Pensieri ad alta voce
di Marisa Pumpo Pica
Ci sono momenti, nella nostra vita, che lasciano il segno. Alcuni sono particolarmente gioiosi, altri di profonda sofferenza. Su uno di essi ci soffermiamo, oggi, in questi nostri “Pensieri ad alta voce”, attraverso i quali siamo soliti dialogare con noi stessi e con gli altri
Una morte apparente
Era come risvegliarsi da un coma profondo… Entrò nel suo studio con passo titubante e, di colpo, si trovò immersa - o sommersa? - fra le sue carte di sempre: libri, inviti a meeting, manifestazioni culturali, concerti, restling, locandine per mostre d’arte, recensioni, bozze di libri, suoi e di altri. E poi, targhe, medaglie, guidoncini dei Lyons e di altre Associazioni e Fondazioni, pergamene, ninnoli… Un mare ondeggiante dinanzi ai suoi occhi. Possibile che avesse raccolto, senza quasi accorgersene, tanto materiale? Utile, inutile? Caro, prezioso, insignificante? Superfluo? Era tutto lì, di colpo, dinanzi ai suoi occhi. Ora, dopo quel lungo periodo di stasi, forse, avrebbe potuto ordinarlo o prenderne le distanze o - perché no? - disfarsene, così, su due piedi. Farlo scomparire, dissiparlo in una nuvola, come di certo sarebbe avvenuto ad opera di altri, se lei fosse scomparsa improvvisamente. Ma tutto quel materiale era sempre lì. Ed anche lei era ancora lì, in quel caos organizzato e razionalizzato, nello studio come nella mente, Era ancora lì, in quello studio, magico nel suo disordine. Un non luogo perché luogo dell’anima, luogo del cuore, palpitante di ricordi, di illusioni, di sogni, di rimpianti...
Quel lungo periodo, popolato di sofferenze, di mali, di affanni, di preoccupazioni, l’aveva cambiata. L’aveva resa un’altra, nuova anche a se stessa. Diversa. Migliore? Peggiore? Chi poteva dirlo? C’era da chiederselo, ma non c’era risposta. Almeno non ora, non in quel momento, nel quale usciva da quel limbo di solitudine e di silenzio. Si era sentita d’improvviso privata di affetti, di amici, di calore umano. I suoi familiari, sì, c’erano e ci sarebbero stati sempre. Lo sapeva. Lo sentiva in ogni sfumatura del loro amore, ma anch’essi sembravano come emergere dal vuoto, da un vuoto, in cui erano scomparsi i suoi affetti, gli amici di sempre. Dove erano finiti? Ad eccezione di pochi, si erano tutti dileguati. Non udiva più voci intorno a sé.
Eppure non c’era sofferenza nel constatare di essere uscita, viva, dal mondo. Ma da quale mondo? Forse, quello in cui aveva creduto non era stato mai un mondo o, di certo, non il suo mondo, quello nel quale si era illusa, pensando di vivere circondata di affetto e simpatia. Il mondo amico ora lo vedeva con altri occhi: era un villaggio piccolo piccolo, con delle mura di cartapesta, come quelli di alcune favole che soleva raccontare alla sua dolcissima nipotina. Le amava le favole, la piccola. E le aveva sempre amate anche lei. Da bambina e da adulta. Aveva anche creduto alle favole, come a quella della bella addormentata che si risvegliava all’improvviso per ritrovare il suo principe… Aveva creduto alla favola dell’amicizia che dura in eterno, mai scalfita da nulla e nemmeno logorata dal tempo, alla favola della stima e della simpatia che permangono e perdurano, anche quando non fai nulla per nessuno e nessuno deve ricambiare alcunché. La favola ora si era conclusa con lunghi giorni di solitudine e silenzio. Sì, una solitudine, sorella del silenzio, che però le era parsa anche bella. Non le aveva dato noia. Non le aveva procurato dolore, ma quasi un senso di sollievo, di nuova libertà, di nuova vita. La solitudine si era illuminata di silenzio, laddove il silenzio si faceva voce del cuore, soffio dell’anima e aveva offerto linfa alla poesia. Quanti versi erano nati in quel silenzio, in quella solitudine! Versi vergati in fretta, scritti di getto, in qualsiasi ora del giorno o della notte, e tuttavia lasciati lì, abbandonati, ancora in bozza, sulla sua scrivania, in mezzo a tutto il resto.
