativo

 

di Antonio La Gala

 

Una strada molto nota, che incontriamo nella fascia di collegamento fra i quartieri Vomero e Arenella, è intitolata al pittore Sebastiano Conca. Conosciamolo più da vicino.

Sebastiano Conca, maggiore di dieci fratelli, nacque a Gaeta attorno al 1680 e studiò a Napoli, dove fu allievo del Solimena, con cui collaborò per alcuni affreschi nell'abbazia di Montecassino.

A ventisei anni si trasferì a Roma, col fratello Giovanni, che fu il suo assistente, e dove lavorò quasi fino alla settantina. A Roma, combinando in forme eleganti il suo stile esuberante di scuola napoletana con quello più delicato della scuola romana, incontrò molto favore e la sua attività gli procurò importanti amicizie nell’ambiente cardinalizio e anche presso i papi, ottenendo ambite onorificenze, fra cui il titolo di “cavaliere” con cui viene ricordato in molte biografie.

Fra le opere romane ricordiamo gli affreschi del soffitto di Santa Cecilia in Trastevere. Lavorò poi a Torino, presso la corte sabauda e nell'oratorio di San Filippo e nella chiesa di Santa Teresa. Dopo aver seminato di pale d’altare l’Italia Centrale, Conca ritornò a Napoli definitivamente nel 1751, dove riprese a dipingere secondo i modi del barocco locale egemonizzato da Luca Giordano, prima nella chiesa di San Pietro Martire al Rettifilo e in alcuni affreschi nella Chiesa di Santa Chiara, andati distrutti nel bombardamento del 1943, oggi conoscibili solo attraverso fotografie.

Ha lasciato opere anche nel Gesù Nuovo e in alcune chiese della penisola sorrentina.

La sua pittura, guidata da grande abilità tecnica, da conoscenza della prospettiva e della scenografia, movimentata e smagliante, si esprime in affreschi e tele abbaglianti e illusionistici, una cifra stilistica che potremo definire decorativa. Morì a Napoli nel 1776, quasi centenario.

(Marzo 2023 - Gli articoli vengono riprodotti quali ci sono pervenuti)

Il pittore Carlo Striccoli

 

di Antonio La Gala

 

Un esponente di rilievo della pittura napoletana del Novecento è Carlo Striccoli.

Nacque ad Altamura, in Puglia, nel 1897, e venne a Napoli alla vigilia degli anni Venti, per  studiare all'Accademia delle Belle Arti di Napoli. Qui raccolse la lezione di Paolo Vetri, Vincenzo Volpe, ma soprattutto di Michele Cammarano.

Dopo una prima adesione agli indirizzi accademici rivolti alla pittura di genere, al ritratto e al soggetto sacro, Striccoli si orientò verso uno stile personale, interessandosi ai movimenti che tentavano, in maniera un pò anarcoide, esperienze artistiche innovative antiaccademiche, fra polemiche, scomuniche reciproche, disconoscimenti, aggregazioni e disaggregazioni di gruppi e gruppetti.

In un primo momento si unì  al gruppo di giovani artisti che per sperimentare nuove ricerche seguivano la libera scuola di pittura dell'anziano Giuseppe Boschetto, in un atelier di via Santa Brigida. Nel 1928 lo troviamo assieme ad altri nove pittori, sistemati alla bohèmienne all'ultimo piano di un palazzo di via Rossarol, a formare il gruppo indicato come "Quartiere Latino".

Sottile, bruno, con capelli nerissimi, in questo gruppo sbalordiva per la bravura di suonatore di violino, esperienza che allora lo affascinava al pari della pittura.

Nel 1924 iniziò un'intensa attività espositiva, che arrivò a circa cento mostre.

L'anno successivo, terminata l'Accademia, s'iscrisse al Partito Nazionale Fascista, sfruttandone tutte le occasioni espositive.

Dopo la XIX Biennale (1934) dal Quartiere Latino di via Rossaroll, Striccoli trasferì il suo studio in Villa Haas al Vomero, in quel periodo affollata di artisti.

Nel 1940 ottenne dal Governo l'incarico  pubblico di dipingere la Torre del Partito Fascista all'interno dell'allora costruenda Mostra d'Oltremare, poi andata distrutta.

