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Miti napoletani di oggi.89

“THE PASSENGER”

 

di Sergio Zazzera

 

Vi fu un tempo in cui il concetto di “Guida” evocava immediatamente il Baedeker – e, magari, subito dopo, la “Guida rossa” del Touring  Club  Italiano –; poi, vennero quelle che io definii “preguide”, vale a dire, letture preparatorie di un viaggio, che consentivano, non soltanto d’individuare che cosa vedere, dove alloggiare e dove (e di che cosa) cibarsi, ma anche di farsi un’idea del “materiale umano” col quale ci si confronterà, prima di mettersi in cammino.

In tempi recenti, però, quello stesso concetto ha subìto un ampliamento (o, forse, una distorsione), che impone di ascrivere delle (cosiddette) “Guide” al mito. E una di queste è quella di Napoli della serie The Passenger, edita da Iperborea (Aa. Vv., The Passenger. Napoli, Milano 2021).

A dire il vero, nel caso che ci riguarda il mito – costituito dalla definizione di “Guida” – non è stato creato dagli autori o dall’editore, bensì da alcuni recensori, i quali, perciò, non hanno reso un buon servizio a quelli. Ora, non v’è dubbio che sulla discontinuità qualitativa dei contenuti eserciti sempre la propria incidenza la redazione “a più mani” di qualsiasi opera; qui, però, quello che in buona parte manca – e che quei recensori mostrano di non avere colto – è l’offerta, non dico dell’“accompagnamento per mano” attraverso la città, ma finanche di quell’aiuto preliminare alla comprensione di cose e di persone, alla quale ho fatto cenno più sopra.

Se, infatti, positivo è il contributo di Paolo Macry alla intelligibilità delle testimonianze attuali di passate gestioni amministrative particolarmente caratterizzate (Lauro, Bassolino, De Magistris; ma già mi manca Valenzi), viceversa, quello di Cristiano de Majo fa di tutto per non far capire che cosa è il Vomero, mentre quello di Francesco Abazia sulle nuove proposte musicali si rivela troppo tecnico per un pubblico composto in maggioranza da non addetti ai lavori. Perfino lo scritto più osannato dai recensori – quello, cioè, di Carmen Barbieri sui cimiteri – si risolve, in buona sostanza, piuttosto che in una panoramica della realtà cimiteriale napoletana, nella narrazione (peraltro, condotta con scaltrita mano affabulatoria) di una realtà genealogico-famigliare del tutto personale. E ciò, soltanto per soffermarsi sugli esempi più evidenti.

Mi permetto, dunque, di suggerire a quei recensori che sarebbe il caso di soppesare le parole, e d’inquadrare i concetti ch’esse esprimono, prima di plasmare definizioni di natura mitologica.

(Ottobre 2021)

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