Rientrando dopo tanto tempo nel suo studio, si era sentita quasi un’accumulatrice seriale, ma non solo di libri e di oggetti, come pensavano i suoi, che glielo ripetevano spesso, a volte con il sorriso, altre con espressione più seria. Ebbene, era vero. Nulla da replicare. Era un’accumulatrice seriale, non solo di libri, di ninnoli, di oggetti, ma anche di sentimenti, di ricordi, di illusioni, di rimpianti Un turbinìo di emozioni che, alla vista di quegli oggetti, le gonfiavano il cuore.
Forse era meglio uscire da quello studio dove, per tanto tempo, non era più rientrata. Aveva vissuto un’altra vita, in un’altra dimensione dello spazio e del tempo. Ed ora tutto riprendeva… Doveva riprendere. Come prima: le telefonate, le conversazioni, gli amici, il giornale, la routine di ogni giorno. Tutto come sempre. Ma non identico a sempre. Ora aveva capito tante cose in più della vita che non aveva appreso quando aveva vissuto prodigandosi per gli altri, dando ogni giorno qualcosa, senza mai aspettarsi di ricevere qualcos’altro, in restituzione. Aveva capito che, nella dimensione esistenziale e banale del quotidiano, non esistevano cambi, ricambi o restituzioni. Tutto andava avanti così, un po’ a caso, e chi poteva o voleva prendeva. Prendeva semplicemente, senza porsi domande su quel che gli veniva offerto ed anche senza porsi limiti. Ora si rendeva conto che doveva pensare un po’ più a se stessa, a coltivare il proprio io, il proprio ego, come facevano ed avevano fatto tanti conoscenti ed amici. No. Meglio conservare un io piccolo piccolo, semplice, umile, modesto, ma soprattutto pago della propria finitudine. Il piccolo io può sfidare se stesso ed accrescere le sue potenzialità, nella molteplicità delle proprie aspirazioni. Il grande ego, gonfio di vanità, pieno di boria e di arroganza, diventa smisurato e nulla più lo appaga, nella smania di un falso Infinito.
Riordinare lo studio? Liberarsi di qualcosa, di molte cose? Si poteva, ma… “Ci penserò domani”, disse fra sè, come aveva annunciato la protagonista di quel romanzo “Via col vento”, laRossella O’ Hara, che l’aveva incantata negli anni giovanili.
Ancora uno sguardo smarrito alla scrivania, gremita di bozze da portare a termine per tanti lavori, lasciati incompiuti.
Ricordò improvvisamente le belle parole di Papa Francesco di qualche domenica precedente, quando, all’Angelus, nel commentare il Vangelo di Lazzaro, che esce dal sepolcro al richiamo del Signore, per rinascere a nuova vita, esplicitava il senso profondo di tale miracolo, sottolineando che ognuno di noi può avere momenti difficili e sentirsi oppresso dal dolore, dai mali. Quell’Angelus si era chiuso con la sua accorata esortazione a “non chiudersi in se stessi, nel sarcofago delle proprie sofferenze, a non cedere al pessimismo”.
Quelle parole del Papa le apparvero quanto mai calzanti.
Era di nuovo viva, anche lei, finalmente.
Era stata una morte apparente...
(Maggio 2023 - Gli articoli vengono riprodotti quali ci sono pervenuti)
NAPOLI CAMPIONE D’ITALIA
di Luigi Rezzuti
Il primo scudetto del Napoli fu vinto nell’era Maradona, che giocò nel Napoli dal 1984 al 1991. In quella stagione l’allenatore era Ottavio Bianchi. La squadra si classificò prima davanti al Milan, Inter e Juventus. Nel secondo scudetto (1989 – 1990) il Napoli si classificò primo davanti alla Juventus, Inter, Verona e Milan, in panchina sedeva l’allenatore Alberto Bigon. In entrambe le stagioni scudettate il presidente proprietario del Napoli era Corrado Ferlaino. In quella stagione nel Napoli giocavano: Giuliani, Ferrara, Renica, De Napoli, Corradini, Crippa e in attacco Maradona, Careca e Carnevale. Ma il Napoli nella sua storia calcistica ha vinto anche 6 Coppe Italia, 2 Super Coppe italiane, 1 Coppa Uefa e sfiorato varie volte la conquista dello scudetto, che purtroppo per episodi non chiari… non riuscì a vincere. Sia nel primo che nel secondo scudetto la città diede vita ad una grande festa a cielo aperto: piazze, strade, vicoli, quartieri interi si colorarono con striscioni, bandiere, cortei di auto che sbandieravano lo stemma dello scudetto. Era il 10 maggio, festa della mamma, ma quel giorno fu la festa dei napoletani.