Nel dopoguerra il mecenatismo di Stato del periodo precedente cedette l'iniziativa alla committenza privata attraverso grandi e piccole gallerie d'arte. Negli anni Cinquanta Striccoli maturò un nuovo linguaggio vicino all'espressionismo europeo, raccogliendo  ampi consensi, pur se fra polemiche ed iniziando un periodo di iperattività, secondo due filoni di produzione: uno di produzione quasi seriale destinato ai circuiti delle gallerie e del commercio d'arte, in cui non sempre si riscontra alta qualità, e l'altro della produzione di più alto livello qualitativo, destinato ad esposizioni nazionali ed internazionali.

Insofferente verso la vita di società e di forme di esibizionismo, Striccoli, chiuso nello scantinato di Villa Haas, lontano da amici e parenti, riusciva a produrre anche tre o quattro quadri al giorno.

Negli anni Sessanta Striccoli venne superato dalla pittura informale che  caratterizzava l'Arte di quel decennio. La sua produzione si spostò verso la produzione per le gallerie. Importante fu la personale che la Galleria Mediterranea gli dedicò nel 1965, con l'esposizione di 30 quadri dipinti prima del 1960. Nella seconda metà degli anni Sessanta emigrò ad Arezzo, dove morì nel 1980, dopo aver disegnato acquerelli in cui la maniera stanca e perciò sbrigativa di dipingere gli farà raggiungere doti di essenzialità ed immediatezza accentuate dalla momocromia.

In sintesi possiamo definire la ricerca pittorica dello Striccoli un tentativo di diluire nelle sue pennellate graffianti la tradizione luministica locale nell'esigenza di forme più attuali, senza però esasperazioni stilistiche, mediante un faticoso confluire nell'alveo dell'espressionismo europeo, dopo aver assecondato le mode ideologiche del regime fascista e senza poi riuscire a tener testa, negli anni Sessanta, alla generazione della stagione informale.

Morì ad Arezzo nel 1980.

L'immagine che accompagna questo articolo, che fa parte di una collezione privata, s'intitola "contadino pugliese".

(Febbraio 2023)

Saverio Altamura, armi, donne e pennello.

 

di Antonio La Gala

 

Saverio Altamura nacque a Foggia nel 1826. Venne a Napoli per studiare medicina, ma abbandonò questi studi per interessarsi invece di pittura e di politica. Si iscrisse all’Istituto di Belle Arti di Napoli, vincendo assieme a Morelli un pensionato artistico a Roma.

Subito dopo cominciò il suo periodo avventuroso di rivoluzionario. Dal 1848 al 1866 prese parte, ripetutamente, alle lotte risorgimentali, fra cui quelle garibaldine del 1860.

Nel 1848 lo vediamo a Napoli, sulle barricate di Piazza Carità. Trovatosi dalla parte perdente, si rifugiò a Roma, dove anche lì fece il rivoluzionario, simpatizzando con gli avversari del Papa. Fu arrestato; dopo l’arresto riparò a Firenze, dove trascorse un lungo esilio fino al 1867, inseguito da una condanna a morte in contumacia. In questo periodo andò anche a Parigi, in Francia, Inghilterra e Germania.

Caduti i Borbone tornò a Napoli e iniziò una fase di attività politica. Grazie all'amicizia con Garibaldi, divenne consigliere comunale. Poi nella Firenze temporaneamente capitale d’Italia, ricoprì incarichi governativi nel governo di Ricasoli.

Come pittore, Altamura mosse  i primi passi assieme a Domenico Morelli, suo coetaneo e condiscepolo ai tempi degli studi presso l’Istituto delle Belle Arti di Napoli, affiancandone poi l’azione di riforma antiaccademica e collocandosi fra i maggiori esponenti del romanticismo pittorico. Tuttavia, pur solidarizzando con Morelli, la sua concezione estetica rivolse maggiore attenzione ai contenuti ideologici piuttosto che alle esigenze formali. Scrisse di se stesso: “E’ stato sempre mio costume, nel concepimento di un quadro, prendere le mosse da un’idea, piuttosto che da una nota pittorica”.

In effetti la sua pittura oscillò fra un indirizzo storico-romantico e uno verista, con una forte inclinazione, soprattutto nei tardi anni napoletani, verso l'arte religiosa. Nel periodo fiorentino (1850-67) contribuì alla formazione del linguaggio dei Macchaioli. La sua produzione del periodo toscano risulta irreperibile.

