Pensieri ad alta voce
di Marisa Pumpo Pica
La notorietà
La notorietà…Che cosa è? Come la si raggiunge? Quali sono le origini, i fondamenti, i requisiti (o meglio i retroscena) che la supportano?
Sono, queste, solo alcune delle domande che, a volte, ci poniamo dinanzi a questo tema. Oggi più che mai, considerati i casi vistosi di estrema e quasi ossessiva notorietà, esibita da molti. E da alcuni, in particolare.
Bella parola, la notorietà!
Ma che cosa è? Ci chiediamo perplessi. Un distintivo da appuntarsi sul petto?
Per cominciare, diciamo subito che riteniamo discutibile, il parametro con il quale, oggi, l’essere umano si accredita la notorietà come indiscusso patrimonio personale, da custodire gelosamente in quella banca, dallo sportello sempre aperto, gestito h/24, dal grande carrozzone dei Social.
Un tempo o, ancora meglio, ai nostri tempi... (lasciatecelo dire, cari lettori, l’età ce lo consente e, proprio per questo, possiamo dirlo, senza acredine, ma con garbato e nostalgico realismo)… ai nostri tempi si era soliti affermare, nei confronti di chi la meritava e davvero l’aveva conquistata: “é persona nota ed apprezzabile.” E qui i due aggettivi qualificativi, si sostenevano l’un l’altro, ma era quell’apprezzabile, che rappresentava il supporto necessario a sostenere il sostantivo, ovverola persona. Era quell’apprezzabile che conferiva un senso ed un valore autentico, alla persona e alla notorietà, qualificando, dunque, entrambi i termini.
L’impulso ossessivo della notorietà, suggestivo e discriminante
Oggi, grazie ai Social tutti pensano di aver raggiunto la notorietà, ma c’è da chiedersi: quanti possono dire di aver raggiunto una notorietà, che non sia quella che hanno impunemente attribuito a se stessi? Quanti, fra le persone che conosciamo, più vicine a noi o più lontane, possono dirsi veramente seri ed apprezzabili, affidabili nel lavoro, negli impegni o anche soltanto nelle promesse (spesso fatte e mai mantenute)? Molti, pochi o quasi nessuno?
In passato, per gli antichi, la Fama era una divinità, che si fermava su sovrani e guerrieri, con il suo alone magico, per conferire gloria ed onori e farli entrare, a loro volta, nella cerchia delle divinità e degli eroi. Ci pensavano il Teatro e i Giochi olimpici.
Poi, ad assegnare la gloria, sono subentrati Stampa, Radio, Televisione. E qui le cose sono già un po’ cambiate ed è stato sempre più difficile intravvedere la verità e riuscire a distinguere tra bravura e clientelismo.
Oggi, ci pensano i Social e all’alone divino della Fama si è sostituita la Suggestione, anch’essa magica, che pure sembra avere qualcosa di divino e di soprannaturale, a meno che non volessimo, ma noi lo vogliamo, considerarla surreale e, ancor più, frutto di forze demoniache, che fanno vivere all’uomo l’ossessione della notorietà, fino a creare dispute, conflitti e barriere. A tal punto che essa diventa una discriminante, che nulla ha a che vedere con capacità, intelligenza, cultura o quant’altro. Alla qualità subentrano quantità e numero, cuoricini, faccine, pugno e braccia in alto e tanti mi piace… E chi ne ha, più ne metta... Sono i follower, come i folletti dispettosi delle antiche favole, a decretarla e a benedirla questa notorietà, salvo, poi, anche a bandirla, decretandone la Fine. Scusate, ma qui il gioco di parole era d’obbligo.
Il circolo vizioso
Ed ecco il circolo vizioso. L’accalcarsi sui Social, la frequenza del comparire e dell’imporsi, con storie, foto, video ed ogni mezzo che il digitale mette a disposizione, creano la suggestione della notorietà, per chi riesce a farla valere, e la notorietà raggiunta, a sua volta, genera ulteriore suggestione su chi ne subisce il fascino.
E tuttavia non si può negare che suggestione e circolo vizioso determinano, molto spesso, una inaccettabile discriminazione.
Grazie ai Social, però, pur tra suggestione e discriminazione, alla fine siamo felici e contenti, perché ci sentiamo tutti noti, anche se non tutti sempre apprezzabili. Ci facciamo conoscere. Vogliamo farci conoscere. E diventiamo tutti attori e protagonisti, pur se non siamo mai entrati in un teatro, né abbiamo mai calcato un palcoscenico, per annusarne la polvere ed avvertirne il brivido.
Dal sinolo la risposta
Vediamo, però, di giungere ad una qualche conclusione, che possa essere una risposta al quesito iniziale.
Ogni cosa, ce lo spiegava Aristotele, è un sinolo (synolon), un composto di materia e forma. Bene. Chiediamoci, allora, come agli inizi del nostro discorso, che cosa è veramente la notorietà, di che cosa si compone. È forma o contenuto? Quale il suo substrato, l’origine e il fondamento?
A questo punto, ripensando ad Aristotele, le risposte dovrebbero essere tutte implicite.
Ci sembra, infatti, che chi fa il suo balzo verso la notorietà, attraverso i Social, non abbia, solo per questo, tutti i requisiti che lo rendono tale da essere considerato apprezzabile. Dovrebbe esserlo per quello di cui il suo io si sostanzia. Il presenzialismo, da solo, non può dare la notorietà. Quale è il “contenuto” della notorietà? Quale è la “materia” al di là della “forma”? La forma qui è rappresentata, nel caso dei Social, dal numero dei follower, dalla prevaricazione di chi si impone con la forza o con espedienti vari, da un presenzialismo, insomma, che nulla ha a che vedere con la notorietà.
E questo è il punto fondamentale. C’è un essere umano, che, stando alla lezione aristotelica, dovrebbe essere costituito da una forma e da un contenuto. C’è una forma, ma dove è il contenuto? Dove sono la ricchezza spirituale, l’empatìa e la generosità verso il prossimo, la capacità del dibattito e del confronto?
Ritornando, invece, al frastuono assordante e allo scintillio accecante dei Social, ci sentiamo di ricordare che un po' di silenzio, in tanto frastuono, qualche ombra in tanto luccichio, faranno pur bene al cuore, per consentirgli di ritrovarsi, e a tutti noi di riconoscere noi stessi... Di riprovare a godere delle piccole cose di pessimo gusto… di gozzaniana memoria, a stupirci per un filo d’erba su di un prato, per un cielo azzurro, uno spicchio di luna, un tramonto dorato, se per caso ci accorgiamo ancora che esistono, che ci sono, per noi, quali doni preziosi, offerti da Madre Natura...
Ottobre 2025
Quarant’anni dalla morte di Giancarlo Siani
A quarant’anni dalla morte, di Giancarlo Siani, mentre fervono iniziative varie, conferenze, intitolazioni di scuole al suo nome, documentari e quant’altro, vogliamo dare anche noi un piccolo contributo commemorativo, riportiamo qui di seguito, su questo periodico, che allora veniva pubblicato a stampa, un articolo, scritto nel settembre del 2010, nel venticinquesimo anniversario della sua barbara uccisione. Avremmo potuto scannerizzarlo, ma la lettura sarebbe risultata più difficile. Lo riprendiamo, invece, integralmente, dall’archivio del nostro pc, per i lettori di oggi, con la stessa commozione di quei lontani anni.
Ricordando Giancarlo Siani
Nel venticinquesimo anniversario della morte
di Marisa Pumpo Pica
Eravamo in classe, come sempre, in un lontano mattino del settembre del 1985. Arriva trafelata un’alunna, in ritardo sull’orario d’ingresso a scuola. Alla nostra richiesta di spiegazioni sul suo ritardo, che celava un velato rimprovero, una risposta agghiacciante nella sua drammaticità: “Hanno ucciso ieri sera un giovane cronista de “Il Mattino”, qui, al Vomero, in Piazza Leonardo, proprio dove abito io. Questa mattina c’era una gran confusione di auto e di persone. Mi sono attardata e di questo le chiedo scusa. Volevo saperne di più.”
Voleva saperne di più la nostra giovane alunna, come vorrebbero saperne di più, ancora oggi, ogni volta, i tanti giovani delle scuole napoletane, nelle quali tiene desta la memoria di Giancarlo Siani, il fratello Paolo, con Geppino Fiorenza, responsabile di “Libera” Campania, con don Ciotti, presidente nazionale della stessa Associazione, con don ToninoPalmese, unitamente ai tanti giornalisti de “Il Mattino”, a scrittori e registi, impegnati a testimoniare il coraggio e la passione del giovane cronista, crivellato di colpi nella sua Mehari, sotto casa, mentre rientrava, alle 21 di quel terribile 23 settembre. Fu ucciso perché era riuscito a ricostruire, “pur nei ristretti spazi che gli venivano concessi, gli scenari di camorra, gli equilibri di potere”, mettendo in luce “le articolazioni tra camorra, imprenditoria e politica”, come ha scritto recentemente Roberto Saviano, l’autore di “Gomorra”, sulle pagine dello “Speciale Il Mattino”, nelle quali si è voluto ricordare il venticinquesimo anniversario della morte di Giancarlo Siani. Tante le manifestazioni per la ricorrenza, tanti gli incontri, le presentazioni di libri e di filmati, ivi inclusa la cerimonia di consegna del “Premio Siani”, giunto alla VII edizione, sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica, svoltasi presso la sede de “Il Mattino, in Via Chiatamone.
Un giovane, Giancarlo Siani, “ucciso per il talento, condannato dalla città feroce. Napoli impari dalla sua forza”. È il titolo dell’articolo di Roberto Saviano, un altro coraggioso giovane del nostro Sud, che ci ha insegnato, come Giancarlo, “il coraggio della verità”.
“Il coraggio della verità” è, ancora, il titolo del magistrale pezzo di Pietro Gargano, comparso sulle stesse pagine dello “Speciale”, nelle quali egli, nel ricostruire il caso Siani, nel ricordare “la sua bravura nel lavoro di tutti i giorni, fatta di investigazione attenta e capillare”, aggiunge: “Resta la lezione per noi giornalisti, l’eredità morale di un giovane cronista caduto sul lavoro.”
Anche noi vorremmo che i giovani collaboratori della cordata redazionale de “Il Vomerese”, divenuto per alcuni di loro palestra di giornalismo, non ignorassero questa eredità e tenessero sempre presente, nella mente e nel cuore, il “talento” di Giancarlo, un talento fatto di serietà e di impegno, di capacità investigativa, di ricostruzione nuda dei fatti, senza fronzoli né retorica, così come li andava scoprendo, mentre cercava di sciogliere “l’intreccio oscuro di interessi e di alleanze”.
