La desertificazione industriale
di Romano Rizzo
Uno dei più gravi pericoli del nostro tempo è costituito, a parere di molti studiosi, da un fenomeno quasi sconosciuto in passato o meglio poco diffuso quale è la desertificazione industriale che interessa precipuamente paesi anche abbastanza evoluti, come il nostro, e determinaSSSto in primo luogo dagli effetti collaterali della liberalizzazione e della tanto decantata globalizzazione.
In Campania e nei paesi del Sud, ma in particolare nel Napoletano, ne abbiamo già visto i nefasti effetti con la progressiva chiusura, delocalizzazione o varie vicissitudini di industrie come Ilva, Cirio, Resia, Manifatture Cotoniere meridionali e via via tante altre con conseguente aumento della disoccupazione, diminuzione dei posti di lavoro per i giovani che, se possono, cercano altrove quelle opportune sistemazioni che non riescono più a trovare nei nostri paesi. Questo fenomeno, anche se ancora poco avvertito e forse sottovalutato, è in realtà imposto dalle stesse leggi dell’ Economia che suggerisce o meglio impone ad un imprenditore di posizionare la propria impresa nei luoghi in cui può trarre i massimi profitti con i costi più contenuti e cioè laddove minori sono i costi di approvvigionamento delle materie prime, delle energie occorrenti per la produzione e più contenuto sia il costo della manodopera da impiegare. E’ facile immaginare che alcune di tali condizioni si ritrovino nei paesi più poveri, nelle nazioni emergenti che sono quelle che stanno beneficiando e continueranno a beneficiare di tale inarrestabile processo che, di contro, procura un progressivo ed inarrestabile depauperamento delle risorse in paesi più evoluti come il nostro.
Non vi è chi non veda che, col tempo, l’Italia rischia di subire una desertificazione industriale completa che ci renderebbe succubi di altri mercati per l’approvvigionamento di tutte quelle produzioni dismesse e traslocate in altri lidi. In termini più espliciti, la nostra situazione si avvicinerebbe sempre più a quella di quei paesi che noi ora definiamo del terzo mondo.
Occorrerebbero degli interventi mirati a contenere o ridurre l’esodo delle nostre imprese verso altri luoghi, offrendo alle imprese che restano nel nostro paese agevolazioni fiscali e/o bonus che riducano i costi della energia, delle materie prime e della manodopera in modo tale da rendere competitive le condizioni da noi offerte alle imprese rispetto a quelle di cui potrebbero godere altrove. Sarà oltremodo difficile operare in tale senso, ma, ad esempio, per quanto concerne l’approvvigionamento di materiali disponibili solo su particolari mercati, come il litio, accentrandone l’acquisto da parte dell’Unione europea per i quantitativi occorrenti alle varie nazioni sarebbe facile riuscire ad ottenere delle notevolissime economie di scala…
Credo che altre azioni possano essere tentate con premi, vantaggi per chi è disposto ad impegnarsi nella difesa della industria nazionale tutelandola con brevetti, marchi etc.
Sono costretto a rilevare, però, che, fino ad oggi, non si comprende, per una sottovalutazione del fenomeno o per altre ragioni, che sfuggono alla nostra comprensione, perché nulla sia stato effettuato dall’Italia per tentare di combatterlo, di ridurne i rischi o, quanto meno, di ritardarne gli effetti. Ci resta solo da sperare che in un domani vicino quanto mai ci sia qualcuno che faccia sentire la sua voce in maniera molto più autorevole della mia in modo tale da riuscire a vincere la attuale apatica indifferenza e colpevole inerzia.
(Gennaio 2025)
IL MELOGRANO: un portafortuna per l’anno nuovo
di Luigi Rezzuti
Alla mensa natalizia non può mancare. La tradizione vuole, però, che lo si regali a Natale perché sia consumato a Capodanno, come buon auspicio per il nuovo anno.