Bell'uomo, con barba e capelli alla nazareno, collezionava amanti e conservava un ricordino per ognuna di esse (ninnoli, fazzoletti, spille). Sposò una sua allieva greca che lui credeva maschio, perché così gli si era presentata, fino a quando volle ritrarre un nudo del "giovinetto". La moglie lo lasciò perché lo ritenne responsabile della morte di una loro figlia per tisi. Altamura non si scoraggiò e passò a un'amica della moglie, pittrice.

La vecchiaia gli portò problemi di demenza: d'inverno camminava per Toledo vestito d'estate. Morì per infreddatura, nel 1897.

Altamura ci ha lasciato un’autobiografia intitolata “Vita ed Arte”, in cui racconta la sua stagione risorgimentale e artistica.

A Napoli sue opere si possono ammirare nella Cappella del Palazzo Reale, nella galleria dell’Ottocento a Capodimonte, a S. Martino e in numerose chiese. Altre sue opere si trovano nell’Istituto delle Belle Arti di Firenze, nella galleria Colonna di Roma, nella pinacoteca di Foggia, oltre che in collezioni private.

(Dicembre 2022)

Mattia Preti, arte e omicidi

 

di Antonio La Gala

 

Mattia Preti, uno dei maggiori pittori del Seicento napoletano e italiano, è noto ai vomeresi come eponimo di una elegante strada. Vediamolo un po’ più da vicino, anticipando che non era proprio uno stinco di santo. Nato a Taverna (Catanzaro) nel 1613, detto anche il Cavalier calabrese per le sue origini, verso il 1630 si recò a Roma dove si formò artisticamente, ricevendo una decina d'anni dopo le prime importanti commissioni. A Roma dipinse, fra l’altro, nel 1650-51, gli affreschi con le Storie di S. Andrea nella chiesa romana di S. Andrea della Valle.

Fondamentali per la sua formazione artistica furono i numerosi viaggi, ricordati da varie fonti antiche ma di cui mancano documentazioni certe, durante i quali andava costruendo la sua cifra stilistica attraverso i contatti che aveva con altri artisti. Pare che arrivasse fino alle Fiandre e in Spagna, ma è più verosimile che si spostasse per l’Italia settentrionale, dove venne a contatto con la pittura emiliana dei Carracci, di Lanfranco e del Guercino, e con la pittura veneta del Veronese.

Venuto a Napoli, vi dipinse dal 1656 al 1660-61, in effetti solo pochi anni, diventando però un protagonista della scena artistica napoletana. Realizzò in pochi anni numerosi affreschi, pale d’altare, opere per privati. Fra le numerose opere lasciate nella nostra città, ricordiamo gli affreschi del soffitto della chiesa di S. Pietro a Maiella; il “Figluol prodigo” di Palazzo reale e quello del Museo di Capodimonte, dove sono esposte altre sue tele.

Come artista fu particolarmente dotato, capace di fondere in uno stile personale e vigoroso vari elementi assimilati nelle sue peregrinazioni, dal caravaggismo dei primi anni romani al colorismo veneziano. I dipinti del periodo napoletano sono caratterizzati da un luminismo dinamico e intensamente espressivo.

Come uomo visse in maniera spericolata, e la sua biografia suscita interesse.

Nel 1642 con l’appoggio di Olimpia Aldovrandini presso il papa Urbano VIII, fu nominato cavaliere dell’ordine gerolomitano. Audace ed abile spadaccino, a Roma uccise in duello un avversario, motivo per cui venne a Napoli. Qui uccise un soldato che gli vietava il transito per rispetto di leggi sanitarie ai tempi di un’epidemia. Condannato a morte fu assolto dal viceré perché: “un uomo eccellente nell’arte, non deve morire”. Tuttavia "per espiare" fu condannato ad eseguire affreschi votivi sulle principali “Porte” della città, aventi per oggetto la peste del 1656, affreschi in gran parte perduti, fra i quali va annoverato quello sulla Porta di San Gennaro.

Andò via da Napoli per Malta, una prima volta nel 1659 e definitivamente nel 1661.

A Malta l’avventuroso Cavalier calabrese morì nel 1699 per un banale taglio procuratogli da un barbiere, andato poi in cancrena.  

