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La vendetta   di Alfredo Imperatore   Il marchese Antonio De Franciscis aveva un grande negozio per la rivendita di tappeti, a Palermo. e un...
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SETE, di Amélie Nothomb   di Luigi Alviggi     Sorprendente e geniale l’idea fulcro dell’ultimo romanzo della Nothomb: passare la notte prima del...
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Pensieri ad alta voce

di Marisa Pumpo Pica

Tra social e fuori onda

 

“La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente fra il dolore e la noia (…).” Ci perdonerà Arthur Schopenhauer, il filosofo più amato, soprattutto fra i giovani, se prendiamo in prestito la sua affermazione, non per “travisarne” il significato, che resta sempre valido nel contesto del suo pensiero, ma solo per adattare la citazione a nostro uso e consumo, modificando i poli di oscillazione. I tempi cambiano e, con essi, situazioni, circostanze e congiunture dell’esistenza umana.

Oggi l’uomo oscilla fra due tentazioni opposte: i social e i fuori onda. Si rifugia tra i primi per comunicare e relazionarsi con l’altro, almeno dovrebbe... Si lascia scappare i secondi, i fuori onda, quando la ragione allenta i freni inibitori e allora tutto è possibile. Tutto è perduto e si naufraga tra le onde dell’incoscienza più irresponsabile. Due tentazioni, due manifestazioni opposte, che nascono dallo stesso bisogno: sfogarsi, comunicando tutto sui social o lasciandosi scappare quello che si pensa e si vuole finalmente dire, nel dormiveglia della coscienza. E, si badi bene, i fuori onda non avvengono solo negli studi televisivi, quando si parla pensando che ci si trovi a telecamere spente, ma anche nella vita di tutti i giorni o in molti momenti di essa e, se non tutti, quanto meno alcuni fra noi riconosceranno di averli vissuti. Per quanto concerne i fuori onda televisivi un esempio clamoroso fu, di certo, quello di Andrea Giambruno, l’ex first gentleaman, compagno della premier.  E, per i fuori onda non televisivi, ma “sfuggiti”, in pubblico, un classico, tra i più recenti, è stato quello del governatore della nostra regione, Vincenzo De Luca, quando nel protestare contro Giorgia Meloni, ha fatto ricorso ad una parolaccia irripetibile, supponendo di non essere microfonato.

Glissiamo su entrambi i fuori onda, per ragioni di stile giornalistico e di vita. Quando le questioni scivolano troppo sul personale, non ci competono e non ci appassionano. Potrebbe, però, riguardarci, perché fornisce qualche dettaglio in più sul profilo istituzionale dei nostri politici di oggi, il successivo battibecco Meloni-De Luca e, limitandoci ad un veloce commento che ci viene spontaneo, ricorriamo ad un colorito detto napoletano “Fanno a chi mette ’a coppa” nonché a quella simpatica macchietta del nostro impareggiabile Totò, che si concludeva con la celebre frase “Lei non sa chi sono io... ”

La dittatura dei social

Il discorso sui social, invece, presenta molte sfaccettature, vista la piega che hanno preso, forse ben diversamente da come era nelle intenzioni di coloro che hanno inventato questo prodotto tecnologico dei nostri giorni. Potevano essere un’ottima forma di comunicazione, sociale, appunto, e ci si è armati, invece, di clava, per menar giù botte da orbi. Hanno dato vita all’influencer, al follower, con lazzi, schiamazzi e tifoserie da stadio. Dovevano creare comunità, ma così non è stato. La comunità accoglie, avvolge, sostiene. Il mondo dei social si è trasformato, ormai, in un vero e proprio campo di battaglia, con scambi di accuse ed offese che volano come proiettili, dai quali chi è più bravo riesce a difendersi, evitandone o parandone in tempo i colpi, mentre chi è meno forte, più fragile ed indifeso, ne esce schiacciato, talvolta irrimediabilmente.