Il giornalismo non è letteratura, nemmeno quando ad essa qualche volta attinge.
È sguardo attento, gettato, anche di traverso, sulla vita.
Pensavamo a Giancarlo Siani quando apprendemmo la notizia di un altro omicidio feroce, quello di Angelo Vassallo, sindaco di Pollica, anch’egli crivellato di colpi nel cuore della notte, a pochi passi dalla sua abitazione. Un delitto di chiaro stampo camorristico.
Pagava, anche quest’uomo, per il suo coraggio, per la sua volontà di preservare la sua terra, il porto di Acciaroli, da varie forme di “contaminazioni”, di difenderla dall’assalto di predatori senza scrupoli. Lavori, appalti e finanziamenti sono quasi certamente la chiave del delitto, ma saranno poi i giudici a fare chiarezza sul caso.
Eravamo nel Cilento in quei giorni, nella nostra casa al mare, e pensavamo a che cosa era questa terra cinquanta, ma anche venticinque anni fa, al tempo dell’omicidio Siani. Allora, in quei luoghi si usciva di casa, lasciando l’uscio aperto e delitti così efferati erano lontani da ogni più fervida immaginazione.
Si commuove Paolo Siani, quando pensa al fratello Giancarlo, alla spensieratezza dei suoi giovani anni, alle sue canzoni preferite, quando assiste alla proiezione di film, come “Fortapàsc”, di Marco Risi, o “E io ti seguo”, di Maurizio Fiume o quando si presentano libri, romanzi, dvd e perfino fumetti e graphic novel su Giancarlo.
E come potrebbe essere diversamente?
Anche noi ci commuoviamo dinanzi a questi tragici eventi, ma speriamo, al tempo stesso, che queste vite spezzate tragicamente possano essere, alla fine, quella luce capace di trasformare questo nostro Sud e le sue genti. Vogliamo credere con convinzione che queste vittime innocenti della criminalità possano darci la forza per andare “al di là della notte”, superare il buio delle miserie e delle iniquità umane, liberandoci dal fango e dalle collusioni, di quegli anni e dei nostri, di ieri e di oggi.
Settembre 2025
Pensieri ad alta voce
di Marisa Pumpo Pica
In ricordo di Ermanno Corsi
Anche in questo caso, come quando mi accade di parlare di una persona cara che non è più tra noi, i pensieri, trasportati dal fiume dei ricordi, s’intrecciano fra loro, s’intersecano, si aggrovigliano perfino, attraversati dalla tristezza, da una malinconia struggente. Unica via di uscita, il silenzio ...
Poi l’impegno della scrittura, che richiede lucidità e rigore, prende il sopravvento ed eccomi qui a ricordare un compagno di cordata. Non parlerò di lui, infatti, sul piano professionale, non parlerò di quel “gigante del giornalismo, targato servizio pubblico”, come lo ha giustamente definito Antonello Perillo, nel comunicare a noi tutti la sua dipartita. Non elencherò i tanti titoli, a buon diritto da lui acquisiti, le cariche, ricoperte, (per lunghi anni) quali quelle di Presidente dell’Ordine dei giornalisti della Campania, di Presidente dell’Associazione napoletana della Stampa e di componente della giunta esecutiva della Federazione nazionale stampa italiana. Non dirò dei tanti incarichi, redazionali e direttivi, rivestiti sulle più diverse e prestigiose testate giornalistiche e in Rai. Non lo farò, non solo perché tutto ciò è ben noto, ma anche perché qui voglio semplicemente ricordare l’uomo e l’impegno per la cultura, che abbiamo condiviso, fin da quando, senza ancora conoscerci e, forse in momenti diversi, abbiamo vissuto fra le aule della stessa Università “Federico II” e seguìto, con la stesa passione, quel grande Maestro che è stato per molti di noi il filosofo Aldo Masullo. Il Rosso, come lo avevamo soprannominato noi studenti, per il colore politico e dei capelli. Erano gli anni in cui si correva tutti ai suoi ineguagliabili Seminari, spinti dal fascino delle sue lezioni e del suo dire, aulico ed iconico. Uno stile, che Ermanno Corsi aveva, in un certo qual modo, assimilato da Lui, accanto al contegno e ai modi riservati, che a volte taluni consideravano altezzosi o alteri. E non lo erano affatto! Aveva di certo agito anche su di lui, come su tutti noi, nei felici anni universitari, il fascino dell’amato Maestro. Come lui, anche Ermanno Corsi era aulico e solenne nel parlare, ma al tempo stesso anche sempre concreto ed esaustivo, pur nella fioritura dei dettagli, in cui si addentrava. E per questo lo invitavo, quando era possibile conciliare i suoi impegni con gli incontri e le presentazioni dei libri che il mio Centro, Cosmopolis, organizzava. Spesso, poi, ci ritrovavamo, entrambi, ospiti di altre Associazioni e Circoli culturali nelle più svariate circostanze e soprattutto in occasione di premiazioni, conferenze e convegni. Fra i tanti momenti di incontro, ricordo la presentazione di uno dei suoi libri più importanti ed interessanti, Napoli contemporanea - La città dalla guerra al Duemila. Un libro corposo! Avevo organizzato il dibattito presso la scuola “S. Minucci”, in Via Domenico Fontana, dove, in quegli anni, Cosmopolis era spesso ospite, grazie alla garbata cortesia della Preside, Immacolata Bellezza. A discuterne con me, Francesco D'Episcopo, Giovanna Delfino in rappresentanza della ESI, la Casa editrice del libro e un giovane giornalista di Canale 8, da lui indicato, Genny Sangiuliano (divenuto, in seguito, Direttore del quotidiano napoletano “Roma”, poi vice direttore del tg1, direttore del Tg 2 e, in tempi recenti, Ministro della Cultura). Nella Prefazione al libro, Aldo Masullo, sottolineando la sua ritrosìa verso le prefazioni, precisava i motivi per i quali, in questo caso, non gli era stato possibile esimersi ed uno di questi era la promessa fatta, prima ancora della pubblicazione, al suo allievo. La prima ragione è personale - scriveva Aldo Masullo - Ermanno, nei suoi studi universitari era stato mio attento e assai scrupoloso allievo e, successivamente, con grande precisione critica, aveva scritto del mio lavoro filosofico. Anche in altre occasioni avevo apprezzato la sua serietà nella lettura dei fatti e la sua intelligenza nell’interpretarli.
Dopo una lunga frequentazione, poi, negli ultimi tempi non ci siamo più incontrati, come accade spesso anche tra amici. Ci si perde di vista e non si ha la forza (?), il coraggio (?), l’audacia (?) di ricercare l’amico che non si vede più in giro. Spesso è un problema di discrezione, come probabilmente è accaduto a noi perché i nostri rapporti sono stati sempre di grande stima reciproca, ma velati da una naturale riservatezza. E grande è ora il rammarico per non aver ricercato sue notizie e forse anche per questo ho esitato a lungo, prima di parlare di lui e ricordarne i meriti.
Come un grande attore che, dopo aver calcato in lungo e in largo le scene, non se la sente più di ritrovarsi sulle tavole dei palcoscenici e dietro quei tendaggi di velluto e dice addio a tutti, registi, scenografi, attori, comparse, dà il suo addio al pubblico e si ritira silenzioso... così, probabilmente, hai fatto tu, caro Ermanno. Non so quali siano stati i tuoi ultimi giorni di vita, ma posso immaginarli avvolti dalla tristezza e dalla malinconia… quella stessa che provo io, adesso, per la tua dipartita, pur pensandoti sereno in altre ed alte sfere.
E voglio salutarti con le tue stesse parole, quelle che si ritrovano sulla prima pagina della tua Napoli contemporanea. Esse risuonano, oggi, come una dedica a tutti noi:
Non c’è notte
così lunga
che possa impedire
a un nuovo giorno
di sorgere.
Addio, Ermanno, che la terra ti sia lieve...
Luglio 2025
Pensieri ad alta voce
di Marisa Pumpo Pica
Una giornata particolare
Ci perdoni l’eccellente collega giornalista, Aldo Cazzullo, se prendiamo in prestito, per una volta, il titolo della sua nota rubrica, con la quale, da grande affabulatore, ci narra di significativi eventi storici. Non avremmo saputo né potuto scegliere di meglio per parlarvi di una splendida mattinata, quella del 14 giugno, appena trascorsa, che ha visto molti Vomeresi raccogliersi sulle scale di Via Cimarosa, Piazzetta Aldo Masullo, grande Maestro di tanti fra noi ed anche di chi scrive (cfr. qui, in prima pagina, Pensieri ad alta voce. Maggio 2020, un ricordo di Lui, nella triste circostanza della sua dipartita).
Mattinata davvero splendida di luce, colori e canzoni della nostra Napoli, nel ricordo del grande Robertino. Un evento particolare, la presentazione del libro di Giovanni Paonessa “Roberto Murolo Qui fu Napoli”, Armando De Nigris Editore, in una location d’eccezione, i gradini adiacenti alla libreria IoCiSto. unico luogo caratteristico, ormai rimasto, per chi voglia sentir parlare di “libri, viaggi e cose belle”. E l’occasione era davvero bella perché dava l’opportunità di parlare anche della Casa Museo Murolo, distante pochi passi, al numero civico 25, divenuta Fondazione MU e presieduta da Mario Coppeto, dopo la morte del caro fratello Nando, per anni produttore discografico di Robertino. Non si può non riconoscere che Nando Coppeto, con Renzo Arbore, ha avuto il merito di aver contribuito al suo rilancio. L’emozione, con le note della musica, vibrava nell’aria. Si toccava con mano e ha preso di sicuro tutti i presenti, come in tanti, poi, hanno registrato con i loro messaggi e complimenti a quanti hanno arricchito la mattinata, a partire da un emozionatissimo autore che, pur non essendo al suo esordio letterario, lasciava intravedere chiaramente lo stato d’animo del momento. Giovanni Paonessa ha già al suo attivo un libro molto importante ed anche caro al suo cuore, è il caso di dire, “Una Rosa nel cuore,” un intreccio riuscitissimo di note autobiografiche con momenti della vita e della storia di Rosa Luxemburg.
