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Porta Reale, una porta girovaga   di Antonio La Gala   In via Toledo, sulla facciata di palazzo De Rosa, ad angolo con via Cisterna dell’Olio, sono...
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Miti napoletani di oggi.82 I LUOGHI COMUNI   di Sergio Zazzera   Male intendendo il significato della locuzione, nel cortile di un condominio, nei...
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Le antiche denominazioni delle strade napoletane

 

di Antonio La Gala

 

La toponomastica napoletana nasce formalmente alla fine del Settecento, ma di fatto è l'Ottocento il primo secolo a ufficializzare denominazioni dei luoghi.

Per quanto riguarda i termini che, nell'Ottocento, indicavano le "categorie" attribuite a strade e spazi pubblici di Napoli, essi non coincidevano con quelli usati oggi.

I percorsi principali, oppure le rare vie più ampie, venivano chiamati "strade". Le traverse venivano classificate "vichi", oppure "vicoletti", se si trattava di passaggi piccoli, e "strettole" se proprio di dimensioni veramente minime. I vichi poi, se erano coperti da un arco, erano chiamati "supportici".

Si definiva "fondaco" una specie di cortile chiuso o di via cieca, su cui si affacciavano abitazioni per il popolo più minuto. Quasi sempre erano luoghi affollati e sporchi tant’è che il nome fondaco è passato alla storia come l'habitat preferito dai vibrioni del ricorrente colera. Tuttavia il nome fondaco non era un termine dispregiativo perché non definiva una invivibilità del luogo ma la forma di cortile chiuso. Un esempio di fondaco "decente" è il fondaco Cancello di Ferro, al Vomero, un raggruppamento di vecchie abitazioni che sopravviveva da ultimo giapponese, fino a poco fa, in via Beniamino Cesi.

La denominazione "via" nell'Ottocento compare molto poco, mentre resisteva la forma "rua", equivalente francese di via, di origine angioina. Gli spazi liberi casualmente esistenti fra gli edifici, non frequenti e comunque di dimensioni quasi sempre modeste, venivano chiamati "larghi", nome con il quale si indicavano anche quei larghi, raramente"più larghi", che poi diventeranno piazze.

L'appellativo "piazza" era riservato, invece, agli spazi dedicati ai mercati. 

Interessante la distinzione fra le vie in pendenza; “Le vie erte son dette salite, se menano verso l’esterno della città, calate se conducono alla vecchia città; gradoni se hanno scaglioni; rampe se hanno più branche.” In qualche pianta o documento troviamo per le erte anche la denominazione "discesa". Per la verità la distinzione fra discese, salite e calate può suscitare qualche perplessità, perché ogni percorso ha sempre due sensi opposti, cioè una via in pendenza è contemporaneamente una discesa (sinonimo di calata), e una salita. In mancanza di ulteriori precisazioni, riteniamo che, per fare degli esempi concreti, il Petraio, i Cacciottoli e la Pedamentina erano salite perché menavano a zone oggi diventate centrali (Corso Vittorio Emanuele), ma allora esterne alla città, mentre Calata San Francesco conduceva alla vecchia città (Arco Mirelli).

La configurazione orografica di molte zone di Napoli, in particolare delle colline e dei villaggi attorno alla città, in passato rendeva frequente il nome "cupa". Nell'Italia centro-meridionale questo nome ancora oggi viene riferito a strade strette, incassate, per lo più nel tufo (ad esempio Cupa Gerolomini), oppure stradine anguste e disagevoli (ad esempio Cupa San Domenico, Cupa Camaldolilli),

Il nome cupa ricorda la concavità, la profondità (dal vocabolo latino cupa, botte, ciotola), e anche la connessa scarsità di luce (un aggettivo derivato è cupo).

Un'a denominazione che s'incontra nel mondo delle strade napoletane dell'Ottocento, per lo più riservata alle strade in pendenza, é "Imbrecciata". Il vocabolo ricordava l'uso di pavimentare questi percorsi con ciottoli, detti in dialetto vrecce o brecce.

A proposito delle pavimentazioni, a margine di queste notizie sui nomi, ricordiamo che le strade di Napoli nel Cinquecento venivano pavimentate con mattoni, abitualmente fabbricati e cotti nell'isola di Ischia. Dopo un non riuscito tentativo di usare i breccioni di fiume (come si usava a Roma), verso la metà del Seicento cominciò ad entrare nelle abitudini napoletane la pavimentazione con pietra vesuviana, i cosiddetti "basoli".

Recentemente la corrente di pensiero estetico che sta alterando l'aspetto della nostra città con un arredo dissonante con il contesto, ed estraneo alla nostra tradizione urbana, la corrente "à la page" che si ispira con disinvoltura alle patinate riviste di architettura contemporanea che illustrano i nuovi quartieri delle grandi città del mondo tutto, sta sostituendo i basoli con piastrelle di materiale artificiale. Un uso che toglie alle nostre strade storiche il loro aspetto caratteristico, e, cosa peggiore, sostituendo il solido manto lapideo ad incastro con la fluida posa di elementi artificiali, complice anche una non sempre buona esecuzione dei lavori, realizza pavimentazioni “a tastiera di pianoforte”, di durata effimera e anche con la sofferenza di chi le percorre, specialmente quando piove.

(Dicembre 2021)

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