Il melograno è un frutto ricco di nutrienti ed offre numerosi benefici alla salute. Le sue proprietà antiossidanti, antinfiammatorie e il supporto alla funzione muscolare lo rendono un alimento molto utile. È una pianta orientale, originaria dell’Asia Minore e si è diffusa nel bacino del Mediterraneo, prima, e in altre zone del mondo, poi. Ormai è coltivata in diversi paesi del mondo, come Israele. Turchia e Spagna, nelle varietà tradizionali e in quelle di nuova introduzione. Per non tralasciare alcuna zona, diciamo che anche l’Australia è ormai terra di melagrane, qui si stanno vagliando, infatti, le diverse coltivazioni. L’interesse per il frutto della salute è tale che nel 2021 si è tenuto il simposio internazionale dell’ISHS, che ha visto anche il melograno come protagonista nel dibattito sulla scienza dell’Orticultura. In Italia questo frutto viene coltivato in Emilia Romagna, nel Lazio, in Puglia e in Sicilia. In Campania viene coltivato nel casertano, nell’avellinese e nel salernitano. l’Irpinia è una terra di sapori autentici, custode antica di vini pregiati, castagne, melograni e specialità gastronomiche ricche di gusto. Un luogo incantevole dove trascorrere una giornata tra i boschi a raccogliere castagne ed ammirare la sua anima più vera. L’anima di una terra dove, per secoli, la natura ha scandito i ritmi del tempo, lasciandoci in eredità un patrimonio agroalimentare immenso. E’ tempo di gustare questo “sapore d’Irpinia”.
Il melograno è un frutto legato anche alla storia di Paestum. Questa antica pianta, dalle molte proprietà benefiche, è cresciuta nella zona di Capaccio a partire dai Greci e dalla dea Hera, venerata a Poseidonia.
La produzione campana di melograno è destinata al “mercato del fresco”, quindi a bar e mercati ortofrutticoli. Il melograno è un frutto molto richiesto rispetto alla frutta estera. La raccolta dei frutti inizia a metà ottobre e prosegue fino a metà novembre. Essi hanno un sapore particolarmente dolce e possono essere consumati, anche sotto forma di succhi e in quanto a freschezza sembrano spremuti sul momento!
(Dicembre 2024)
Aspettando il Natale - Ad Ortisei, nella Val Gardena
di Luigi Rezzuti
Il conto alla rovescia per le feste più magiche dell’anno è ormai una piacevole realtà: a impreziosire le giornate di dicembre, oltre alle luminarie, alle musiche tradizionali e a una vibrante atmosfera, che si percepisce nell’aria, arrivano, come sempre, i mercatini natalizi, un appuntamento fisso per scoprire l’oggettistica più svariata e sapori inconfondibili.
Tra i più rappresentativi, spicca, senza dubbio, il Mercatino di Ortisei, autentico “Paese del Natale” nella favolosa cornice montana della Val Gardena, che profuma di artigianato artistico e di tradizioni. Capoluogo della Val Gardena, con l’approssimarsi del Natale, Ortisei si trasforma e sprigiona una bellezza incantata, che riscalda i cuori di tutte le età: l’area pedonale del centro, vestita di luci e di colori, tra maestosi alberi natalizi, decorazioni in legno e luminarie, diventa il palcoscenico dell’imprendibile Mercati di Natale, contraddistinti dalle inconfondibili baite. E’ questo il luogo perfetto per vivere la vera e magica atmosfera natalizia, nell’abbraccio delle cime innevate, respirando la frizzante aria di montagna mentre si passeggia senza fretta tra una casetta in legno e un’altra, con in mano una fumante tazza di cioccolato e una golosa fetta di strudel. Non mancano specialità locali, sculture in legno realizzate a mano, addobbi, souvenir, inedite idee regalo, vini altoatesini, liquori pregiati e tanto altro ancora.
Dal 30 novembre al 5 gennaio 2025, Ortisei veste i panni del “Paese di Natale” con l’apertura del tipico Mercatino in pieno centro pedonale, a circa 36 Km. da Bolzano, da dove partono autobus pubblici, diretti alla Val Gardena. Oltre a godere dello spettacolo dei mercatini, non può mancare una visita al grande e suggestivo Presepe naturale vicino alla chiesa parrocchiale. L’allestimento del presepe è, da sempre, un rito molto sentito. Ancora lungo le pittoresche vie del centro, incantano i molti caratteristici Presepi in legno, esposti nelle tipiche casette-vetrina. Ad accompagnare il tutto, le coinvolgenti manifestazioni in cui si esibiscono gruppi e musicisti locali con musiche, spettacoli unici che consentono di assaporare appieno momenti davvero preziosi. Passeggiando tra le sue vie, da non perdere la visita alle botteghe artigianali e scattare fotografie ricordo.
(Dicembre 2024)
I simboli del Natale: Albero e Presepe
di Luigi Rezzuti
Le feste natalizie si avvicinano e, con esse, la necessità di scegliere un albero di Natale o un presepe.