Il libro su Murolo, come lo stesso autore racconta, nasce quasi per caso, mentre fervevano i preparativi per la Casa Museo, e l’emozione era palpabile... Egli immagina che il Maestro si muova per l’appartamento e inviti Mario Coppeto a non perdere di vista oggetti, reperti, libri e vecchi spartiti, ingialliti dal tempo…
Per il resto lasciamo al lettore la suspence e la gioia di scoprire fra le pagine del libro quel che accade... per l’intrusione di un improbabile munaciello, cui fa riferimento Maurizio de Giovanni, nel suo contributo al libro.
Un’accoppiata vincente: accanto a Giovanni Paonessa c’era Mario Coppeto, il quale ha fatto da grande cerimoniere, nella mattinata che stiamo provando a raccontare e a far rivivere ai nostri lettori. E qui dobbiamo dire che abbiamo visto un Mario Coppeto diverso, sempre amabile e garbato, ma ringiovanito dalla nuova avventura. Non più il politico serio e carismatico, che per due mandati ha guidato la nostra Circoscrizione, la Municipalità 5, come egli amava definirla. E lo ha fatto con piglio deciso e sempre aperto alle esigenze della cittadinanza. Ebbene, in questa mattinata, calda di sole e di musica, lo abbiamo visto come “rinato” a nuova vita, quella che forse nel suo cuore ha sempre ricercato, sotto lo stimolo e dietro l’impulso del grande Maestro, una vita dedita alla musica, all’arte, alla cultura. E noi, tuoi amici, ti ringraziamo, fin d’ora, per quello che stai facendo e che farai ancora per Napoli e per il nostro Vomero, in particolare perché l’astro Murolo continui a risplendere, non solo qui, fra le mura del Museo o per le vie del quartiere, ma nel mondo.
I complimenti per questa gioiosa mattinata, vissuta fra musica, foto ed autografi, vanno a tutti coloro che l’hanno arricchita, tutti “super”, senza eccezione per nessuno, dalla scrittrice Antonella Del Giudice, che ha intrattenuto l’uditorio con riflessioni sul libro e ricordi del Maestro, alla bravissima Francesca Curti Giardina (direttrice, fra l’altro, del Coro di IoCiSto) che ha deliziato il pubblico con una splendida ed accorata “Scalinatella”.
Ospite d’eccezione il maestro Enzo Gragnaniello, che ha cantato l’insuperabile “Cu’ mme” e un’altra sua composizione che, come ha precisato, ha eseguito poche volte o quasi mai.
Subissato di richieste di foto e di autografi, cui non si è sottratto, con il consueto garbo di sempre e lontano da inutili snobismi, si è dato tutto ai suoi fan.
Un’ultima annotazione su qualcosa che forse poche sanno: Enzo Gragnaniello, monumento, ormai, della musica napoletana, passato, come è stato opportunamente scritto, dai Quartieri spagnoli al Teatro San Carlo, tempio della musica italiana, non è solo un musicista e un cantautore, ma anche autore di un piccolo libro, molto significativo, dal titolo “Cosa vuoi di più?”, con la prefazione dell’editore, Mario Guida, cosa abbastanza insolita, per quanto mi risulta. Quel libro, del novembre del 2002, con quei suoi Pensieri in volo, io ebbi il piacere di presentare in occasione dei festeggiamenti per i 30 anni della libreria Guida Merliani, “la saletta verde”, del compianto Giuseppe Guida, dove il Centro Cosmopolis, da me fondato e presieduto, era di casa in quegli anni. Anche questo libro di Enzo Gragnaniello ha avuto la sua piccola parte nella mattinata e ha trovato il suo spazio nella galleria dei ricordi, che ciascuno di noi conserva nel cuore...
Giugno 2025
Non c’è tre senza quattro
di Luigi Rezzuti
I quattro scudetti vinti dal Napoli sono stati quelli del 1987 (io c’ero), 1990 (io c’ero), 2023 (io ancora c’ero), 2025 (che fortuna ! Io, a 85 anni, ci sono ancora).
Il primo trionfo arriva il 10 maggio del 1987: Bianchi allenatore e Maradona in campo trascinano gli azzurri al primo successo della storia. Il bis arriva il 29 aprile del 1990 e poi, dopo 33 anni, arriva il terzo scudetto, il 4 maggio del 2023.
Più di ottantamila spettatori fanno esplodere la festa al San Paolo. Storico, per il club, è il terzo scudetto del Napoli. La squadra di Luciano Spalletti conquista il titolo con cinque giornate di anticipo. Purtroppo, però, dopo tanta euforia, la stagione calcistica 2023/2024 è stata caratterizzata da un rendimento ben al di sotto delle aspettative, segnando un drastico calo, rispetto al trionfo dello scudetto della stagione precedente. La stagione 2023/2024 era appena iniziata e il Napoli sembrava aver già preso una brutta piega. L’assenza di Osimhen in molte partite, i cambi di ben tre allenatori, la scarsa brillantezza generale della squadra ha compromesso una intera stagione che tutti aspettavano scoppiettante. “La scorsa brutta stagione del Napoli è colpa mia. Poi Conte mi ha aiutato a capire” dichiarò il presidente Aurelio de Laurentiis, che fece un bilancio assumendosi tutte le responsabilità per la disastrosa passata stagione e riconoscendo, poi, i meriti di Antonio Conte per averlo aiutato a capire quale fosse la strada per dare una svolta. E la via Conte l’ha subito trovata da grande maestro di calcio. Oggi, la consapevolezza di affrontare l’ultima giornata di campionato in casa con il Cagliari, già salvo, ha fatto si che migliaia di tifosi organizzassero una sorta di pre-festa scudetto con trombette, bandiere e fumogeni per le vie della città, al coro “Se ne va, la capolista se ne va”. Non pensavamo che una squadra esperta come l’Inter buttasse via il campionato in tal modo. E, a questo punto, per il Napoli è fatta: ha conservato, sia pur con qualche patema, la lunghezza di vantaggio in classifica sui rivali e venerdì alle 20,45 contro un Cagliari, aritmeticamente salvo, ha raggiunto l’obiettivo tanto agognato, mentre l’Inter andava a Como al cospetto di una squadra pure, come i cagliaritani, ormai tranquilla, ma che ha cercato di chiudere in bellezza davanti al proprio pubblico un torneo condotto con un piglio autorevole e un gioco assai brillante per essere una neopromossa. L’uomo scudetto del Napoli è stato uno spagnolo di 37 anni, nato alle Canarie, Pedro, eterno fuoriclasse della Lazio, due gol all’Inter e due regali a Conte. Napoli è pronta per la festa dello scudetto, si sono pianificate le misure per fronteggiare l’affluenza, come la chiusura delle strade del centro onde consentire ai tifosi di festeggiare in sicurezza. E’ previsto anche un corteo, in pullman scoperto, per portare i giocatori al centro della città e permettere ai tifosi di vedere i campioni d’Italia. La piazza del Plebiscito sarà il fulcro della festa, con la possibilità di vedere i giocatori in azione sul palco e di partecipare ai festeggiamenti con la squadra. In più, sono state allestite zone dedicate a punti di ristoro per i tifosi, oltre alla presenza di strutture di supporto, come aree di emergenza, per gestire l’affluenza e garantire la sicurezza dei partecipanti. Secondo il calciatore Capello, il Napoli delle ultime partite non è stato quello di qualche mese fa. E va dato merito a Conte di aver portato a compimento un’impresa che, a inizio campionato, in pochi pronosticavano, e forse ancor di più dopo che, a gennaio, il tecnico del Napoli si è visto orfano del suo giocatore di maggior classe, quel Kvaraskhelia, ceduto al PSG.
23 Maggio 2025
Pensieri ad alta voce
di Marisa Pumpo Pica
Per Papa Francesco
La speranza non delude
La notizia della morte del nostro caro Papa Francesco, ascoltata alla radio, in quella mattina del 21 aprile, mi commosse profondamente, mentre un nodo mi serrava la gola. Subito dopo arrivarono le notifiche dalle varie chat. Su quella che condivido come socia dell’Anpi (Sezione collinare “Aedo Violante”), su cui la Presidente, Luna Pisa, dava anche lei il triste annuncio, mi riuscì di scrivere soltanto questo: “Grande dolore. Non ci sono parole per descrivere il vuoto che avvertiamo tutti, nella Chiesa e nel mondo.” Sull’altra chat, degli amici della stessa Anpi (“Questo è il fiore del Partigiano”) fiorivano intanto i commenti di sorpresa e cordoglio. Anche qui annotai brevemente: “Non ci sono parole per questo grande dolore. Il Papa ci lascia tutti più soli e sconcertati. Ma dobbiamo credere nelle sue parole e nel suo ineguagliabile insegnamento: “La speranza non delude.”
Lo sgomento fu grande, per me come per tutti. E tuttavia, per un Papa come lui, che ha meritato articoli, pagine e pagine di giornali, ore ed ore di radio e di televisione, che ha visto accorrere ai suoi funerali i potenti, come i poveri e gli ultimi, di tutto il mondo, quelle poche parole non potevano bastare. Ed ecco allora l’idea di dedicare a Lui, l’uomo simbolo della semplicità e dell’umiltà, un piccolo omaggio e non parlare d’altro, se non di Lui, sulle pagine di questo nostro giornale, come un ideale colloquio tra pochi amici e collaboratori de Il Vomerese. Naturalmente, per ovvi motivi, non tutti, ma solo alcuni di questi commenti potrete leggerli qui, sulle diverse colonne di questo nostro periodico. E a queste poche, sincere e commosse riflessioni, cerco di aggiungere anche io i miei Pensieri ad alta voce che, mai come ora, sono pensieri vaganti, che vanno avanti per flash ed immagini.
Francesco, il Papa dell’umiltà.
Fu tale, fin dall’inizio, quando, nel momento solenne dell’elezione, si presentò al pubblico in modo sorprendente, con quel suo fare dimesso e quel linguaggio accattivante, come uno di noi, uno fra noi: “Fratelli e sorelle buonasera, voi sapete che il dovere del conclave era di dare un vescovo a Roma e sembra che i miei fratelli cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo... Ma siamo qui.”
E dalla fine del mondo, Jorge Mario Bergoglio, si è avvicinato a tutti, senza distinzione di sesso, razza, censo, religione. Questo pellegrino di pace, con quel nome da lui scelto, Francesco, che era già tutto un programma, tutta una missione, ha voluto, fin dagli inizi, portare una ventata d’aria nuova nella Chiesa. Questo mondo - e con esso la Chiesa - voleva rivoluzionarlo, rivoltarlo come un calzino. E ci è riuscito. Almeno in parte. Da Gesuita a Francescano, aveva già cambiato se stesso, prima ancora di provare a cambiare gli altri, a rinnovare la fede e la Chiesa. Con il suo operato incisivo ci ha insegnato che la Chiesa non è una fortezza, ma un ospedale da campo, come ha ricordato il nostro Arcivescovo, Don Mimmo Battaglia. E dunque richiede sforzi e sacrifici, da affrontare quotidianamente, con semplicità.
