Il “Parco Marcolini”
di Antonio La Gala
La vasta area vomerese attorno alle attuali vie Luigia Sanfelice, Toma e Palizzi, in passato veniva denominata Palazzolo, perché appartenente alla villa Ruffo-Palazzolo e denominata anche Parco Marcolini, perché fra fine Ottocento e inizio Novecento l’ingegnere romagnolo Gaetano Marcolini vi edificò molte sue costruzioni.
In quel periodo prevaleva l’idea di realizzare zone residenziali differenziate per fasce sociali, e nel caso di via Palizzi, l’orografia accidentata della zona suggeriva un’edificazione a tornanti che ben si adattava alla sua panoramicità, orientata verso la costruzione di begli edifici di piccole dimensioni, a pianta libera, ben inseriti nel declivio, destinata quindi a una committenza esigente, ad una fascia agiata, tutti fattori che combinati fra loro, e in piena belle époque, portavano alla realizzazione di un rione visto come un’estensione architettonica e anche socio-economica, dei coevi nascenti rione Amedeo e parco Margherita, ai quali peraltro il parco Marcolini, come previsto fin dall’inizio, sarebbe stato materialmente congiunto dalla funicolare di Chiaia.
Marcolini prevedeva di collegare il parco alla città, prolungando via Palizzi direttamente fino al corso Vittorio Emanuele e di convogliare l’utenza pedonale nella stazione intermedia della funicolare di Chiaia.
Previsione, grazie anche alla sua attiva presenza nella politica cittadina locale, risultò rispettata
Il parco fu sviluppato sull’unico percorso che l’attraversava, la sinuosa via Palizzi, sfruttandone le notevoli doti panoramiche.
La lottizzazione di Marcolini vide il sorgere di pregevoli villini liberty “firmati” dai maggiori architetti del settore (fra cui Stanislao Sorrentino, Adolfo Avena, Michele Platania), ma anche di edifici con numerosi piani, vagamente riecheggianti gli stessi modi stilistici, edifici anche allora edificati con disinvoltura rispetto all’equilibrio urbanistico, al paesaggio, tant’è che la parte di via Palizzi costruita in quella fase presenta un casuale alternarsi di edifici di diversa grandezza e impostazione, spesso dissonanti, insomma un’urbanizzazione “anarchica” che a nostro giudizio ben anticipa la iper-vituperata anarchia laurina.
(Luglio 2024)