Oggi, a distanza di 34 anni, con il campionato ancora in corso (2022-2023), il Napoli di Luciano Spalletti, presidente Aurelio De Laurentiis, si è aggiudicato il terzo scudetto della storia, disputando una stagione semplicemente straordinaria e distanziando, con un grosso margine di punti, squadre come: Lazio, Inter, Juventus e Milan. Tra i vicoli del capoluogo partenopeo l’entusiasmo è alle stelle per un trionfo ormai annunciato. I quartieri si sono riempiti di tricolori e di immagini dei calciatori di Spalletti. Bando alla scaramanzia, in barba alla matematica, per giorni e giorni, Napoli si è truccata a festa per lo scudetto che mancava dai tempi di Maradona. Si sono colorati i vicoli e le scalinate, scegliendo l’azzurro con bandiere, magliette e lunghe strisce di plastica, sono state tappezzate le strade più eleganti della città e dei quartieri più popolari con scritte e scudetti. Anche se la fine del campionato è ancora lontana, i preparativi sono partiti già da qualche mese e tra i quartieri c’è una vera e propria gara per l’installazione più originale.
La “febbre” è talmente alta che gli abitanti deivari rioni si sono persino autotassati per collaborare agli allestimenti e annunciare feste a sorpresa; uno degli ultimi interventi è stato realizzato su una scalinata di un vicolo dei quartieri Spagnoli dove decine di bandiere fanno da sipario a una scalinata azzurra su cui è stato dipinto un grande scudetto. Una scalinata che non poteva chiamarsi che “Salita Paradiso”. Ma le immagini col tricolore e il TRE, numero degli scudetti azzurri, hanno fatto capolino un po' dovunque, in tutta la città partenopea. I ritratti dei giocatori di Luciano Spalletti tappezzano ormai l’intera città. In attesa spasmodica solo della matematica che consegnasse un trionfo che mancava dai tempi di Maradona, Il Napoli già da tempo iniziava a intravedere il traguardo dello scudetto numero Tre. Il successo con la Juventus ha avvicinato ulteriormente i partenopei verso lo scudetto: verso la matematica vittoria del titolo di Campioni d’Italia. Con un margine di punti così importante, i partenopei hanno iniziato a festeggiare la vittoria del terzo scudetto della storia, dopo i due vinti nel 1987 e nel 1990. Il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, insieme al sindaco del capoluogo campano, Gaetano Manfredi, hanno lavorato ai preparativi della festa scudetto che prevede mille ospiti a bordo di una nave da crociera. Manca poco alla fine della serie A, il Napoli è primo, segue la Lazio, la Juventus, la Roma e il Milan.
La città è già esplosa in una festa memorabile, però la festa scudetto ufficiale, con annessa premiazione della squadra, si svolgerà nell’ultima giornata di campionato, in programma domenica 4 giugno. La società con il comune e il Prefetto lavora al piano per la festa: due giorni di celebrazioni, il 3 e il 4 giugno, il primo giorno di festa allo stadio Maradona, dove sarà installata una piattaforma rotante (14 X 14 metri): i calciatori saliranno per essere premiati individualmente. Ma non finisce qui. Saranno, inoltre, montati sei maxi schermi per mostrare ogni dettaglio della celebrazione agli spettatori. Nel secondo giorno la logistica resta la stessa: sede centrale a Piazza Plebiscito, mentre le piazze di supporto saranno Piazza Giovanni e Paolo II a Scampia, Piazza Mercato e l’ex Nato di Bagnoli. I palchi saranno, invece, montati alla Cassa Armonica di Castellammare di Stabia, Piazza San Ciro a Portici, Piazza d’Armi a Nola, la Villa Comunale di Pomigliano d’Arco, il mercato ortofrutticolo a Giugliano e Piazza della Repubblica a Pozzuoli.
(Maggio 2023)
Pensieri ad alta voce
di Marisa Pumpo Pica
Il giornalismo oggi
Dove eravamo rimasti?
Dunque… Dove eravamo rimasti?
