QUANDO NACQUE MIO FRATELLO
Di Luigi Rezzuti
Da tempo volevo raccontare gli avvenimenti che si susseguirono il giorno in cui nacque mio fratello, lunedì 4 febbraio del 1944. Mia madre, già all’inizio della giornata, lamentava dolori all’addome e, in base alla sua esperienza già percepiva che, da lì alle prossime ore avrebbe portato a termine la sua quinta gravidanza. Difatti subito mandò a chiamare l’ostetrica allora volgarmente chiamata “’a levatrice” o, ancora peggio, “’a Vammana”. Quindi incominciarono i preparativi per il parto, rigorosamente in casa, come si usava all’epoca, e, soprattutto, senza conoscere il sesso del nascituro. Noi abitavamo al primo piano del palazzo e appena si seppe della situazione di mia madre incominciarono a venire amiche e conoscenti per offrire il proprio aiuto, come si era sempre fatto in situazioni analoghe e allo stesso modo si era prodigata anche mia madre. Si incominciò a far bollire dell’acqua, preparare dei panni che, all’occorrenza erano necessari e non bastavano mai, a fare un pò di caffè e quant’altro fosse servito. Tra i vari preparativi si fecero quasi le 11.00, venne l’ostetrica, iniziò il suo lavoro e ci tenne a dire che non mancava molto all’avvenimento che, però, si presentava abbastanza complicato. A queste parole tutte ammutolirono. Il silenzio, poi, si tramutò in una serie di domande da parte di tutte le donne presenti che l’ostetrica, in un primo momento, con dovute spiegazioni, rassicurò. Però, dopo aver fatto un ulteriore controllo, decise di far intervenire il chirurgo. Dopo una mezzora dall’arrivo del chirurgo e di lavoro congiunto con l’ostetrica, al di sopra delle grida di mia madre si sentì la voce del chirurgo dire: “Ci siamo! Ci siamo! È maschio! è maschio!” Allo stesso tempo mio fratello Carmine venne alla luce e ci fu un’acclamazione da parte di tutte le donne presenti che, in seguito, lo ribattezzarono con il vezzeggiativo di “Carmeniello”. Poi il chirurgo, che già conosceva mia madre, prima di andar via le disse: “Signora, adesso cerchiamo di finirla con queste gravidanze, visto che quest’ultima è stata abbastanza complicata”. Mia madre aveva 45 anni. Dopo aver ringraziato sia lui che l’ostetrica, disse: “Dottore, mi fermo”. Durante le precedenti gravidanze a chi le chiedeva: “Sei di nuovo incinta?” mia madre rispondeva: “Alla prossima mi fermo”. All’inizio di questo racconto ho parlato di avvenimenti. Dopo quello principale, che avete appena letto, passo al secondo che è improntato sulla figura di mio padre che quel giorno era di riposo settimanale, ma, per tutto il tempo del parto, non era uscito dal piccolo vano, adibito a cucina, per un ascesso ad un molare che gli procurava dei forti dolori. Per lenirli, faceva degli impacchi con la lattuga da cui, altre volte, aveva tratto giovamento e, tra il dolore e l’ansia, si disperava per non poter dare nemmeno un aiuto morale a mia madre, sapendo di essere anche di intralcio all’operato delle donne presenti. Terzo avvenimento, di per sè tragicomico: nel piccolo vano, adibito a cucina, oltre a mio padre, c’era anche mio fratello maggiore che aveva contratto l’infezione del morbillo, con tutte le conseguenze, sintomi e quant’altro può procurare la suddetta malattia. Mio fratello chiedeva continuatamente a mio padre il perché di tutte quelle urla di mia madre e, con parole appropriate, mio padre gli spiegava che stava per nascere un nuovo fratellino o, come si auspicava, una sorellina. Il quarto e ultimo avvenimento è quello che vissi in prima persona. Infatti, appena si capì dell’imminente parto di mia madre, mia sorella Marta mi condusse a fare una passeggiata per allontanarmi da casa per il tempo necessario all’ evento. Per comprensibili motivi, non potevo rimanere in casa. Mia sorella ed io ce ne scendemmo, sperando di ritornare a casa il più presto possibile perchè il mese di febbraio, che già porta la nomea di essere corto e amaro per il freddo, quell’anno rispecchiava alla lettera la sua fama. Da quel momento per me e per mia sorella iniziò un calvario vero e proprio, in quanto il tempo in cui rimanemmo fuori casa fu un periodo indefinito in virtù del difficile parto che stava avvenendo. Andammo avanti e indietro da casa fino a Piazza Carlo III. Non ricordo bene quante volte facemmo quel percorso. Ogni tanto tornavamo a casa e chiedevamo se potevamo salire, ma la risposta era sempre la stessa: “Non potete salire. Andate a fare un altro giro”.
(Ottobre 2024)