La caduta del Forte di Vigliena
di Antonio La Gala
Uno degli episodi militari che portarono alla caduta della Repubblica Partenopea del 1799, fu la distruzione del Forte di Vigliena.
Esso era sorto agli inizi del Settecento e costituiva un’isolata difesa sul lato orientale della città.
Era una costruzione di forma pentagonale, meglio attrezzata per la difesa verso il mare su cui prospettava con mura chiuse, fiancheggiate da bastioni e cannoni di grosso calibro, puntati verso il litorale.
Il Forte di Vigliena visse il suo momento di gloria - e di sangue - nel giugno del l799, quando le truppe del cardinale Ruffo, provenienti dalla Calabria, puntarono verso l’espugnazione di Napoli, per cacciarne i giacobini repubblicani.
Il forte, uno degli ultimi ostacoli per la presa della città, era difeso da 150 rivoluzionari della Legione Calabrese Repubblicana, comandati dal prete calabrese Antonio Toscano.
Allo spuntare dell’alba del 13 giugno fu assaltato dagli uomini di Ruffo: verso l’una di notte, quando questi già erano penetrati nella roccaforte, saltò in aria la polveriera.
Un fulmineo, intenso chiarore squarciò il buio della notte, accompagnato da un fortissimo boato. Nell’esplosione morirono tutti, vinti e vincitori, affratellati anche nella morte, visto che si trattava, da una parte e dall’altra, di combattenti quasi tutti provenienti dalla Calabria.
Gli studiosi non sono concordi se attribuire lo scoppio ad un errore dei difensori che, dopo aver minato il forte, non fecero in tempo ad uscirne, oppure a un deliberato gesto del comandante Toscano o, infine, all’infuriare della battaglia.
Non è facile dire veramente come andarono le cose. A qualcuno è sembrata apologetica verso i giacobini la versione di Pietro Colletta, secondo la quale il prete Antonio Toscano, comandante della guarnigione, animato dallo spirito degli Eroi delle Termopili o emulo di Pietro Micca, quando si rese conto che il forte era stato conquistato dagli avversari, si trascinò eroicamente, benché gravemente ferito, fino alla polveriera, dandole fuoco, per distruggere i nemici che vi erano penetrati.
Ferdinando, il re restaurato dalla vittoria del cardinale Ruffo, fece restaurare anche il forte, che poi, di fatto, è stato fatto sparire, definitivamente, alle soglie dei nostri giorni, dal disinteresse per le memorie storiche e dall’incuria.
(Giugno 2021)