Semplicità, modestia, umiltà sono state le cifre della sua vita e del suo pontificato. Semplicità nel rifiuto di abitare nel palazzo apostolico per rifugiarsi in Santa Marta, modestia nell’abbigliamento, nella rinuncia agli orpelli, umiltà nei gesti, nei modi, negli incontri, nel comportamento. É la semplicità del pastore che sente l’odore delle sue pecore e le guida con amore e protezione. E tanto calore, ma anche colore, nelle parole, sia nel rapportarsi agli altri, come in quel suo modo di raccontare il Vangelo, sull’orma di Gesù, quando parlava agli apostoli. Un linguaggio, il suo, dal timbro fortemente evangelico perché, pur nella semplicità, era da interpretare, proprio come vanno interpretati i Vangeli. Con il cuore, con la fede, con l'Amore.
Il Papa della tenerezza
Tutto questo gli ha permesso di diventare il Papa della gente e delle genti, il Papa degli ultimi e per gli ultimi, il Papa che ai sofferenti, agli scartatidi ieri, di oggi, di sempre, sapeva rivolgersi con affetto, con tenerezza, con semplicità. Un Papa tenero, negli incontri con gli anziani e con gli ammalati, che fa la lavanda dei piedi ai carcerati, che abbraccia una coppia in lacrime, che ha appena perduto una figlia, che non si stanca di accarezzare con tanta dolcezza i bambini. Era il fratello, il padre, il nonno di tutti noi ed ogni suo gesto era improntato alla semplicità e al calore umano, come il suo linguaggio.
Ma quelle parole semplici diventavano spesso lapidarie, come sentenze. E lui stesso diventava pietra d’inciampo per alcuni, come è stato opportunamente sottolineato.
Un papa scomodo
Pietra d’inciampo, per chi non voleva capire, pietra d’inciampo nel suo non essere catalogabile, nell’essere talvolta controcorrente. La semplicità nasceva da una grande spiritualità che gli ha permesso di diventare un leader religioso, in grado di far sentire sempre la sua voce sui difficili scenari geopolitici. Non era solo semplicità, dunque, era forza d’animo, capacità di battersi per le giuste cause, per la difesa della pace e per evitare gli ulteriori rischi di una guerra mondiale, che egli, più degli altri, aveva paventato, per averla intravista nei tanti focolai di guerra, accesi qua e là. É stato tra i primi a sospettarla e a temerla.
Un Papa non catalogabile non merita, oggi, l’ipocrisia di taluni governanti che gli hanno tributato omaggio ai funerali, ma dimenticano di non aver dato ascolto ai suoi insegnamenti e alla sua incessante richiesta di giustizia sociale e di pace, andata a vuoto.
Il Papa della Pace
Lui, uomo di Pace, pellegrino di solidarietà e di riconciliazione, per ironia della sorte, ha dovuto vedere, durante i dodici anni del suo pontificato tante guerre per le quali non si dava pace. E continuava ad invocarla, questa pace, a pregare per i popoli in guerra, per le loro sofferenze, “per la martoriata Ucraina”, a ripetere, senza mai stancarsi di farlo: “La guerra è sempre una sconfitta.”I conflitti sono stati la croce del suo Pontificato, una spina nella carne. Forse nessun altro Pontefice ha dovuto combattere come lui, con forza indomabile, contro tanti venti di guerra.
Un Papa per il sociale
Il suo ministero, fondato sulla solidarietà, sull’impegno sociale, oltre che religioso, fa di lui un Papa speciale, come tutti abbiamo sempre riconosciuto, che ha cercato di unire coscienze, popoli, religioni, pur nel rispetto delle differenze. Egli ha saputo toccare le corde più profonde dei nostri cuori, varcando le frontiere delle più diverse spiritualità e professioni di fede, diventando il Papa dei credenti e degli atei. Il suo è stato uno sguardo sempre attento alle periferie del mondo, non solo sul piano geografico, ma anche e soprattutto sul piano esistenziale. L’enciclica Fratelli tutti ne è una testimonianza.
Forse non è un caso se i suoi funerali, dove sono accorsi i potenti del mondo, sono diventati un evento geopolitico, che potrebbe anche essere il preludio di una situazione internazionale nuova, tale da segnare la fine dei conflitti fra i popoli e il loro avviarsi verso un mondo riappacificato.
Un Papa ambientalista
Non possono essere ignorati, tra l’altro, i suoi appelli per la difesa dell’ambiente, con i quali ha richiamato l’uomo al rispetto della natura, contro ogni forma di inquinamento. L’enciclica Laudato si’ potremmo definirla un’Enciclica ecologica e sociale in cui si auspica una conversione ecologica, attraverso un rinnovato rapporto uomo-natura-società. La sua vocazione ecologica, peraltro, era già contenuta nella scelta del nome Francesco. Chi più del fraticello di Assisi ha amato ed esaltato il Creato in tutte le sue forme ed espressioni e nel rapporto con l’uomo? La Terra è in sofferenza, ripeteva, e chi paga è la povera gente. Gli ultimi della società e del mondo. Di qui l’appello a tutti per la sostenibilità ambientale. “Se non sai guardare con amore il Creato non saprai guardare nemmeno le persone. Seminare la terra significa seminare l’amore.”
Il Papa e i giovani
La tenerezza che mostrava per i bambini si riversava anche sugli adolescenti e sui giovani. A loro sempre il suo pensiero e i suoi insegnamenti: Fate chiasso, vivete con gioia, sorridete, il sorriso è vita. Non fatevi rubare la speranza. E ai giovani egli affidava il compito di curare l’ambiente, lottare contro la violenza ed il bullismo, spendersi per la pace nel mondo, senza mai dimenticare di dare voce a chi voce non ha...
La grande lezione del silenzio
Era anche un Papa che non amava il chiacchiericcio, inutile e sovrabbondante, al quale talvolta ci si abbandona e ci ricordava spesso come fosse anche importante, di tanto in tanto, fare ricorso al silenzio, cogliere le voci del nostro cuore, rimanere in ascolto di noi stessi, in raccoglimento, soprattutto nel momento del dolore o, comunque, nelle circostanze difficili: Non gettate sempre tutto fuori. Ci sono situazioni, in cui il silenzio conta e rappresenta tanto nella nostra vita. Ci permette l’incontro col Signore. Anche una preghiera, detta magari mentalmente, può ricongiungerci a Dio… Dire sempre tutto, gettare sempre tutto fuori, parlare, parlare, correre, essere sempre in movimento e in affanno dietro le cose, dietro le persone, dietro i fatti è nella “normalità” della nostra vita di oggi. Ma qualche volta occorre anche fermarsi, cogliere il silenzio dentro noi stessi, apprezzarlo e capirne il valore. Équanto ha più volte raccomandato Papa Francesco.
Questi e tanti altri suoi insegnamenti sono e rimarranno chiusi nei nostri cuori e, per chi crede, come ha giustamente detto il cardinale Giovan Battista Re, “Quella del Papa non è una morte ma una rinascita in cielo, un ritorno al Padre celeste, perché tutto passa, ma l’Amore no. La sua è stata una vita compiuta che meritava davvero di essere vissuta”.
Certamente lascia un vuoto incredibile nella Chiesa e nei cuori un Papa come questo, missionario e visionario, che ha vissuto il pontificato non come strumento di potere, ma come servizio alla Chiesa e ai fedeli. Un Papa che si è sempre avvicinato alla gente e che questa vicinanza l’ha cercata, pur nella sofferenza degli ultimi tempi. L’ha voluta ad ogni costo, perfino nel giorno che ha preceduto la sua morte, quando, dal loggiato di San Pietro, ha voluto dare a tutti noi gli auguri di una Buona Pasqua. E il giorno dopo quel saluto e quell’augurio, non c’era più.
Pressante rimane, a questo punto, l’interrogativo: chi ci sarà dopo di lui e come saprà guidare la Chiesa? L’ultima parola spetta ora al Conclave perché accada quanto gli stessi cardinali hanno auspicato, ovvero che lo Spirito Santo possa illuminarli nello scegliere l’uomo giusto a raccogliere la difficile eredità di Papa Bergoglio.
Grande è l’attesa…
Aprile 2025
Pensieri ad alta voce
di Marisa Pumpo Pica
L’altra America
Abbiamo sempre desiderato di andare in America, visitarla, conoscerla e soggiornarvi, magari anche per un periodo un po’ più lungo rispetto a quanto di solito si programma per una vacanza estiva. Viverla, insomma, al di là di quella conoscenza che può derivare dalla consuetudine con libri di storia o di autori americani, a noi molto cari.
Ora non più.
Questa di oggi non è l’America del nostro sogno giovanile, la terra della democrazia, dei diritti, della libertà.
Questa, delineata ed avviata dal Presidente Donald Trump, è un’altra America, antidemocratica, vessatoria e rapinatrice.
Antidemocratica, perché divide e non unisce i popoli.
Vessatoria, per i dazi annunciati e messi in atto da Trump, con la conseguente guerra commerciale da lui avviata, pericolosa e dannosa per tutti, anche per lo stesso popolo americano.
Rapinatrice, per le sue intenzioni di appropriarsi delle terre rare dell’Ucraina, con il pretesto di mediare una pace tra questo popolo e la Russia. E, tra l’altro, le intenzioni predatorie di Trump non si fermano qui, se aggiungiamo i progetti palesati sulla striscia di Gaza e sulla Groenlandia, nonché su Canada, Messico e Panama.
Inoltre, i suoi recenti attacchi ai media e alla libertà di stampa, le interferenze nella politica degli Stati a lui meno affini, come la Francia e la Germania, l’intemperanza di molti atteggiamenti confermano una visione più simile a quella dei regimi totalitari che alla tradizione americana
Tutto il mondo democratico dovrebbe insorgere contro il bullismo di Donald Trump e, purtroppo, tutti ne pagheranno le conseguenze. Infatti, già subito dopo l’annuncio e l’avvio dei dazi, si è verificato un vorticoso tracollo delle borse, con l’affondo, prima fra tutte, della stessa Wall Street.
Come reagire?