La deriva dei social

In questi casi estremi le conseguenze non sono soltanto dannose, ma anche catastrofiche e drammatiche, come la cronaca sempre più spesso ci aggiorna. Valga per tutti il suicidio della ristoratrice di Lodi, Giovanna Pedretti, morta annegata nel fiume Lambro, per non aver retto al clamore e alle accuse che si erano levate contro di lei e contro il buon nome del suo ristorante. E questo non è l’unico caso di morte, in cui i social hanno potuto avere la loro parte. Non è l’unico, anche se tra i più sconcertanti. Sì di social sipuò morire, come qualcuno ha scritto...

L’ uomo, lo sappiamo bene, è dotato di due forze, quella creativa e quella distruttiva e, per quanto concerne i social, nel circuito influencer-followers, crea e distrugge con la stessa celerità.

La creazione del mito

Crea soprattutto miti, spesso senza alcuna consistenza, di punto in bianco, osannando persone, che diventano personaggi dalla sera alla mattina. E questi personaggi, così mitizzati dal coro delle voci unanimi, dettano usi, costumi, linguaggi, moda e quant’altro mai sia possibile, irretendosi nel groviglio del gossip, scivolando verso le ricette di cucina casalinga delle nonne, anche queste mitiche, o levandosi in altofino alle invenzioni medico-scientifiche più assurde, ma suggestive, Il tutto nell’ambito di un circuito influencer-followers che si rivela ampiamente discriminatorio e manipolatore. Non solo, ma, la Storia ce lo insegna, i miti hanno breve vita e anche le statue di robusto marmo possono cadere in frantumi, precipitando, se il basamento non ha solidità. E così il mito, creato dal bombardamento dei social, può essere distrutto con la stessa celerità con cui è stato creato e contro di esso si infierisce con un’aggressività inimmaginabile. Non vale la presunzione d’innocenza, nel mondo dei social. Nessuna pietà per chi cade. Parole come comprensione, perdono, clemenza, sono, ormai, fuori dal loro vocabolario. Non vige nessuna etica compassionevole. Si sa, tutti possiamo sbagliare Si sbaglia, si cade, bisogna rialzarsi, ma a volte è difficile poterlo fare da soli, occorre anche trovare accanto qualcuno pronto ad offrire il proprio aiuto. Ciò molto spesso non accade e, invece, questo è il momento in cui tutti dovremmo scoprire il valore ed il vero significato della parola solidarietà.

Ovviamente non si può generalizzare né fare un unico discorso per tutti gli utenti dei social. Anzi, le differenze sono notevoli. Ci sono coloro che ne sono affascinati, condizionati al punto tale da non poterne fare più a meno, quelli che ne fruiscono con parsimonia, prudenza e distacco e quanti li disdegnano, tenendosene semplicemente lontano.

La cultura corale

La cultura di un essere umano non può mai confondersi con una cultura corale. E non a caso usiamo qui il termine con-fondersi, che ha anche a che vedere con la parola confusione.

La vera cultura, a nostro avviso, non è mai corale, ma sempre individuale e personale, pur essendo specchio dei tempi e dei popoli che li attraversano.

Non abbiamo mai amato i social, lo confessiamo, anche se ne riconosciamo, comunque, l’utilità, in taluni casi. E non li abbiamo amati proprio per la deriva cui essi, nessuno escluso, sono andati incontro. Ci sembrano grossi baracconi, su cui viene esposta merce di scarso valore e dove tutto si muove sulla scia della dinamica amore-odio portando, di volta in volta, in alto e in basso i protagonisti, creati e distrutti, fatti oggetto, prima, di grande amore e poi di odio altrettanto feroce. Grossi carrozzoni su cui ognuno può salire a proprio piacimento, comportandosi a suo modo, senza rispettare regole o norme, che non siano quelle imposte da ciascun influencer, come più gli aggrada. Ognuno di questi carrozzoni ha i passeggeri e, costoro, il conducente che si meritano, così come Machiavelli riconosceva avvenisse per gli Stati e i relativi sudditi.