Fu la celebre frase, pronunziata da Enzo Tortora, alla ripresa della fortunatissima rubrica Portobello.
Grande l’emozione del conduttore nel rientrare negli studi televisivi della Rai, tra le ovazioni del suo pubblico, dopo aver subìto un lungo, iniquo processo.
Anche noi riprendiamo, non senza emozione, la nostra rubrica e, con essa, il dialogo ideale con quei nostri tre o quattro lettori, di manzoniana memoria, dopo aver superato l’iniqua sorte, presentatasi sotto le spoglie di difficili vicende personali e familiari.
Dunque… ritorniamo, oggi, interrompendo un lungo silenzio, ai nostri Pensieri ad alta voce che ci portano a parlare di giornalismo. Un tasto dolente. Un tema che ci sta molto a cuore. Lo abbiamo affrontato da sempre, in anni lontani ed in tempi più vicini a noi, in circostanze e forme diverse, attraverso conferenze, dibattiti, convegni, articoli, recensioni.
“Quale giornalismo oggi?” ci chiedevamo in anni lontani, insieme a giornalisti di rango, alcuni dei quali, ormai, non più tra noi, come Ernesto Filoso e Giampaolo Pansa, …. tanto per citarne alcuni. Eravamo scettici e pessimisti, allora. Lo siamo ancor più, oggi, Ed a ragion veduta.
Ci occupavamo, allora, soprattutto del giornalismo su carta stampata.
Oggi il discorso si fa più duro ed amaro, nel constatare quale tipo di giornalismo trionfa in TV.
Conduttori televisivi, sempre pronti a salire sul carro del vincitore, ad organizzare dibattiti, in cui poco si concede alle voci critiche e molto, invece, all’assordante schiamazzo corale, per giungere alla fine, alla felice conclusione che, per fortuna, tutto va bene, oggi, ed andrà, ancor meglio, domani.
Dibattiti televisivi nei quali poco si dibatte e molto si afferma, per offrire un quadro, talvolta addirittura esaltante, della nostra attuale realtà culturale, sociale, politica.
Tavole rotonde in cui dominano atteggiamenti sempre più aggressivi e sfrontatamente pilotati, molto simili a quei questionari, apparentemente a risposta aperta e multipla, nei quali, invece, la risposta è già implicita nella domanda.
Un giornalismo, sempre più spesso falso e retorico, in cui il conduttore non conduce, ma prende a prestito il mestiere dal doppiatore e, come negli sketches comici più riusciti, fa da spalla al politico di turno, per evitargli lunghi discorsi programmatici e risparmiargli, soprattutto, la fatica di doversi promuovere da solo o, da solo, poter difendersi dalle accuse degli avversari.
E se poi il conduttore non ce la fa, in tale impresa, chiede aiuto all’opinionista, che ancora non si sa bene chi sia diventato oggi: figura a mezza strada tra la voce critica della cosiddetta società civile e l’esponente più seguito sui social, l’influencer con la sua lunga schiera di followers, destinato ad avere sempre l’ultima parola, nel passaggio da un’emittente all’altra, da un programma all’altro, fra ampi giri di parole e di poltrone.
Un tempo lo avresti detto capobanda o, con un simpatico dialettismo, capintesta.
Per non parlare, poi, di come vengono presentati i fatti di cronaca e gli eventi, che rimbalzano, a ritmo incessante (anche questi) da un’emittente all’altra, da un programma all’altro, con commenti e servizi che sembrano usciti da una fotocopiatrice.
Dove sono più quelle gloriose Scuole di giornalismo, tenute, non da cattedratici che insegnano digitalizzazione, formattazione e quant’altro, come avviene oggi, ma da vecchi giornalisti che insegnavano ai loro giovani colleghi, impegnati nel praticantato, come occorre cogliere il fatto nel suo stesso accadere, pura cronaca, su cui, ovviamente, non possono essere esclusi commenti nè approfondimenti.
Il giornalismo, oggi, è spesso solo un copia e incolla, maldestro e farraginoso o, per i più quotati, reso con più attenzione, a malapena più attendibile, ma sempre gloriosa fotocopia, che rimbalza, abbondantemente pubblicizzato/a, da una testata all’altra, da un telegiornale all’altro, da un talk show all’altro, in radio o in tv.
Qualche esempio più recente? Il caso del piccolo Ryan, ridotto quasi in fin di vita, il femminicidio dell’avvocatessa Martina Scialdone, l’arresto del latitante Matteo Messina Denaro, la morte di Gina Lollobrigida.