Tanto per cominciare, guardando per il momento, in casa nostra, i danni, per l’Italia, saranno ingenti, nell’ordine di miliardi, per i dazi che peseranno sull’export e, quindi, tra l’altro, sul settore della componentistica meccanica, delle automobili, dell’agro-alimentare, del manifatturiero, della moda e del lusso, come per quello chimico e farmaceutico.
Dobbiamo ponderare la risposta, per salvaguardare le nostre imprese. Quello dei dazi è stato un messaggio preciso, lanciato da Trump, oltre che alla Cina, all’Unione Europea, non una semplice intenzione, come a qualcuno, improvvidamente, è piaciuto credere o far credere. Il piano è quello di scardinare l’Europa, vista come nemica, per piegarla ai suoi fini, lasciando pensare, ancora oggi, che potrebbe trattare separatamente, con accordi bilaterali con i singoli Stati.
Contro queste sciagurate iniziative antidemocratiche, occorre che l’Europa corra ai ripari, e l’Italia con essa, in modo fermo e con prontezza, come non è stato fatto fino ad oggi. È fondamentale reagire con rapidità e compattezza, per ritrovare strade unitarie e procedere verso scelte decisive, attraverso un’azione equilibrata e razionale. Lo suggeriva, in questi giorni, anche il nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
L’Italia, naturalmente, dinanzi a questo scenario, per nulla rassicurante e per molti versi imprevedibile, ma di certo con esiti negativi, deve calibrare opportunamente, ma in modo deciso, la propria azione di governo, per contrastare le minacce e gli attacchi di Trump.
Sia ben chiaro che non c’è in noi nessun sentimento di antiamericanismo, anzi, e lo dimostra ampiamente l’incipit di queste nostre riflessioni. Abbiamo sempre considerato amico il popolo americano condividendone lo spirito e gli ideali democratici, ma pensiamo, nel contempo, che ora gli Americani stessi dovrebbero reagire, in difesa del loro passato e della loro storia.
Il sogno americano
Ci sarà un’altra America, che non sia questa voluta da Trump? Ce lo chiediamo tutti.
Ce lo auguriamo, da Europei, anche noi che scriviamo. Chi scrive, infatti, è un’europea, che, come già anticipato, ha desiderato sempre conoscerla e viverla l’America in quella corsa contro il tempo, tipica dell’attivismo pragmatico del popolo americano. Corsa contro il tempo, che è stata anche una nota caratteristica della sua vita, intensa e laboriosa, a dimostrazione di non essere una “parassita,” e smentendo in pieno l’accusa trumpiana degli “Europei parassiti.” Termine ingiusto ed infondato che ci fa sentire profondamente offesi e che nessun Presidente degli Stati Uniti avrebbe mai pensato di usare nei confronti di tutti noi, senza aspettarsi una reazione del nostro governo... che non c’è stata...
Un’altra America è ancora possibile?
Ce lo auguriamo, oggi, tra il disappunto e lo sgomento, portando nel cuore la delusione, inevitabile, dinanzi al nostro sogno americano, caduto miseramente in frantumi.
5 aprile 2025
IN CRISI DI PANICO
di Luciano Scateni
...è giunta mezzanotte, si spengono i rumori..." sì ma in silenzio assordante anche l'urlo potente, tipo Tarzan, di Giorgia dal balconcino del social casalingo (peccato, palazzo Venezia a quell'ora è chiuso): ossessionata dall'incubo Albania, dal gigantesco flop dei centri di detenzione che sottraggono centinaia di milioni alle nostra tasche e hanno il solo, stupefacente merito di regalare lussuose, prolungate vacanze a fortunati poliziotti italiani, la signora, presidentessa del consiglio del governo del nulla, a costo di infiammare pericolosamente l'ugola, ha urlato, con crescente livello di decibel: "ce la faremo, ce la faremo, ce la faremo, a costo di stare io in Albania giorno e notte". Svanito il sogno, Ella, nottetempo, si è destata in crisi di panico, colpa della memoria che ha girato il dito nella piaga del nuovo fallimento del suo sogno di gloria sulla pelle dei migranti. Duro il risveglio, ira funesta, aggressione selvaggia alle 'zecche rosse', all'ineccepibile sentenza che ha vietato la deportazione dei 43 in Albania. Democratici italiani, allarme: non manca molto che l'iracondia della destra provochi una guerra civile. Messaggio intimidatorio della premier ai suoi followers (anche ai giudici?): "Volete la piazza?" Cioè, a chi aspettate a manifestare contro i giudici? Il senso di questa 'uscita' non si discosta molto dall'incentivo di Trump ad assalire il Parlamento degli Stati Uniti.
(Febbraio 2025)
Pensieri ad alta voce
di Marisa Pumpo Pica
Il peggio e il meglio della TV
Ballando con le stelle
Del peggio non v’è mai fine... Fu questa la frase che pronunciai, molti anni or sono, quando, trovandomi in commissione ad un concorso a cattedra di Filosofia, fui costretta a notare che i candidati erano abbastanza impreparati. Però, subito dopo, dovemmo constatare che i successivi candidati erano ancora più impreparati di quelli che li avevano preceduti. Ebbene cosa c'entra questo con il peggio e il meglio della TV? C'entra, c’entra, perché l'altro giorno discutevo con alcuni amici su quali fossero i migliori e i peggiori programmi televisivi dell’anno che si era appena concluso. Non ebbi dubbi: per me uno dei peggiori, se non il peggiore in assoluto, è stato “Ballando con le stelle”, giunto, quest’anno, alla diciannovesima (!!!) edizione. Vi rendete conto? Mi domando come abbiano fatto i telespettatori a seguire 19 edizioni di uno spettacolo stucchevole, banale, se non addirittura insulso. Qui non ballano le stelle ma spesso volano stracci. Si litiga su tutto: la giuria con i concorrenti e i concorrenti tra di loro, i giurati fra loro, i giurati, ancora, con quella sorta di giuria esterna, che fa capo ad Alberto Matano e che vede, lancia in resta, Rossella Erra ed altri due giurati, ballerini o ex ballerini, distribuire il tesoretto (sic). Il tesoretto, per chi non lo sapesse, è quel punteggio conquistato dai “ballerini per una notte” (sempre tutti dieci, che sappiano o non sappiano ballare). Un punteggio da offrire, alternativamente, a chi già ha raggiunto i primi posti o a chi resta ultimo, per spiazzare tutti gli altri, così, senza ragione alcuna o, almeno, senza che sia dato scoprirla... Regina incontrastata, con i suoi colorati e svolazzanti foulard, la già citata Rossella Erra che, da “ambasciatrice del pubblico”, quale era nel programma pomeridiano di Rai 1 “Vieni da me”, condotto da Caterina Balivo, è assurta a dispensatrice di punteggi, da dividere con Matano, nonchè di baci ed abbracci da dispensare a concorrenti e pubblico, quegli “amici vicini e lontani”, alla vecchia maniera, che ci ricordano tanto il Nunzio Filogamo dei tempi gloriosi della TV pubblica.
Ma non finisce qui, perchè la Rossella passa spesso per molti altri programmi televisivi, a mo’ di strabiliante opinionista. E che volete farci? Abbiate fiducia e non disperate, voi che amate tanto la TV. La strada di ognuno di voi può, di punto in bianco, essere costellata da successi e voi, improvvisamente, baciati dalla dea bendata, come è accaduto alla nostra Rossella. E tuttavia, non ci sorprende tanto questo, quanto l'essersi, Alberto Matano, prestato a questo ruolo di così scarso rilievo e livello, da dover competere con la Erra... Ma tant’è... Contento lui, lo siamo anche noi, per solidarietà...
In ultimo, la tanto attesa finale di Ballando, si è tinta di giallo: è stata caratterizzata, infatti, dalla fuga di Guglielmo Mariotto, improvvisa e clamorosa, molto commentata e discussa da media, giornali e social. Un’assenza inspiegabile. L’istrionico giurato scompare improvvisamente, va via senza avvertire né dire nulla a nessuno, lasciando un vuoto nella giuria e nello spettacolo, pur avendoci abituati a scomparire, ogni tanto, sotto il tavolo e dietro le sue sciarpe, anche lui. A noi per la verità, il Mariotto non è parso di gran peso nella giuria né siamo rimasti sorpresi da questa ventata clamorosa da star, da questa uscita di scena da Primadonna, col preciso intento di concorrere o addirittura superare, con una (s)comparsata, la tanto temibile Selvaggia Lucarelli, invero in formato molto ridotto e migliorato, in occasione di questo diciannovesimo anno. Ma, è risaputo, la donna, come il vino, migliora con l’età.
Nulla di nuovo sotto il cielo di “Ballando con le stelle”. Siamo abituati alle stravaganti sceneggiate dell’iconico Mariotto con quella sua palettina, che gira e rigira fra le mani, tra il dieci e lo zero, ma certamente non è stata una bella cosa. Non lo è stata e lo ha puntualizzato anche la conduttrice, quella Milly Carlucci, osannata da tutti perchè conosce quattro, cinque lingue, ma forse, per impararle, ne ha dimenticata una, quella che più le appartiene e che porta avanti nei suoi discorsi, nell’ ”aulico” contesto di “Ballando com le stelle”. Ma tant'è, accettiamo tutto, accettiamo tutto con grande spirito di sopportazione ed ecco allora che, dopo tanto fracasso, dopo tanto clamore dei media, la Carlucci è arrivata, nell’ultima serata, a raccontarci come stavano le cose, a dirci che Mariotto aveva dei problemi personali (e ce ne eravamo accorti da tanto!), che bisognava capirlo, che da anni faceva parte del gruppo e che la sua probabile esclusione dalla giuria sarebbe stata “una spina nella carne”. Ed è, comunque, tutto cancellato con un vigoroso colpo di spugna. Tutto dimenticato. Tutto messo a tacere. Mariotto rientra con un bel fascio di rose per la Carlucci ed è di nuovo lì, a continuare a fare le sue smorfie da quella sedia della giuria sulla quale non sta mai fermo come se avesse chiodi sotto il deretano. E si è chiusa, così, la diciannovesima edizione di “Ballando con le stelle”, il peggio della TV...