Non amiamo i social, lo riconosciamo. E questo perchè abbiamo notato subito, fin dall’inizio, l’appiattimento di una cultura corale che essi hanno testimoniato, una cultura intollerante, che non ammette tesi individuali, dissenso, contestazione. Il dissenso, se motivato e fondato su valide argomentazioni, esprime coraggio, trasparenza, libertà. E per questo non a tutti piace.

La cultura dei social rivela, poi, la sua palese incoerenza, che si manifesta nel momento in cui, mentre appare corale, risulta essere, invece, lo specchio assurdo di un ego smisurato ed esasperato, che vuole imporsi agli altri, con discutibile supponenza e prepotenza. È la cultura dell’influencer che, col suo codazzo di followers, si atteggia a regista di ogni scena e situazione, in cui agli altri non resta altro ruolo se non quello di “figuranti” o “comparse”. Un grande Supermercato dei sentimenti, dove tutto si dà per scontato, tutto è oro colato e dove, invece, molto è frutto di mistificazione ed ipocrisia. E parlando di Supermercato, il nostro pensiero va a quella vecchia stadera che si usava tanti anni fa (ma si usa ancora?) per pesare quei grossi sacchi di juta. Anche qui sui social tutto si pesa e tutto si misura e la mercanzia è davvero pesante, come le pietre che si lanciano, l’un l’altro, senza esclusione di colpi.

Non abbiamo amato i social perché non amiamo la cultura corale. È una cultura che non ci appartiene, che non possiamo sentire come nostra, per tutta una serie di motivazioni che qui possiamo solo sintetizzare. La cultura corale non dà sufficiente spazio al singolo e non ha nulla a che vedere con la cultura universale, che s’intreccia, invece, con la cultura individuale. Il singolo individuo non può essere assorbito dal gruppo, dal coro, deve saper esprimere le sue capacità di lettura critica della realtà circostante e dell’universo, farne oggetto di autonoma riflessione, ripercorrendo, nel più ristretto ambito di consapevolezza personale, l’intero cammino storico dell’umanità. E questo già basterebbe a rimarcarne la diversità con la cultura corale e a caratterizzare, di contro, la cultura che ciascun individuo crea per se stesso. Si aggiunga a ciò anche il fatto che la cultura corale dei social punta sulla quantità piuttosto che sulla qualità. Dimmi quanti followers e quante visualizzazioni hai e ti dirò chi sei. L’essenza di un essere umano, in quanto persona, non è in un numero, in una cifra. È nelle sue qualità, lo ribadiamo, individuali, umane, culturali, è nella capacità di elaborazione, appunto personale, di quella cultura e di quei valori che, attraverso secoli, sono giunti fino a lui. La cultura corale dei social, inoltre, segue una linea orizzontale. La cultura propria di un individuo segue un percorso che ha una lunga linea verticale, dall’alto, da remoto, fino a noi. Ma ci fermiamo qui perché il discorso si farebbe troppo lungo e complesso e lo rimandiamo, magari, ad altro momento.

I social specchio dei tempi?

Qualcuno potrebbe obiettare che il giudizio che abbiamo dato dei social potrebbe risultare troppo severo dal momento che essi, in definitiva, sono lo specchio della società attuale. Noi, invece, siamo convinti che la loro deriva ne rappresenti un’aberrante deviazione a cui occorre porre rimedio.

E pertanto non possiamo, nel concludere queste nostre brevi annotazioni, non auspicare che i social siano soggetti a controlli più seri ed efficienti, soprattutto per una maggiore tutela dei nostri giovani e, in particolare, degli adolescenti. Nell’attesa che ciò avvenga, vogliamo augurarci che i giovani stessi sappiano coglierne in tempo i pericoli e siano in grado di trovare, in piena autonomia ed affidandosi alla ragione e alla consapevolezza, vie e forme diverse per una loro migliore socializzazione.

(Giugno 2024)

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