L’albero di Natale viene solitamente preparato l’8 dicembre, in occasione della festa dell’Immacolata Concezione. Tra le tradizioni natalizie l’albero di Natale viene addobbato con palline colorate, luci e festoni. Ci sono diverse storie sul “primo albero di Natale”, fra le città che si dichiarano sedi del primo albero di Natale, c’è anche Riga in Lettonia, dove si trova anche una targa, del 1510, scritta in otto lingue, per commemorare l’evento. Ma l’albero di Natale, così come lo conosciamo noi, fu introdotto in Germania nel 1611 dalla Duchessa DI Brieg: un angolo di una delle sale del suo castello (già adornato per il Natale) era rimasto completamente vuoto, allora ordinò che un abete venisse trapiantato in un vaso e portato in quella sala. Gli alberi più usati e più adatti ad essere scelti come alberi di Natale sono sicuramente quelli artificiali, ma un albero di natale vero è certamente più bello con il suo odore caratteristico della resina dei rami. Il rovescio della medaglia è dato, però, dal fatto che bisogna prendersi la responsabilità di cosa farne, una volta trascorse le feste natalizie. Tutto questo al Nord. Durante le feste natalizie alcuni oggetti di decorazioni per la casa possono essere addobbi fatti a mano, palline in cellulosa bianca da decorare e dipingere divertendosi a creare, con un po' di fantasia, simpatici e originali oggetti o festoni luminosi da agganciare ai lampadari. Al Sud la scelta per le festività di Natale cade di più sul presepe degli artisti presepiali napoletani ma anche su quello creato da persone che, con spiccata fantasia, sono in grado di costruirlo da sole. Qui gli addobbi sono gli stessi che si usano al nord, come festoni luminosi e decorazioni, mentre per il presepe gli addobbi sono le statuette di terracotta che animano la scena. E fu così che fecero la loro comparsa personaggi come: la lavandaia, l’oste, gli zampognari, il pastore con le pecore e quant’altro, fino alle moderne statuine che raffigurano personaggi dei giorni nostri.
Il presepe, oggi, non è soltanto un simbolo religioso, ma è una vera e propria eredità culturale partenopea. La realizzazione del presepe a Napoli riunisce intere famiglie che, nel periodo che precede le festività, si recano nelle storiche vie dei pastori di Natale, soprattutto a San Gregorio Armeno, per vedere le ultime novità del settore. Qui vengono anche turisti da tutto il mondo per ammirare il lavoro dei nostri artigiani ed acquistare le statuette, realizzate a mano. Il primo presepe in Italia fu realizzato da San Francesco, nel lontano 24 dicembre del 1223, in un paesello di Rieti. A quei tempi. conteneva soltanto la natività, tutti gli altri personaggi vennero introdotti successivamente.
(Dicembre 2024)
La castagna. Antichi sapori sempre attuali
di Luigi Rezzuti
Dentro un riccio spinoso la castagna racchiude una parte importante della nostra storia, con la sua forza simbolica rappresenta la generosità della natura che, agli inizi della stagione fredda, offre spontaneamente all’uomo un frutto dai tanti usi e dalle grandi proprietà alimentari. Il castagno è un albero secolare che ha offerto alle popolazioni un sostegno irrinunciabile, non solo sotto forma di legna da ardere, ma soprattutto perché i suoi frutti hanno costituito la base dell’alimentazione in tempi di guerra e, ancora oggi, occupa un posto importante fra i sapori. La castagna tipica delle zone appenniniche si presenta in numerose varietà: dalla castagna selvatica alla Loiola (utilizzata per le caldarroste, ma anche bollita), alla Pastanesa (usata per la preparazione della farina) fino alla Sborgà. A queste varietà corrispondono diversi tipi di cottura e di lavorazione: le castagne possono essere bollite, arrostite ma soprattutto essiccate per ottenere la farina con cui si cucinavano