E dire che, quando era iniziato questo spettacolo, moti anni fa, a qualcuno piaceva l'idea di poter fare un po' di allenamento, sia pure soltanto visivo, relativamente al ballo. Qualcun altro veniva preso dalla nostalgia dei suoi vecchi tempi. E, poiché il ballo è legato, per molti, alla gioventù, c’era anche chi pensava, attraverso questo programma, di ballare anch’egli fra le stelle, pur rimanendo a casa, sul divano o in poltrona, davanti alla TV. Grande, grandissima delusione: il ballo c'entra come il cavolo a merenda. Bisogna ascoltare i piagnistei, vedere le lacrime, assistere a quei panni che dovrebbero lavarsi in famiglia e che, invece, si lavano in piena TV. Cosa c'entra questo col ballo? Quelli di “Ballando con le stelle” vi diranno, come infatti hanno più volte ribadito, che c'entra, perché il programma non consiste solo nel saper ballare bene, ma nell'aprire cuore, mente, anima, far conoscere tutto, i propri sentimenti, le proprie emozioni agli spettatori, far sapere tutto ciò che riguarda ciascuno e che solo il ballo può mettere in evidenza... Come? Non è dato sapere...
Un grande baraccone da circo, questo “Ballando con le stelle”, dove le stelle non si vedono, offuscate da guitti e marionette, da una bambola di porcellana che gira in circolo come sulle giostrine dei bimbi, che dovrebbe condurre il gioco e che, invece, continua a girare in circolo, compassata e serena, tra liti, pettegolezzi e gossip, tra sfuriate veementi fra giurati e concorrenti, con un fiume di danaro, nostro, che alimenta il tutto.
Un plauso sincero, di tutto cuore, per le sue ottime esibizioni da ballerina provetta, va rivolto, tuttavia, a Bianca Guaccero, vincitrice assoluta, (in)contrstata, di questa edizione di “Ballando con le stelle.” Ce l’ha fatta da sola, senza aiutini né tesoretti.
Per oggi ci fermiamo al peggio della TV. In un altro momento, parleremo del meglio, se ci sarà possibile...
(Gennaio 2025)
Pensieri ad alta voce
di Marisa Pumpo Pica
Giovani e vecchi
Una possibile osmosi?
Il mese di novembre si apre con il ricordo pungente dei nostri cari, che non sono più con noi e ci si fa scrupolo, più che mai, di andare al cimitero, per rinnovare con loro un dialogo ideale, mai interrotto. Ma pensiamo, qualche volta, anche ai nostri vecchi, in particolare a quelli che, pur vivi, sono già morti? Morti dentro, perché lasciati nella solitudine, nel silenzio, nell’abbandono?
La speranza del vecchio
Pensiamo mai a quei vecchi, cui, talvolta, è stato sottratto tutto, pensieri, oggetti cari, ricordi e perfino la speranza che, si dice, sia l’ultima a morire? E non è così… A volte, invece, è proprio la speranza a morire, prima di loro. Ed è questo che essi non vogliono. A questo si ribellano.
“Ma che cosa più, ormai, può sperare un vecchio, se solo la morte lo attende?” - dice qualcuno con tono indifferente. No, anche il vecchio, pur sapendo che la vita sta per lasciarlo, ancora e proprio per questo, spera. Spera nell’affetto dei suoi cari, spera che non gli strappino i ricordi più belli, prima del dovuto, spera nella serenità di quel momento cruciale, che vuole sia lieve e lo avvolga come una nuvola. Spera e si dispera, nella cinica indifferenza del mondo.
La saggezza del vecchio
Ci rendiamo conto qualche volta di quanto torna utile la saggezza del vecchio a noi e, soprattutto, ai nostri giovani, spesso così intristiti e soli nella falsa moltitudine del virtuale?
A dire il vero, ci sono vecchi, che sembrano crogiolarsi nelle loto sofferenze, inariditi ed incupiti nel dolore, ed altri, invece, che ci forniscono un esempio eclatante di bella senectus, di antica memoria, come l’inossidabile Corrado Augias, un gigante che porta sulle spalle il peso degli anni, con elegante disinvoltura. Con la sua Torre di Babele, unprogramma molto seguito su la7, entra, sempre lucido, pacato e sorridente, nella nostra Torre di Babele, affrontandone le problematiche più spinose, attraverso dibattiti stimolanti e, soprattutto, con pregevoli interviste, condotte con garbo ma anche con piglio ironico e sagace. Quale interlocutore migliore potrebbe esserci per i giovani, per un’esperienza culturale in comune?
L’esperienza del vecchio
Uno scrigno prezioso che lascia venir fuori piccole perle di saggezza, se appena riusciamo ad aprirlo. A dire il vero, i giovani, forse ancor più della generazione di mezzo, ovvero degli attuali adulti, ivi compresi i loro genitori, sembrano ricercarlo, in talune occasioni, il dialogo con i vecchi, con i nonni, soprattutto, con cui talvolta si confidano, condividendo ricordi lontani della loro giovinezza e chiedendo consigli e suggerimenti, per le difficili sfide che li attendono. E nel dialogo si ritrovano uniti e vicini. La cosa può apparire strana e sorprendente, ma non lo è affatto. A pensarci bene, il giovane e il vecchio rientrano, oggi, fra le categorie più fragili ed indifese, in cui appaiono maggiormente evidenti le crepe di una società allo sbando. Su di loro ricadono molto spesso colpe ed errori di cui non sono responsabili: i vecchi non lo sono più e i giovani non lo sono ancora. Gli uni e gli altri fuori dalle alternative e dalle scelte di chi ha il potere. Ovviamente questo non lo si può affermare per tutti. Non si può generalizzare, dinanzi alla complessità di un tessuto sociale così contorto e distorto come l’attuale. Ci sono, purtroppo, anche casi e situazioni, che la cronaca nera ci consegna, in cui il vecchio, come il giovane (e il giovane oggi più che mai), ha le sue responsabilità e cede alla tentazione della violenza, dell’odio, della vendetta, sentimenti spesso immotivati e cruenti, che rientrano negli insondabili abissi dell’io.
La Biblioteca dei sentimenti
E tuttavia, a parte questi casi estremi, il vecchio, nella nostra visione, che - lo riconosciamo – a qualcuno appare forse idilliaca, potrebbe avere un ruolo significativo nella nostra società. Egli è o dovrebbe essere il custode, solerte ed accorto, di quella Biblioteca dei sentimenti, in cui oggi poco si entra e, se pur lo si fa, è soltanto per uno sguardo veloce, per far capolino ed andar via di corsa. Abbiamo sempre pensato, invece, come sarebbe importante, oltre che educativo, parlare spesso ai nostri giovani di questa ideale biblioteca. Ed ecco la grande sorpresa di qualche tempo fa quando, smanettando con il telecomando, ci siamo imbattuti, per puro caso, in una trasmissione televisiva (su Rai 3) che aveva proprio questo titolo e nella quale - felice coincidenza! - si dibattevano le tematiche a cui molto spesso pensavamo, per questa ideale biblioteca che avevamo in mente. Temi e problematiche che ci sarebbe piaciuto condividere con i nostri giovani. In questa trasmissione, si discuteva di libri, del significato vero e profondo delle parole, dei sentimenti, delle aspirazioni, dei sogni e di cose di questo genere, con alcuni giovani presenti, e partecipi, nello studio televisivo.
Consumismo ed omologazione
Ma, al di là di questi casi fortuiti, chi parla più ai giovani di sentimenti, di affetti, di cuore, di anima? Di valori, insomma, che non siano quelli di un consumismo esasperato al quale essi sono stati educati, secondo un clichet ed una omologazione per cui l’avere conta molto più dell’essere, la scarpa di marca all’ultima moda più di una vita umana.
Una opportuna progettualità
Al dilagare allarmante della violenza giovanile. che è ormai sotto gli occhi di tutti e troppo spesso assurda ed immotivata, dovrebbe far fronte lo Stato, attraverso scuole, associazioni ed enti parrocchiali, promuovendo occasioni di incontri fra le due generazioni. Sarebbe opportuno, ovviamente, un iter progettuale, serio e concreto, atto a colmare il vuoto di un disagio, a superare quella esclusione sociale, che entrambe le generazioni, per motivi diversi, percepiscono e vivono e, in gran parte, determinata dall’onnivoro prevalere dei social.
Una osmosi ideale
Ben venga, dunque, il dialogo costruttivo fra giovani e vecchi, quanto meno perché si potrebbe realizzare l’auspicio che la tradizionale parsimonia del vecchio riesca a bilanciare l’opulenza consumistica del giovane, onde ottenere che la ricchezza dei sentimenti e dei valori, che un vecchio vorrà trasmettere, faccia da contrappeso ad una eventuale povertà educativa in cui troppo spesso viene lasciato un giovane. Due cuori, insomma, che dovrebbero incontrarsi in questa ideale biblioteca, per superare solitudine, disagio, esclusione sociale che, come si è appena detto, sono i mali più evidenti di queste due generazioni, pur così distanti e diverse fra loro. Una possibile osmosi, una contiguità spirituale, in virtù della quale un giovane, avido di sapere, si volga verso un vecchio, desideroso di offrire e, viceversa, un vecchio abbia dal giovane l’opportunità di riscaldare il suo cuore, per evitare aridità e solitudine.
In questa ideale osmosi il giovane conquisterebbe maturità e il vecchio ritroverebbe la perduta giovinezza.
(Novembre 2024)
Pensieri ad alta voce
di Marisa Pumpo Pica
Lettera aperta al Presidente del Consiglio
Cara Giorgia,
sono il direttore responsabile di questo giornale e voglio rivolgermi a te in modo del tutto informale, se pur con il riguardo che si deve sempre alla “persona”, in quanto tale e, ancor più, quando essa riveste un ruolo istituzionale.
Per prima cosa mi preme precisare che, se guardi con attenzione il nostro giornale, troverai che manca la pagina Politica. Questo perché, fin dal suo primo vagito (ormai siamo prossimi ai vent’anni, dal 2005, su carta stampata, dal 2012, on line), ci siamo posti l’obiettivo di essere una voce libera, nel rispetto dovuto a noi stessi ed ai lettori che ci seguono con stima, simpatia ed affetto. Non siamo, però, apolitici, perchè ci rendiamo conto perfettamente che la politica, nel suo significato più antico (etimologico, soprattutto) e più vero ed autentico, entra sempre nella vita di tutti noi, l’attraversa in ogni sua forma e ci coinvolge oltre ogni misura, oltre ogni limite.
Siamo solo fuori dalle schermaglie dei partiti, spesso infruttuose, dagli estremismi, sempre pericolosi, dalle lottizzazioni, dalle lobby, dai giochi di potere. Ed è per tutto questo che possiamo dire sempre quello che pensiamo, senza veli nè ipocrisie.