(Novembre 2022)

Lo stile “floreale”

 

di Antonio La Gala

 

Nell'intera Europa, a partire dagli ultimi due decenni dell’Ottocento, e poi nel primo Novecento, più o meno il periodo della belle èpoque, si diffuse uno stile che improntava tutto ciò che circondava la gente: casa, arredamento, oggetti d’uso, arti figurative. Si trattava di un insieme di movimenti e tendenze artistiche che sotto vari nomi giunsero a coerenza di stile dapprima nelle arti decorative e poi in quelle maggiori, architettura compresa.

 Esso assunse nomi diversi nei diversi paesi: Art Nouveau in Francia, Modern Style in Inghilterra, Jugend-stil in Germania, Sezession in Austria, Liberty soprattutto in Italia.

Liberty era il nome di un negoziante di Londra che vendeva stoffe ed arredamenti ispirati al nuovo stile. Art Nouveau era il nome di un negozio simile aperto nel 1895 a Parigi.

Il nome con cui oggi viene indicato in maniera più generale questo stile è stile floreale, perché esso adottava come tema dominante la linea curva, sinuosa, ad imitazione stilizzata di fiori e piante.

Alcuni preferiscono parlare di "cultura" o "moda" floreale piuttosto che di "stile", perché, dicono, il nuovo gusto improntò i prodotti del più disparato uso comune, rispecchiò la cultura, la moda di quell'epoca e quindi non solo l'Arte nel senso estetizzante, cioè non fu uno "stile artistico".

In effetti il nuovo gusto mescolò tutte le arti, al di fuori della loro tradizionale distinzione accademica fra arti "maggiori" e arti "minori", applicandosi alla produzione degli oggetti più banali di uso quotidiano, dai manifesti alle sedie; si proponeva di avvicinare l'arte a tutti, anche se in pratica l'alto costo dei prodotti finì con il limitarne l'uso alle sole classi agiate.

Come tutti gli altri orientamenti artistici, il Floreale sorse come reazione alla moda del periodo precedente, in questo caso all'eclettismo ottocentesco, una rottura con la tradizione accademica. Esso fu un lievito di modernità, un nuovo sentimento di libertà compositiva e di indipendenza dagli stili del passato, ed ha costituito la premessa per le successive espressioni dell'Arte Moderna, riuscendo, fra l'altro, a creare in Europa un linguaggio e un clima artistico originale ed unitario.

L’affermazione del floreale oltre che da fattori estetici fu favorito infatti anche dallo spuntare di alcune teorie che si proponevano di mettere la Bellezza a disposizione di tutti e non solo di pochi privilegiati, materializzandola in oggetti di uso comune, idea che fu subito assecondata dall'industria che vi intravide l’affare di un settore in cui la facile riproducibilità degli oggetti ne moltiplicava la diffusione. In effetti il Floreale realizzò un incontro fra l'arte e la cultura moderna, l'industria e i suoi prodotti, conferendo bellezza estetica al loro uso funzionale. 

In architettura l'introduzione di nuovi materiali da costruzione, primo fra tutti il ferro, consentivano di assecondare con maggiore libertà le nuove linee stilistiche, non più rigidamente geometriche.

Il Floreale, come dimostra anche la pluralità di denominazioni con cui viene indicato, è un fenomeno molto complesso, soprattutto perché vi coesistono elementi contraddittori, come ad esempio il naturalismo e l'astrazione, intenti di funzionalità e ricchezza di decorativismo, istanze socialisteggianti e forme estetizzanti.

La nuova arte cercava la Bellezza nell'artificio sempre più abile e raro, oppure, all'opposto, in una sobrietà che assicurasse alla forma di mobili ed oggetti nuova funzionalità e una più elevata possibilità di vasta riproducibilità.

Con il tempo la sinuosità ricalcata sulla natura dell'originario decorativismo dell'Art Nouveau-Jungendstil di origine franco belga, cedette il passo alla linea geometrica ed astratta. In sostanza il Floreale, dopo aver operato una rottura radicale con la tradizione accademica dell'Ottocento, ha costituito la premessa per le successive espressioni dell'Arte Moderna. In architettura gettò le radici del protorazionalismo.

Il periodo d'oro della produzione di questo stile in Europa si è esaurito con gli inizi degli anni Venti; in Italia, e a Napoli in particolare, si è attardato lungo quel decennio.

Sul Floreale-Liberty negli anni successivi poi calò un’affrettata condanna dei critici d'arte, relegandolo per lungo tempo in soffitta, assieme a gran parte degli oggetti che aveva prodotto.  

(Giugno 2022)

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