La Lollo tra gossip e contenzioso giudiziario
La figura della diva, un mito del cinema italiano ed internazionale, vivisezionata fin nelle pieghe più riposte dell’anima e della vita.
Qui il giornalismo ha raggiunto davvero il suo apice. Un giornalismo malevolo, intrigante pettegolo, in cui, in molti, come insaziabili predatori, si sono dati da fare per spolpare l’osso fino in fondo, pizzicando qua e là sui fatti e nel quotidiano della diva. Tutto per dovere di cronaca, per far chiarezza, come è stato più volte ribadito. Ci si è infilati di diritto nelle controverse vicende personali e familiari dell’attrice, al punto tale da sviscerare i rapporti tra madre, figlio, il presunto marito spagnolo, Javier Rigau, ed un’altra strana figura, al centro del dibattito e, per ciò, appunto discussa e discutibile, il giovane Andrea Piazzolla, definito da ciascuno, di volta in volta, in vario modo, ma sempre a pieno titolo, factotum, tuttofare, figlioccio, “amato da lei e a lei dedito come e più di un figlio”. Uno spionaggiodal bucodella serratura, in perfetto stile Sherlock Holmes, fino a ricostruire l’entità del patrimonio e cercare di scoprire se e quanti testamenti fossero stati depositati.
Schieramenti fra i sostenitori dei diversi aspiranti ai beni della defunta, testimonianze di amici storici, o presunti tali, di sedicenti amiche della diva che dichiarano di avere avuto a lungo, rapporti sinceri ed affettuosi con lei, per oltre 12, 14, 20 anni e più, di avere condiviso gioie, dolori, feste e viaggi. Testimonianze e liti in diretta TV, con paradossali forme di snobismo, protagonismo ed affermazioni esasperate dell’ego.
Questo ci è toccato di vedere mentre, per nostra buona sorte, si susseguivano le immagini, bellissime, di una diva che ha segnato un’intera generazione, dando prestigio al cinema italiano del Novecento. E solo di questo avremmo voluto sentir parlare dai nostri giornalisti. Il resto poteva essere tranquillamente lasciato in pasto ai giornaletti di gossip!
A nessuno è venuto in mente di ricordare che la Morte segna la parola fine sulle vicende umane e sullo squallore di queste vicende, se dovesse esserci.
A nessuno è venuto in mente che esistono parole come riguardo, decoro e riservatezza. Sempre. E, soprattutto, dinanzi alla morte.
Non a caso ed opportunamente, in chiesa, il celebrante del rito funebre ha invitato al silenzio i presenti.
Maledetto ingranaggio, questa nostra TV, macchina infernale dell’Informazione che, quando ti agguanta, ti fa suo prigioniero e non ti lascia più. Come un dannato vampiro, si nutre del sangue e del dolore dei protagonisti dei fatti narrati, da cui, invece, bisognerebbe saper prendere le distanze.
È quanto basta per il giornalismo del servizio pubblico!
Gli alienati del copia e incolla
Che dire di quella moda, oggi trionfante, del giornalismo copia e incolla, a cui abbiamo più sopra accennato? Pseudo giornalismo, stracquo e ripetitivo, nel quale si copia di tutto e di più. Basta sedersi a tavolino, accedere ai vari motori di ricerca del pc, il che significa per molti copiare di sana pianta, di qua e di là, tutto quello che si trova sullo stesso argomento che si vuole trattare, congiungere pezzi e strafalcioni e il gioco del copia e incolla è bello e fatto. Si copia dappertutto: dai quotidiani e dalle testate scientifiche, nella migliore delle ipotesi e per i più dotati. Spesso, sconcertante sorpresa! perfino dai “bugiardini”, che accompagnano i medicinali, dai comunicati, dalle locandine per le mostre … e chi ne ha più ne metta. Ma di preferenza e soprattutto, per i meno capaci, si copia dal web, dai social che, con i loro followers, sono diventati i giornali odierni, grazie ai quali si registrano, e non solo fra i giovani, esasperate dipendenze, sempre più difficili da superare. Si copiano fake news e cavolate varie, fatte passare come le ultime scoperte, gli ultimi ritrovati della Scienza, attraverso like e condivisioni a catena.
