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SI E’ CONCLUSO IL GIRONE D’ANDATA DEL CAMPIONATO DI CALCIO   di Luigi Rezzuti   Ad aggiudicarsi il girone d’andata è stata, come da previsioni, la...
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Non mi piace il rococò   di Antonio La Gala   Un autore del Settecento, Pietro Napoli-Signorelli, commentando l’arte della sua epoca biasimava...
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FESTIVAL DI SANREMO   di Luigi Rezzuti   Non vedo il Festival perché mi annoia, tutto qui. Però mi dispiace perché questo mi fa sentire tagliato fuori...
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Pensieri ad alta voce   di Marisa Pumpo Pica   Il peggio e il meglio della TV  Ballando con le stelle   Del peggio non v’è mai fine... Fu questa...
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Miti napoletani contemporanei.65 “SUPER-NAPOLI”   di Sergio Zazzera   Qualche tempo fa ho parlato del “mito-Napoli”; come se non bastasse, ora il...
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ARTISTI DI STRADA

 

di Luigi Rezzuti

 


Mangiano il fuoco o ingoiano spade, raccontano storie, incantano con musica e perfino con la magia. Artisti di strada, tanto bizzarri quanto affascinanti. Spesso mi fermo ad osservarli, ad ascoltarli. Degli artisti di strada conosco poco, non so neanche chi siano in realtà, possono essere dei senza tetto che provano a racimolare qualche euro con le proprie capacità ma anche viaggiatori di passaggio che chiedono un contributo per  riuscire a girare il mondo, sbarcando il lunario esclusivamente con la propria arte. In certi casi sono solo semplici studenti di musica o di teatro, i quali decidono di esibirsi per strada, come Simone, giovane studente del conservatorio che mi ha raccontato la sua storia: “Suonare nelle vie è una grande prova per un aspirante artista. Incontri mille persone che suonano e ti confronti con loro. Conoscersi per strada è molto utile perché permette di creare contatti e di comprendere nuove realtà. Anche da quelli che non hanno mai studiato impari un sacco di cose. Se alla gente piaci, puoi perfino esibirti nei locali. Per me non è un lavoro, anche se mi capita di guadagnarci qualcosa”.

Camminando lungo via Scarlatti incontro, ad un angolo della strada, un altro artista e anche da lui mi faccio raccontare la sua storia.


Enzo, originario del Salento, ha iniziato a fare il giocoliere per conciliare il divertimento e la necessità: “ Con il tempo, però, il mestiere è diventato anche il mio stile di vita – racconta – ho 39 anni e faccio questo lavoro da quando ne avevo 19. La mia disciplina circense preferita è la giocoleria” . L’esperienza di Enzo è cominciata per puro caso: “ Io e alcuni amici ci  trovammo al Festival degli Artisti di Strada e ci ì intrufolammo in una postazione vuota per provare a fare il nostro numero e guadagnammo  il consenso degli organizzatori. Finì che decisi di continuare l’avventura, sfruttando qualsiasi occasione mi capitasse. Si unì al gruppo anche la mia  fidanzata, Monica. Rispetto a tante altre storie d’amore, il percorso per noi è stato più facile perché siamo sempre insieme e abbiamo gli stessi interessi. Le difficoltà, naturalmente, esistono, ma sono compensate dalla bellezza del nostro stile di vita: totale mancanza di abitudini e luoghi sempre diversi aiutano a scoprire tante cose e ad incontrare belle persone. L’inverno è il momento ideale per rifiatare e dedicarsi alla creazione di nuovi progetti, nelle stagioni più calde ci dedichiamo ai viaggi e agli spettacoli! – e di viaggi, in effetti, Enzo ne ha fatti davvero tanti – In questi vent’anni ho girato non  soltanto il Sud e l’Italia, ma anche l’Europa”. Della vita degli artisti di strada, però, si dice anche che non sia fatta per tutti, ma non è l’opinione di Enzo : “Io sono sicuro che ognuno di noi è un potenziale mago, clown o giocoliere. L’errore sta nel credere che il talento sia fondamentale perché, in realtà, a fare davvero la differenza sono il sudore e l’allenamento. Queste due cose, insieme, valgono il 99% del risultato finale”.

Tuttavia, c’è anche chi non ce l’ha fatta, come Francesco, chitarrista di 26 anni che ha dovuto rinunciare all’idea di vivere della propria arte dopo aver constatato che questa non gli permetteva di costruirsi un futuro. Una decisione  maturata in seguito a una presa di coscienza, durata mesi, se non anni: “ Ci sentivamo diversi da tutti gli altri e volevamo gridarlo al mondo, così abbiamo messo su una band e cominciato a viaggiare e a suonare. Dopo l’entusiasmo dei primi anni, però, le cose hanno iniziato a non funzionare più. Non siamo mai stati in regola e un paio di volte sono venuti i carabinieri a multarci, altre volte siamo stati semplicemente cacciati via. Poi c’è tutto il discorso dei diritti d’autore perché, se vuoi suonare canzoni composte da altri,  devi pagare una tassa annuale alla Siae oppure sperare che l’artista in questione abbia autorizzato i musicisti di strada a eseguire delle sue canzoni. Credo, però, che le cose abbiano smesso di funzionare quando ci siamo resi conto di non essere così diversi dagli altri. Mostrare il nostro anticonformismo è diventato meno appagante. E, paradossalmente, è stata proprio la strada a insegnarcelo: tra le migliaia e migliaia di persone che ci sono passate davanti. Mi sono fidanzato, ho iniziato a sentire un bisogno di stabilità che non c’era mai stato prima. Ho smesso di viaggiare e ho trovato un lavoro vero perché mi servivano soldi e le occupazioni saltuarie non potevano più bastare. Forse non era la vita adatta a me”.

Gli chiediamo com’era la vita di cui non ha più voluto sapere. “Capitava che i miei  genitori non avessero notizie per giorni e giorni. Se ci spostavamo in un’altra città, il più delle volte lo facevamo in autostop e non era facile trovare un veicolo abbastanza spazioso, considerato che eravamo tre e in più avevamo con noi gli strumenti. Più avanti, dopo aver preso la patente, abbiamo iniziato a guidare a turno la macchina di un nostro amico. Prendevamo autobus o treni soltanto nei casi estremi. Una volta arrivati in città, cercavamo un buon posto per suonare e ci mettevamo all’opera, per racimolare dei soldi che poi dividevamo in parti uguali. Era come in tournee, solo che il nostro palcoscenico era la strada e non eravamo ricchi come i cantanti professionisti, anzi, per risparmiare ci capitava persino di dormire in tenda o in macchina. A volte trovavamo ospitalità da qualche conoscente ma chiaramente non era una soluzione che poteva durare per troppi giorni. Altre volte andavamo negli ostelli della gioventù o cercavamo qualcosa di conveniente, soprattutto in inverno.

Per il cibo ci arrangiavamo allo stesso modo: puntavamo sulla sostanza e sul risparmio, ma ci è capitato anche di andare alla Caritas. Non è che ne vada fiero, adesso. Semplicemente lo facevamo perché ci illudevamo di poter vivere liberamente, facendo unicamente quello che ci piaceva e che ci rendeva felici, senza magari trovare un lavoro noioso o diventare abitudinari. Alla lunga, però, non può funzionare. Se non riesci a farne un lavoro, e molti non ci riescono, devi guardare in faccia la realtà e fare un passo indietro per andare avanti”.

(Febbraio 2021)

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