Cara Giorgia, veniamo a noi. Vorrei darti alcuni piccoli suggerimenti, anche se scrollerai le spalle pensando che, di sicuro, non ne hai bisogno, specie poi, se ti pervengono da una sconosciuta. E tuttavia voglio darteli ugualmente, come un piccolo vademecum da offrirti in dono, anche perché sono convinta che il confronto con gli altri, con chicchessia, è sempre importante e non dobbiamo mai sfuggire ad esso. E questo è già il primo.
“Io sono Giorgia, sono una donna, sono…” e di qui a seguire. Era il tuo inno di guerra in campagna elettorale, quando promettevi tante cose ai tuoi elettori. E ce l’hai fatta. È indubbio, ce l’hai fatta, da sola e più degli altri. Ma, se può essere facile conseguire un traguardo, raggiungere il potere, non è altrettanto facile conservarlo a lungo. E poi il potere logora, anche se qualcuno aggiunge, scherzosamente, “chi non ce l’ha”... No, il potere davvero logora e chi ci sta intorno ne può approfittare. E qua, come vedi, ho messo, un pò alla rinfusa, un altro paio di suggerimenti, diretti e indiretti.
Ce l’hai fatta e ne vai fiera. E questo, da donna, te lo concedo. Sei intelligente. Un momento… Non ho elementi per affermarlo o per negarlo. Potrei presumerlo. Nessun politico, a quanto pare, e men che mai oggi, si è sottoposto ai test per la misurazione del quoziente intellettivo. Non ne ha bisogno. E, se pur lo avesse fatto, non ci sono mai pervenuti i relativi risultati, pur avendo a disposizione, oggi come in passato, un’ampia e valida strumentazione ad hoc (test, schede, moduli e quant’altro). Ed è un peccato! Sarebbe stata una gran bella cosa da inserire nella propaganda e, magari, nella scheda elettorale. Un piccolo lumicino per orientare meglio gli elettori, e forse anche te nella formazione della squadra. Che ne pensi? Non sarebbe stato utile inserire anche questa, fra le tante novità messe a punto dal tuo governo, come riforma della giustizia, premierato, autonomia differenziata, piano Albania per fermare l’esodo dei migranti nelle nostre terre e cose del genere? Su tutto questo vi siete spesi con fiumi di parole ed “abbondanza di chiarimenti” su cui, però, i vostri elettori ancora non si raccapezzano e restano perplessi. Ma tant’è... anche questo un suggerimento come un altro.
Tu sei furba, cara Giorgia, e potresti ancora farlo, per eliminare un paio di elementi del tuo governo, come, per fare un esempio, quegli “infami” della “congiura per la Consulta”, che si sono fatti scoprire, sulla chat, nei loro accordi segreti per eleggere come consigliere il tuo fedelissimo Francesco Saverio Marini. No, non infami, come li hai chiamati. Perdonami, mia cara, quello è un termine da usare per i criminali, per i mafiosi, non per gli uomini del tuo partito. Bisogna correggere il tiro: “basso livello di quoziente intellettivo, ma alte capacità di corruzione.” Pazienza! Dovevi stabilirlo prima quali doti dovessero possedere quelli della tua squadra di governo. Anche questo non mi sembra proprio un suggerimento da buttar via.
“Io sono Giorgia, sono una donna...” Sono furba ... Sei furba? Questo non ricordo se lo dicevi, ma certo ora io non potrei dirlo. Anche questo è un termine da espungere perché, come non ho risultati circa la misurazione del quoziente intellettivo dei politici, così non posso conoscere quali stratagemmi, raggiri, manovre, a bordo e fuori bordo, stia pensando di mettere in atto il tuo governo, con la tua acquiescenza o a tua insaputa. Come potresti sempre dire … se fossi furba davvero. Ma se lo sei, noi, per quanto sopra, non conoscendo sotterfugi e manovre, non possiamo dirlo. Noi sappiamo solo quanto è dato sapere alla luce del sole e, dunque, che hai militato, fin da giovanissima, nella destra e che Berlusconi ti volle come ministro, il più giovane ministro, nella sua squadra di governo. E oggi ce l’hai fatta! Nulla è più indubbio di questo. Sei il Presidente del Consiglio. Lascio il maschile perché so che ti piace e, a dire il vero, piace anche a me e non ci trovo nulla da gridare allo scandalo, a dispetto delle accese femministe di oggi. O tempora o mores! I tempi cambiano, ma io resto fedele alla lingua italiana: nelle grammatiche su cui ho studiato si leggeva che il termine indicante una funzione o un ruolo rimane invariato, al maschile.
Ma torniamo a noi. Di certo, accorta lo sei. Hai collocato al tuo fianco una bella squadra di molti amici, conoscenti e congiunti. Parentes, clientes, famuli? La differenza conta poco. Basta dire fedelissimi, se non si tien conto degli “infami”, di cui sopra, che, complottando con insipienza per venirti incontro, si sono fatti scoprire come dei ragazzini.
Ciò detto, riprendo con le linee del mio vademecum,
Non guardiamo sempre ai difetti e agli errori degli altri. Badiamo ai nostri e cerchiamo di correggere i primi ed evitare i secondi.
Non gridiamo sempre contro dossieraggi, spionaggi e congiure. La storia ne ha conosciute tante, soprattutto di queste ultime. Ormai non devono più sorprenderci, specialmente se non ci riguardano e non ci colpiscono.
E tu, soprattutto, non sentirti sempre vittima, trovando a ridire, insieme ai tuoi, soprattutto di quei poveri magistrati, che avete preso di mira. Sono oberati di lavoro, dalla mattina alla sera - anche per mancanza assoluta di personale, ed è questo ciò a cui bisognerebbe provvedere d’urgenza - perdoni l’inciso, il ministro Nordio. E invece, cosa accade? Accade che, quando, sacrificando molto del loro tempo, completano lo studio dei grossi faldoni accumulati, si sentono dire che hanno portato a termine un’inchiesta ad orologeria. Suvvia, un po’ di rispetto per il lavoro degli altri non guasta, se vogliamo che gli altri rispettino il nostro.
Per mantenere rapporti corretti con le opposizioni, evita di considerare critiche e commenti negativi semplicemente come “slogam” e “propaganda”, da cancellare con un colpo di spugna. Almeno uno sguardo potrebbe bastare, per riconoscere che contengano anche un fondo di verità e che, magari, possa essere il caso di misurarsi con essi.
Mai più governo ladro, gridavi, al tempo dei tuoi comizi. Mai più governo ladro e menzognero ti chiedono, oggi, i tuoi elettori, che si aspettano da te il rispetto delle promesse elettorali e una gestione oculata e trasparente. I proclami lasciamoli alla campagna elettorale: aumentare i posti di lavoro e migliorarne le condizioni, far crescere il pil, incrementare i finanziamenti e portare avanti i progetti con quei fondi del Pnrr, che il povero Giuseppe Conte, cappello in mano, era andato a chiedere all’Unione Europea.
I proclami lasciamoli ai candidati durante i comizi e i programmi ai governanti. E che sappiano realizzarli con altrettanto entusiasmo, con uguale convinzione, serietà ed impegno, come per la campagna elettorale.
Mia carissima Giorgia, che vuoi farci? Il mondo, come i governi, cambia. Cambia e peggiora, fra armi e guerre di ogni genere, travolto nelle spire della violenza. Una violenza senza motivi né giustificazioni. Oggi si ruba, si aggredisce, si uccide per una cuffietta da 14 euro. Anche questi sono i problemi da affrontare, la violenza minorile, e non solo, che, come i fiumi in piena, dilaga ed esonda nelle strade delle nostre città. Questa sì, esonda davvero, non il magistrato che fa il suo dovere ed applica la legge, anche se ciò sembra, talvolta, non piacere… (I magistrati esondano,sic il ministro Nordio al tg 3, 19ottobre 2024). Ma perché tanta paura da vedere sempre i magistrati come un pericolo? Perchè non rispettare le cariche, i ruoli, gli altri poteri dello Stato, previsti da una Costituzione democratica? Sono ben altre le esondazioni. Sono quelle dei fiumi, che provocano disastri e morti, da prevedere ed evitare in un programma serio di governo. Sono altri i problemi da affrontare, come la povertà che aumenta oltre ogni misura, la mancanza di lavoro, la criminalità, organizzata e non, l’insicurezza delle nostre strade e tanti ancora, che ben conosci e ai quali bisogna far fronte, in una sfida molto impegnativa. Come? Linearità e trasparenza sono le finalità cui devi tendere e ricorda, poi, e fallo presente alla tua squadra che anche le parole possono diventare pietre, armi da maneggiare con cautela, con prudenza, con stile, per un saggio governo della polis.
Che altro dirti? Sei il Presidente del Consiglio, ma per quanto tempo non è dato sapere. “Incrociamo le dita. Avanti tutta”. Questo lo lasciamo dire a te ...
Senti di non potercela fare? La squadra di governo comincia a traballare e ciascuno sembra seguire vie diverse, per conto suo, con manovre nemmeno tanto nascoste? Perchè non riconoscere che tangenti, richieste e pagate, e mazzette sotto banco ci sono sempre state e non ne sono esenti nemmeno i puri del tuo partito? Perchè negare che la corruzione serpeggia anche tra le fila dei tuoi? Se sei una colomba candida e pura, fra tanti falchi, è sufficiente fare un’accurata pulizia del Palazzo. Una buona ristrutturazione e tutto si sistema, senza il ricorso a quei bonus, così “odiosi e costosi”, inventati sempre dal povero Giuseppe Conte, per colpa dei quali, ora, nella manovra finanziaria, ti dici costretta a recuperare tanti “miliardi sperperati” attraverso un gravoso ridimensionamento dei fondi.
E chiudo qui, con l’ultimo suggerimento, scherzoso ed ispirato al titolo di un celebre film. Attenta a quei due e ... in bocca al lupo ... tra falchi e colombe...
(Ottobre 2024)
Pensieri ad alta voce
di Marisa Pumpo Pica
Tra social e fuori onda
“La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente fra il dolore e la noia (…).” Ci perdonerà Arthur Schopenhauer, il filosofo più amato, soprattutto fra i giovani, se prendiamo in prestito la sua affermazione, non per “travisarne” il significato, che resta sempre valido nel contesto del suo pensiero, ma solo per adattare la citazione a nostro uso e consumo, modificando i poli di oscillazione. I tempi cambiano e, con essi, situazioni, circostanze e congiunture dell’esistenza umana.