Si sviluppa, di qui, l’ascetica, apostolica convinzione di trasmettere un Vangelo, da affidare ai posteri come lascito testamentario per le future generazioni, che ben volentieri seguiranno, forse, le orme dei Padri.
Dove sono quei vecchi direttori di una volta che, nelle riunioni di redazione del giornale, ai giovani che aspiravano a fare praticantato con loro ricordavano, per prima cosa, che la professione del giornalista era dura e non andava presa sotto gamba. E, con bonaria severità, ripetevano: “Scarpinate giovani, scarpinate.” Un verbo molto significativo con cui si ribadiva la difficoltà di una professione, per esercitare la quale, bisognava andare per le vie, le stradine, i vicoli, le piazze della città e della regione, per cogliere, in ogni dove, idee, spunti, fatti, mentre accadevano, mentre si manifestavano.
On-line, tutto si fa per Te e con Te! È il nuovo inno dei nostri giorni. È il nuovo modo di intendere quella che era una gloriosa, gratificante professione. Altro che il faticoso scarpinare, raccomandato dai direttori delle vecchie testate giornalistiche. Oggi un programma televisivo viene costruito col ricorso a stralci di immagini, clip, spezzoni di interviste, di programmi e di talk show. Il tutto proposto e riprodotto all’infinito, fino allo sfinimento dello spettatore.
Non la intendevamo così, un tempo, quella bella ma anche impegnativa e scomoda professione, che ti chiedeva di mettere le ali all’ingegno e alla creatività, con cura artigianale, come per i vecchi mestieri, che vanno scomparendo anch’essi…
(Marzo 2023)
Filo diretto con i lettori
Ringrazio tutti coloro che hanno fatto pervenire un commento al mio recente articolo “Quale giornalismo oggi?” (marzo 2023). Per comprensibili motivi di spazio, pubblichiamo soltanto i primi tre che ci sono pervenuti.
Un grazie di cuore agli autori di questi tre interventi non tanto per le lodi, che mi sembrano eccessive, ma che, peraltro, so essere sincere e, per ciò appunto, danno gioia, quanto per le acute osservazioni sull’attuale crisi del giornalismo che ci auguriamo possa essere non “inarrestabile”, ma soltanto temporanea.
Grazie anche per averci fornito l’occasione di avviare, in modo inatteso, un filo diretto con i lettori.
Sul giornalismo
Romano Rizzo
Con immenso piacere ho letto l’interessante articolo che la nostra Marisa Pumpo ha regalato a tutti i lettori de ilvomerese.com. Finalmente una ventata di aria pura ed un corretto argomentare hanno rotto quella nube di timida ovvietà ed acquiescenza che caratterizza troppa stampa.
Niente ha addolcito e nessuna reticenza ha avuto nella denuncia dei troppi mali che affliggono l’informazione in tutte le sue forme.
Mi ritrovo con lei, come già in moltissime altre occasioni, in perfetta sintonia, forse perché io sono stato, in gioventù, un accanito lettore di libri, giornali e riviste, anche se un po’ troppo severo. Basti dire che, tra i giornali, le mie preferenze andavano solo alla Stampa ed al Corriere della sera, per il valore degli articolisti e per la cura e la giusta ricercatezza delle espressioni usate. Il mio tempo era dedicato, in quegli anni, alla lettura delle Riviste Settimanali come Epoca, Panorama, L’Europeo, L’Espresso, Oggi, Settimo giorno e la Settimana Incom, Tempo, Visto, che ritenevo, per motivi diversi, degni della mia attenzione e che, in effetti, non mi deludevano mai.
Oggi parecchie di queste riviste non ci sono più e le poche che restano seguono le linee editoriali imposte da nuovi proprietari che nulla avevano avuto a che fare col giornalismo di un tempo.
L’Espresso, ora, è di proprietà di Jervolino e non sembra più quello di Scalfari. Perfino il Corriere della sera, gloriosa testata della famiglia Crespi, oggi rientra tra le pubblicazioni di Cairo (l’inventore di quei settimanali di spot e gossip, con molte foto e brevi didascalie, che quasi non si differenziano tra loro ma hanno il grande pregio di costare poco e di rendere molto!) E’ da considerare poi che, con l’avvento di pc, Internet e social, la informazione dei quotidiani non riesce a competere e si può affermare che la stampa tutta soffra, come, peraltro, la canzone e l’arte classica, una sempre più difficile presa sulle nuove generazioni.