polenta, frittelle, torte (castagnaccio). Le castagne crescono spontanee senza bisogno di concimi chimici o antiparassitari. La lavorazione, in molti casi, avviene ancora secondo il metodo tradizionale. A ottobre inizia la raccolta. In passato, terminato il periodo della raccolta, le castagne destinate alla produzione della farina vengono portate agli essiccatori. Dopo circa venti giorni di essiccazione, si procedeva a pulirle dal loro rivestimento. Venivano in seguito macinate in un mulino che le trasformava in farina. In Campania numerosi sono i castagneti, le castagne coltivate qui sono delle vere e proprie eccellenze, tra le migliori in Italia. le più famose della Campania le troviamo nel Parco Urbano dei Camaldoli, un castagneto che si estende sulla collina della città di Napoli. Anche ad Ischia si possono raccogliere le castagne per mille ricette sia dolci che salate. Nel Parco Nazionale del Vesuvio cresce, invece, la castagna del Monte Somma. Spostandosi verso la provincia, non molto lontano da Napoli, nei comuni di Lettere, Pimonte e Castellammare, tutti e tre sul Monte Faito, crescono rigogliosi castagneti. Qui si coltiva la pregiata Castagna del Monte Faito, detta anche marroncino. Questi frutti si raccolgono verso ottobre e ogni riccio ha da due a tre castagne. Nei numerosi boschi, che sorgono nella provincia di Avellino, viene coltivata la Castagna di Montella, ma cresce anche in altri comuni del Parco Regionale dei Monti Picentini, come quelli di Nusco, Montemarano, Bagnoli Irpino, Cassano Irpino e Volturara Irpina. Le castagne di Montella posseggono particolari proprietà organolettiche che ne fanno apprezzare i frutti sia freschi che secchi, surgelati o cotti. Durante il periodo natalizio, la castagna di Montella si trasforma in una particolarità culinaria: la castagna del prete. Altra eccellenza avellinese è la castagna o Marrone di Serino. La sua zona di produzione comprende i comuni interni della provincia di Avellino e Salerno, andando da Serino, Montoro e Solofra fino a Giffoni, Calvanico e Castiglione nel salernitano. Storicamente, fu grazie ai monaci benedettini che i castagneti dei Monti Picentini vennero curati e riqualificati fino ad arrivare alla produzione di un frutto di alta qualità. Qualità che hanno reso il Marrone di Serino una delle eccellenze italiane al pari della vicina Castagna di Montella. Viene esportata a livello internazionale ed è molto richiesta nella filiera industriale, impiegata per la preparazione di prodotti famosi in tutto il mondo: i marron glacés. Nei borghi intorno a Benevento si producono le castagne selvatiche, in particolare crescono in gran quantità nei boschi che appartengono al Parco Regionale del Matese. I piccoli borghi di Ospedaletto, Summonte ma anche Arpaise, Cusano Mutri, Pietraroja, Montesarchio, Vitulano e Civitella Licinio, organizzano spesso eventi e sagre dove la protagonista è proprio la castagna. Le più famose sono senza dubbio la sagra della castagna di Arpaise, quella di Vitulano o anche la sagra di Cusano Mutri. Nella provincia di Caserta, precisamente tra i comuni di Liberi, Pontelatone, Formicola, Roccaromana e Roccamonfina, cresce la particolare varietà di castagna “ufarella” o “vofarella” detta anche castagna di Roccamonfina.
(Novembre 2024)
L’autonomia differenziata
di Romano Rizzo
La proposta di legge sulla Autonomia Differenziata, presentata dal leghista Calderoli, criticata da illustri costituzionalisti ed esperti, è passata al Senato quasi in sordina. Dopo, alla Camera, le opposizioni non hanno saputo, forse, trovare la strada giusta per opporsi ad essa adeguatamente. Qualcuno, anzi, con piglio critico, ha scritto che non si è saputo trovare nulla di meglio di una assurda pagliacciata, ripresa dalla TV e poi sfociata in una indegna rissa.
