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Miti napoletani di oggi.82

I LUOGHI COMUNI

 

di Sergio Zazzera

 

Male intendendo il significato della locuzione, nel cortile di un condominio, nei pressi di Port’Alba, alcuni anni fa fu collocato un cartello con la scritta: «è vietata la sosta nei luoghi comuni».

In realtà, il luogo comune, oltre che il tópos aristotelico, è anche una frase fissatasi in una determinata forma e, quindi, ripetuta meccanicamente e banalizzata, il che val quanto dire uno stereotipo, una frase fatta. Come tale, perciò, esso è sintomo di non veridicità e, dunque, è ascrivibile a pieno titolo alla categoria del mito: del resto, non a caso, qualche autore (come Pietro Janni, Miti e falsi miti. Luoghi comuni, leggende, errori sui Greci e sui Romani, Bari 2004; Alessandro Raggi, Il mito dell’anoressia. Archetipi e luoghi comuni delle patologie del nuovo millennio, Milano 2014), dopo avere titolato il proprio saggio in termini di “mito”, lo sottotitola in termini di “luoghi comuni”.

In passato, mentre Mark Twain proclamava la propria avversione nei confronti di questi ultimi, c’è stato chi (come Orlando Pescetti, Proverbi italiani, raccolti, e ridotti sotto a certi capi, e luoghi comuni per ordine d’alfabeto, Verona 1603, e Gustave Flaubert, Dictionnaire des idées reçues, Paris 1913) ne ha tentata una qualche catalogazione, il che mi sollecita a individuarne almeno alcuni di quelli napoletani, tuttora in voga.

‘O paese d’’o sole: così si esprimeva Libero Bovio, nei versi della canzone musicata da Vincenzo D’Annibale. Ebbene, si dia, di tanto in tanto, un’occhiata alle previsioni del tempo; e, soprattutto, al risveglio mattutino si lanci uno sguardo al di fuori della finestra. E non soltanto d’inverno.

Hadda passà’ ‘a nuttata: è la battuta conclusiva della eduardiana Napoli milionaria. Correva l’anno 1945; dunque, ne sono trascorsi ben settantacinque. Ma questa nuttata quando vuole passare?

Vide Napule e po’ muore: oggi – e già da qualche tempo –, vuoi per cause naturali (leggi, per tutte: inquinamento), vuoi per cause umane (leggi: criminalità organizzata), c’è il rischio che il momento della visione e quello della dipartita possano coincidere o, magari, che il secondo possa addirittura prevenire – e, quindi, vanificare – il primo.

Sole, pizza e amore: così cantavano il Quartetto Cetra e Aurelio Fierro nel 1964. Ora, quanto al primo, si ribadisce il concetto più sopra espresso; quanto alla seconda, Napoli è piena di pizzerie, ma quelle realmente di qualità non abbondano affatto; quanto al terzo, infine, già nel 1955 Nino Taranto cantava ‘A bonanema ‘e ll’ammore (e figuriamoci oggi).


Ma che bellu ccafè: sul’a Napule ‘o ssanno fa’: così cantava già Domenico Modugno nel 1958 e così ha parafrasato Fabrizio de André nel 1990. Anche qui, però, vale quanto si è detto a proposito della pizza; e, poi, anche a Venezia, qualche decennio fa, Zanin, quando apriva le sue porte in Campo San Luca, sapeva ben reggere la concorrenza.

Potrei andare anche oltre, ma, memore del fatto che nei luoghi comuni la sosta è vietata, mi affretto ad allontanarmene.

(Ottobre 2020)

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