Cosa aggiungere? O tempora o mores! - direbbero gli antichi - ma io mi convinco sempre più che a noi benpensanti tocca di cercare, se non di fermare, almeno di rallentare questo inarrestabile processo.
A noi altri tocca, inoltre, l’onere di far conoscere e divulgare i pensieri e le considerazioni della nostra cara, grande Marisa, dopo averne celebrato, in maniera adeguata, il tanto atteso ritorno.
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Maria Rosaria Petrungaro
Che articoli giornalistici!!!… Tutto vero quello che avete pubblicato e che pubblicherete sul vostro giornale Il Vomerese… Siete Grande… come Grande è l’impegno per la vostra associazione culturale, “Cosmopolis”, che diventa sempre di più uno sprone interiore per noi cittadini, spingendoci a considerare che vita vogliamo vivere e in qual modo viverla. Speriamo solo che i social e le informazioni che ci arrivano tramite la TV non peggiorino il modo di pensare dei cittadini... Grazie e serena e gioiosa giornata… Affettuosamente.
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Emilia Menini
Complimenti per aver ripreso in mano la tua più bella attitudine, il giornalismo, grazie al quale la tua penna si esprime attraverso la verità.
(Aprile 2023)
Spigolature
di Luciano Scateni
Voglia di tregua
Scoppia la pace. L’Italia, il mondo intero, nelle piazze dei cinque continenti, si veste di arcobaleno. Si astengono dallo “stop Putin, stop war”, la Cina, perché motivata dalla crescente incompatibilità con gli Stati Uniti e pronta a replicare l’espansionismo neocolonialista della Russia con l’annessione di Taiwan, delle sue ricchezze naturali. Si associano l’India, economicamente dipendente dalla Russia, dalla Cina e la Corea del Nord, succursale di Putin, ma anche alcune oasi territoriali africane. Votano contro, virtualmente, esplicitamente, frange italiche di filo putinismo. La straordinaria mobilitazione di questi giorni è, insieme, tardiva e incalzante. Si fa strada la consapevolezza di retroscena che poco o nulla hanno a che fare con la follia della guerra fratricida, spacciata per rivendicazioni nazionaliste da Putin e Zelensky. L’obiettivo dei due belligeranti è palese: appropriarsi di territori gratificati dalla natura con preziose risorse naturali. Su questa disputa hanno rapidamente speculato i ‘signori delle armi’, i despoti che monopolizzano le risorse energetiche, la politica.
L’incontestabile presupposto dell’aggressione russa a un Paese sovrano ha spento, sul nascere, le istanze del pacifismo, l’impegno alla neutralità attiva, dettata in Italia, e purtroppo non altrove, dalla Costituzione per scongiurare una nuova tragedia, dopo settantacinque anni di quiete mondiale, con alcune eccezioni. A tappe, tutt’altro che forzate, l’idea di una guerra dissennata, non dichiarata, tra Stati Uniti, Europa e grandi potenze dell’Est ha provato a irrobustirsi per contrapporre motivazioni umanitarie alla ignominia di vittime innocenti, città rase al suolo, milioni di Ucraini in fuga dalla loro terra, di vite brutalmente spezzate. Il mondo ha finto di mediare, di collocare Putin e Zelensky uno di fronte all’altro per un risolutivo regolamento di conti. Altrettanti bluff.
A imbavagliare le speranze hanno concorso l’evidente timidezza dei movimenti pacifisti, le indecisioni onnicomprensive di pro Zelensky e pro Putin, il pensiero unico a difesa dell’indipendenza ucraina senza se o ma e, sul fronte opposto, il diritto ad annettere l’Ucraina per impedire l’espansione dell’Europa e della Nato ai confini diretti con la Russia.
Se il mondo si mobilita, se l’Italia fa altrettanto, dopo un anno intero di accettazione quasi passiva della guerra, di forte disagio sociale, di contrapposizioni politiche sterili e ora risponde “presente” alle manifestazioni per la pace, sollecitate dall’accorato appello di Papa Francesco, è forse meno impossibile la missione di far tacere le armi, di sanare il vulnus di un conflitto crudele, di porre fine ai crimini contro l’umanità.
Conforta che Wellington (Nuova Zelanda), New York (Stati Uniti) e, in Europa, Roma, Milano, Napoli, città dove risiedono cittadini russi e profughi ucraini sensibilizzino il mondo sulla tragedia della guerra.
(Marzo 2023)