Nessuno si è premurato di far comprendere all’ignaro cittadino il peso che questa legge potrà avere in futuro: in sostanza, non farà altro che aumentare la distanza, già notevole, che separa le regioni del Nord da quelle del Sud. Essa prevede che quasi tutte le funzioni, che erano gestite, bene o male, dallo Stato, diventino di competenza
delle regioni che dovranno provvedervi, e qui è l’inganno, con le risorse prodotte nel territorio. Si sa già che le industrie sono ubicate quasi tutte al Nord, ma pochi sanno che, comunque, le Sedi Centrali, anche di quelle che sono operative altrove, sono al Nord e, di conseguenza, è al Nord che affluiranno i ricavi derivanti da imposte e tasse. Prima, attraverso la cassa unica dello Stato, le migliori contribuivano con parte dei loro ricavi ai bisogni di quelle del sud. Ora non più. Mi obiettano che sono previste delle quote di compensazione che non si sa come e da chi verranno determinate. Mi si obietta ancora che, su specifica richiesta di alcuni parlamentari, dovranno essere predeterminate delle quote minime necessarie da cui non si potrebbe derogare. Tutto ciò mi fa comprendere che l’effettiva attuazione della nuova normativa è, fortunatamente, assai lontana nel tempo, ma non mi riesce di accettare che si ritenga valido il principio che una Regione virtuosa, che riesca cioè ad introitare più di quanto le occorra e che voglia destinare il surplus al miglioramento dei servizi per i propri assistiti, possa giungere ad operare per eliminare il divario esistente con altre regioni, meno fortunate. Mi ero illuso che tutti i parlamentari del Sud avessero presentato le loro logiche obiezioni almeno per rispetto dei propri elettori, indipendentemente dalle direttive dei partiti di appartenenza. Ma non è stato così e questa che si può definire come una truffa, perpetrata ai danni del martoriato Sud, temo che finirà nel peggiore dei modi. Mi risulta che c’è chi sta tentando la strada del referendum, dimenticando che tale strumento non può essere usato per i provvedimenti che hanno effetti economici.
Confesso che spero che si trovi una scappatoia che ci consenta di porre fine all’incertezza e che ci sia un modo per far sì che venga abrogato questo malevolo disegno. Poiché sono e resto un inguaribile sognatore, continuo a sperare che qualcuno mi faccia capire, con valide argomentazioni, che sbaglio e non mi accorgo di sbagliare!
(Luglio 2024)
Dalla demolizione alla ricostruzione
Cantieri aperti di buone prassi
di Gilda Rezzuti
Troppo spesso, di fronte ad alcune gravi situazioni e relative inquietanti manifestazioni, abbiamo un atteggiamento rassegnato, assuefatto. Ci siamo abituati a tutto e le notizie, ormai, non fanno più notizia. Siamo diventati molto bravi nel disegnare una mappa approssimativa dei fatti, parliamo molto, esponiamo fenomeni, avvenimenti, presumiamo verità. Anche sui social ognuno dice la sua. Opinionisti, critici, intellettuali, esperti e quant’altro, tracciano quotidianamente una fotografia molto dettagliata di quella che è la nostra società, con le sue fragilità. Denunciano disservizi, lamentano malessere, esprimono concetti, riescono facilmente a descrivere la realtà oggettiva e soggettiva, cercando di comunicare quel che avviene intorno a noi con attenzione e accuratezza. Sappiamo bene che, con tutti i mezzi di informazione e i canali comunicativi di cui oggi disponiamo, quel che succede nel mondo, a qualsiasi livello, è sotto gli occhi di tutti. Siamo subissati da notizie di ogni genere, a volte anche contraddittorie o false. Le fonti di informazione, più o meno attendibili, sono infinite. Ciascuno, quindi, dispone degli elementi necessari per fare le proprie ricerche e raggiungere le sue personali idee e convinzioni. Il problema, però, consiste nel non essere altrettanto capaci di intervenire, in maniera significativa, sulle criticità, agire con impegno per trovare valide alternative e risposte esaustive alle tante problematiche. Siamo, ormai, assopiti, confusi, anestetizzati. Siamo diventati spettatori passivi che osservano, inermi, lo scorrere dei fotogrammi della loro storia. Ci hanno abituato, ambiguamente, a farci rimanere indifferenti a tutto. Certo è pur vero che, spesso, siamo eccellenti nel giudicare, elencare lacune, criticare, demolire, ma molto meno bravi nel lottare e contribuire, con impegno, a contrastare quello che non va. Non siamo più in grado di proporre ipotesi e alternative valide, anche solo sperimentali. Chiusi nel nostro individualismo e nelle nostre trappole virtuali, siamo animali di abitudine, in gabbia, polemici, sterili, con la mente annebbiata, ciascuno privo di credo e di volontà. Forse, però, è arrivato il momento di capire, soprattutto in questo periodo di caos e sbando totale, che può avere un senso demolire solo se si è in grado di costruire.
