Vincenzo Irolli: arte o commercio?
di Antonio La Gala
Vincenzo Irolli (Napoli,1860 - 1949), scoprì la passione per l'arte a diciassette anni, dopo aver visto alla Esposizione Nazionale di Napoli del 1877, il "Corpus Domini" di Francesco Paolo Michetti e I "Parassiti" di D'Orsi.
Nello stesso anno si iscrisse all'Accademia delle Belle Arti, vincendo due anni dopo il primo premio alla XV Mostra della Promotrice Salvator Rosa. Sebbene fosse stato allievo di Gioacchino Toma la sua pittura fu invece influenzata dagli effetti cromatici di Michetti, Morelli e Mancini, che portarono nella sua tavolozza forti chiaroscuri, luci e riflessi abbaglianti e multicolori, come mostra, ad esempio, il suo autoritratto che accompagna questo articolo.
Spinto da necessità economiche, fra il 1883 e 1895 affiancò alla sua produzione migliore e ispirata, una produzione minore, con soggetti di facile commerciabilità, e perciò frivoli e piacevoli. Si racconta che il pittore (come faceva pure Luca Postiglione), cedeva quadretti a un rivenditore di colori e materiali per artisti, di piazza Bellini, il quale poi faceva copiare con poche varianti, da artisti minori e bisognosi, per poco o niente, i quadretti di Irolli e Postiglione, in maniera seriale, alimentando un ricco mercato.
Irolli restava operoso anche quando si ritirava in lunghi isolamenti, fra cui un lungo periodo nell'allora tranquilla Calvizzano, luogo d'origine della famiglia paterna e dove il pittore risiedeva da giovane. Agli inizi del Novecento lo troviamo abitare in vico Paradiso alla Salute e frequentare l'ambiente artistico del Vomero, dove ha lasciato dipinti nella Chiesa dei Salesiani. Infine visse a lungo e definitivamente in via Cagnazzi, nel quartiere Stella, verso Capodimonte.
Traendo ispirazione da scene e personaggi della vita quotidiana, Irolli nella sua lunga vita (arrivò ad 89 anni), produsse una gran quantità di quadri che incontrarono i favori soprattutto della committenza borghese, circostanza che gli nocque negli ambienti della critica italiana, perché lo fecero considerare un pittore "commerciale", giudicando severamente le sbavature sentimentali e coloristiche della sua tavolozza. Qualche critico giustifica l'accentuazione cromatica di Irolli come mezzo espressivo funzionale alla raffigurazione della carnalità e visceralità del mondo oggetto delle sue opere, quello popolare della città, i suoi vicoli, i volti degli scugnizzi, le vedute accecate dalla luce. In sostanza egli raffigurava lo stesso mondo che Salvatore Di Giacomo, di cui Irolli era molto amico, cantava nei suoi versi. La critica ha collocato Di Giacomo nel Panteon artistico locale e Irolli quasi fuori del recinto degli artisti.
Alla Biennale di Venezia giunse più che sessantenne, sebbene l'apprezzamento di cui godeva all'estero gli assicurasse una forte e continua presenza nelle esposizioni straniere, specie in Germania. Oggi alcune sue opere sono esposte nelle Gallerie d'Arte Moderna di Torino, Milano, Palermo, a Capodimonte e nel Petit Palais di Parigi.
A proposito della commercialità della produzione di Irolli, ci sembra esagerata, oltre che poco opportuna data la circostanza, la tirata che il critico Paolo Ricci, animato (ma non sempre con coerenza) da furori ideologici sinistrorsi, pubblicò in occasione della morte dell'artista a mò di necrologio. Fra altre sgradevolezze, leggiamo: “Egli interpretava fedelmente i desideri e la moralità di una classe senza ideali [...], la grossa borghesia meridionale che era succeduta, dopo l'Unità d'Italia, agli ultimi esponenti di quella nobiltà feudale dei quali essa assorbì soltanto la rabbia antipopolare e sul possesso della terra. Irolli appartiene al campo della reazione. Gli elementi costitutivi della pittura irolliana sono: sentimentalismo, intenerimento pietoso, leziosaggine e moralismo demagogico, il tutto espresso con una tavolozza spietatamente accesa e grossolana, approssimativa e civettuola".
Anche se la vicenda artistica di Irolli in realtà pone la domanda se la sua fu arte o commercio, tuttavia la critica d'arte vista con strabismo ideologico, indipendentemente se osservata da un lato o da quello opposto, non ci piace. E ancor meno apprezziamo gli insulti a cadavere quasi caldo.
(Agosto 2020)