Oggi l’uomo oscilla fra due tentazioni opposte: i social e i fuori onda. Si rifugia tra i primi per comunicare e relazionarsi con l’altro, almeno dovrebbe... Si lascia scappare i secondi, i fuori onda, quando la ragione allenta i freni inibitori e allora tutto è possibile. Tutto è perduto e si naufraga tra le onde dell’incoscienza più irresponsabile. Due tentazioni, due manifestazioni opposte, che nascono dallo stesso bisogno: sfogarsi, comunicando tutto sui social o lasciandosi scappare quello che si pensa e si vuole finalmente dire, nel dormiveglia della coscienza. E, si badi bene, i fuori onda non avvengono solo negli studi televisivi, quando si parla pensando che ci si trovi a telecamere spente, ma anche nella vita di tutti i giorni o in molti momenti di essa e, se non tutti, quanto meno alcuni fra noi riconosceranno di averli vissuti. Per quanto concerne i fuori onda televisivi un esempio clamoroso fu, di certo, quello di Andrea Giambruno, l’ex first gentleaman, compagno della premier. E, per i fuori onda non televisivi, ma “sfuggiti”, in pubblico, un classico, tra i più recenti, è stato quello del governatore della nostra regione, Vincenzo De Luca, quando nel protestare contro Giorgia Meloni, ha fatto ricorso ad una parolaccia irripetibile, supponendo di non essere microfonato.
Glissiamo su entrambi i fuori onda, per ragioni di stile giornalistico e di vita. Quando le questioni scivolano troppo sul personale, non ci competono e non ci appassionano. Potrebbe, però, riguardarci, perché fornisce qualche dettaglio in più sul profilo istituzionale dei nostri politici di oggi, il successivo battibecco Meloni-De Luca e, limitandoci ad un veloce commento che ci viene spontaneo, ricorriamo ad un colorito detto napoletano “Fanno a chi mette ’a coppa” nonché a quella simpatica macchietta del nostro impareggiabile Totò, che si concludeva con la celebre frase “Lei non sa chi sono io... ”
La dittatura dei social
Il discorso sui social, invece, presenta molte sfaccettature, vista la piega che hanno preso, forse ben diversamente da come era nelle intenzioni di coloro che hanno inventato questo prodotto tecnologico dei nostri giorni. Potevano essere un’ottima forma di comunicazione, sociale, appunto, e ci si è armati, invece, di clava, per menar giù botte da orbi. Hanno dato vita all’influencer, al follower, con lazzi, schiamazzi e tifoserie da stadio. Dovevano creare comunità, ma così non è stato. La comunità accoglie, avvolge, sostiene. Il mondo dei social si è trasformato, ormai, in un vero e proprio campo di battaglia, con scambi di accuse ed offese che volano come proiettili, dai quali chi è più bravo riesce a difendersi, evitandone o parandone in tempo i colpi, mentre chi è meno forte, più fragile ed indifeso, ne esce schiacciato, talvolta irrimediabilmente.
La deriva dei social
In questi casi estremi le conseguenze non sono soltanto dannose, ma anche catastrofiche e drammatiche, come la cronaca sempre più spesso ci aggiorna. Valga per tutti il suicidio della ristoratrice di Lodi, Giovanna Pedretti, morta annegata nel fiume Lambro, per non aver retto al clamore e alle accuse che si erano levate contro di lei e contro il buon nome del suo ristorante. E questo non è l’unico caso di morte, in cui i social hanno potuto avere la loro parte. Non è l’unico, anche se tra i più sconcertanti. Sì di social sipuò morire, come qualcuno ha scritto...
L’ uomo, lo sappiamo bene, è dotato di due forze, quella creativa e quella distruttiva e, per quanto concerne i social, nel circuito influencer-followers, crea e distrugge con la stessa celerità.
La creazione del mito
Crea soprattutto miti, spesso senza alcuna consistenza, di punto in bianco, osannando persone, che diventano personaggi dalla sera alla mattina. E questi personaggi, così mitizzati dal coro delle voci unanimi, dettano usi, costumi, linguaggi, moda e quant’altro mai sia possibile, irretendosi nel groviglio del gossip, scivolando verso le ricette di cucina casalinga delle nonne, anche queste mitiche, o levandosi in altofino alle invenzioni medico-scientifiche più assurde, ma suggestive, Il tutto nell’ambito di un circuito influencer-followers che si rivela ampiamente discriminatorio e manipolatore. Non solo, ma, la Storia ce lo insegna, i miti hanno breve vita e anche le statue di robusto marmo possono cadere in frantumi, precipitando, se il basamento non ha solidità. E così il mito, creato dal bombardamento dei social, può essere distrutto con la stessa celerità con cui è stato creato e contro di esso si infierisce con un’aggressività inimmaginabile. Non vale la presunzione d’innocenza, nel mondo dei social. Nessuna pietà per chi cade. Parole come comprensione, perdono, clemenza, sono, ormai, fuori dal loro vocabolario. Non vige nessuna etica compassionevole. Si sa, tutti possiamo sbagliare Si sbaglia, si cade, bisogna rialzarsi, ma a volte è difficile poterlo fare da soli, occorre anche trovare accanto qualcuno pronto ad offrire il proprio aiuto. Ciò molto spesso non accade e, invece, questo è il momento in cui tutti dovremmo scoprire il valore ed il vero significato della parola solidarietà.
Ovviamente non si può generalizzare né fare un unico discorso per tutti gli utenti dei social. Anzi, le differenze sono notevoli. Ci sono coloro che ne sono affascinati, condizionati al punto tale da non poterne fare più a meno, quelli che ne fruiscono con parsimonia, prudenza e distacco e quanti li disdegnano, tenendosene semplicemente lontano.
La cultura corale
La cultura di un essere umano non può mai confondersi con una cultura corale. E non a caso usiamo qui il termine con-fondersi, che ha anche a che vedere con la parola confusione.
La vera cultura, a nostro avviso, non è mai corale, ma sempre individuale e personale, pur essendo specchio dei tempi e dei popoli che li attraversano.
Non abbiamo mai amato i social, lo confessiamo, anche se ne riconosciamo, comunque, l’utilità, in taluni casi. E non li abbiamo amati proprio per la deriva cui essi, nessuno escluso, sono andati incontro. Ci sembrano grossi baracconi, su cui viene esposta merce di scarso valore e dove tutto si muove sulla scia della dinamica amore-odio portando, di volta in volta, in alto e in basso i protagonisti, creati e distrutti, fatti oggetto, prima, di grande amore e poi di odio altrettanto feroce. Grossi carrozzoni su cui ognuno può salire a proprio piacimento, comportandosi a suo modo, senza rispettare regole o norme, che non siano quelle imposte da ciascun influencer, come più gli aggrada. Ognuno di questi carrozzoni ha i passeggeri e, costoro, il conducente che si meritano, così come Machiavelli riconosceva avvenisse per gli Stati e i relativi sudditi.
Non amiamo i social, lo riconosciamo. E questo perchè abbiamo notato subito, fin dall’inizio, l’appiattimento di una cultura corale che essi hanno testimoniato, una cultura intollerante, che non ammette tesi individuali, dissenso, contestazione. Il dissenso, se motivato e fondato su valide argomentazioni, esprime coraggio, trasparenza, libertà. E per questo non a tutti piace.
La cultura dei social rivela, poi, la sua palese incoerenza, che si manifesta nel momento in cui, mentre appare corale, risulta essere, invece, lo specchio assurdo di un ego smisurato ed esasperato, che vuole imporsi agli altri, con discutibile supponenza e prepotenza. È la cultura dell’influencer che, col suo codazzo di followers, si atteggia a regista di ogni scena e situazione, in cui agli altri non resta altro ruolo se non quello di “figuranti” o “comparse”. Un grande Supermercato dei sentimenti, dove tutto si dà per scontato, tutto è oro colato e dove, invece, molto è frutto di mistificazione ed ipocrisia. E parlando di Supermercato, il nostro pensiero va a quella vecchia stadera che si usava tanti anni fa (ma si usa ancora?) per pesare quei grossi sacchi di juta. Anche qui sui social tutto si pesa e tutto si misura e la mercanzia è davvero pesante, come le pietre che si lanciano, l’un l’altro, senza esclusione di colpi.
Non abbiamo amato i social perché non amiamo la cultura corale. È una cultura che non ci appartiene, che non possiamo sentire come nostra, per tutta una serie di motivazioni che qui possiamo solo sintetizzare. La cultura corale non dà sufficiente spazio al singolo e non ha nulla a che vedere con la cultura universale, che s’intreccia, invece, con la cultura individuale. Il singolo individuo non può essere assorbito dal gruppo, dal coro, deve saper esprimere le sue capacità di lettura critica della realtà circostante e dell’universo, farne oggetto di autonoma riflessione, ripercorrendo, nel più ristretto ambito di consapevolezza personale, l’intero cammino storico dell’umanità. E questo già basterebbe a rimarcarne la diversità con la cultura corale e a caratterizzare, di contro, la cultura che ciascun individuo crea per se stesso. Si aggiunga a ciò anche il fatto che la cultura corale dei social punta sulla quantità piuttosto che sulla qualità. Dimmi quanti followers e quante visualizzazioni hai e ti dirò chi sei. L’essenza di un essere umano, in quanto persona, non è in un numero, in una cifra. È nelle sue qualità, lo ribadiamo, individuali, umane, culturali, è nella capacità di elaborazione, appunto personale, di quella cultura e di quei valori che, attraverso secoli, sono giunti fino a lui. La cultura corale dei social, inoltre, segue una linea orizzontale. La cultura propria di un individuo segue un percorso che ha una lunga linea verticale, dall’alto, da remoto, fino a noi. Ma ci fermiamo qui perché il discorso si farebbe troppo lungo e complesso e lo rimandiamo, magari, ad altro momento.
I social specchio dei tempi?
Qualcuno potrebbe obiettare che il giudizio che abbiamo dato dei social potrebbe risultare troppo severo dal momento che essi, in definitiva, sono lo specchio della società attuale. Noi, invece, siamo convinti che la loro deriva ne rappresenti un’aberrante deviazione a cui occorre porre rimedio.
E pertanto non possiamo, nel concludere queste nostre brevi annotazioni, non auspicare che i social siano soggetti a controlli più seri ed efficienti, soprattutto per una maggiore tutela dei nostri giovani e, in particolare, degli adolescenti. Nell’attesa che ciò avvenga, vogliamo augurarci che i giovani stessi sappiano coglierne in tempo i pericoli e siano in grado di trovare, in piena autonomia ed affidandosi alla ragione e alla consapevolezza, vie e forme diverse per una loro migliore socializzazione.
(Giugno 2024)