(Luglio 2024)
L’ultima chance
di Gilda Rezzuti
Era circa l’inizio dei primi anni 2000 quando sulla scena politica nazionale e Regionale, dopo un apparente rimescolare di carte e cambio di nomi, si iniziò a parlare di svolta sostanziale, di rinnovamento anche nel panorama politico della città di Potenza e della regione Basilicata. I politici del tempo di destra, sinistra centro e quant’altro, dopo gli scandali ereditati dalla prima repubblica, facevano a gara per guadagnare fiducia e credibilità da parte dei cittadini. Iniziarono nuovi fermenti, speranze, proposte, nacquero movimenti, gruppi, partiti, tutti in primissima linea e super motivati. Forse era arrivato davvero il tempo della consapevolezza e del cambiamento. A livello locale si iniziò a lavorare a vari programmi, come, ad esempio, un piano strategico per la valorizzazione di Potenza capoluogo di regione, la città delle reti, l’infrastrutturazione territoriale, la modernizzazione dell’economia, il rafforzamento della coesione sociale, la promozione del turismo regionale, la crescita equilibrata e sostenibile, l’individuazione degli obiettivi prioritari di sviluppo, per interventi mirati. In poche parole, con lo slogan “La Basilicata che vuole farcela”, allora era stata messa in campo tutta una serie di dinamiche per permettere di far uscire dalla depressione questa parte del sud Italia dimenticato e sfruttato. In più di vent’anni ne è passata di acqua sotto i ponti e fiumi di parole. A parte i proclami, nella sostanza non è accaduto nulla di significativo, niente di ciò che era stato previsto, anzi, se in questi anni c’è stato un cambiamento, esso è rappresentato da una costante involuzione e un accentuato oscurantismo. La città integrata, lo sviluppo territoriale, l’innovazione, gli assi prioritari, gli obiettivi strategici, l’occupazione, la qualità della vita, dei servizi e il rispetto dei diritti, sono rimasti inafferrabili miraggi. Praticamente il documento strategico di inizio millennio è stato un bel progetto ad effetto e un gran fallimento. Ora siamo in attesa di accogliere un’ennesima sfida e giocarci un’altra partita con i recovery fund, annessi e connessi. Sembra una storia infinita. Ancora una volta si spera di correggere il tiro e creare ricchezza. Voi, non so, ma io ho qualche dubbio, soprattutto considerando che non si riesce ancora bene a capire cosa ne è stato di tutti i precedenti finanziamenti europei e dei piani operativi regionali degli anni passati.
Comunque, malgrado le tante delusioni, è prepotente il bisogno, soprattutto in questo triste periodo, di sperare e crederci ancora, ma, per non continuare ad illudersi e poter ottenere davvero un reale, visibile, progressivo cambiamento, sarà il caso di cambiare metodo e mettersi seriamente in discussione.
(Maggio 2024)
“La mappa non è il territorio”
di Gilda Rezzuti
L’essere umano, per sua natura, non può vivere in solitudine, ma deve, lungo il corso della sua esistenza, costantemente interagire con gli altri. Purtroppo, può capitare in questo percorso e in più circostanze di non riuscire sempre a comprendere gli altri, né tanto meno essere in grado di farci capire. Pertanto, l’incapacità di comunicare in modo funzionale nelle relazioni interpersonali, innesca una serie di meccanismi di autodifesa e attacco, che finiscono col catapultare i soggetti coinvolti in una spirale degenerativa, fatta di malessere, rancori, delusioni, ferite, conflitti. Tutto questo malessere viene poi alimentato dal disagio, percepito e vissuto, nel non riuscire ad ottenere risposte convincenti ai tanti interrogativi. Si innesca così un circolo vizioso, che allontana dalla ricerca di soluzioni soddisfacenti e accentua il senso di inadeguatezza, generando tensioni, difficili poi da gestire. Per contrastare condizioni di conflitto, che rischiano di cronicizzarsi, è fondamentale imparare a rispettare il punto di vista degli altri e provare a comprendere la realtà soggettiva di ciascuno, cercando contestualmente di fare accettare al nostro interlocutore la nostra diversa visione delle cose. Chi si occupa di programmazione neurolinguistica, conosce molto bene la frase di Alfred Korzybski “La mappa non è il territorio”, il cui significato è appunto quello di considerare che il soggettivo modo di vedere il mondo non è il mondo. Questo per dire che non sempre quello che appare è, e non sempre quello che è, è così come appare. A parte il gioco di parole, questo significa semplicemente, che esiste un territorio reale e uno personale, interpretato in base a valori, aspettative, convinzioni, apprendimento, educazione, che creano le individuali percezioni ed interpretazioni della realtà. Si può, quindi, affermare che come la mappa è la raffigurazione verosimile di un territorio, così anche la realtà di ogni individuo è verosimile. Per cui ciascuno ha una sua “mappa” concettuale diversa, ma queste diversità, se accettate in modo pacifico, piuttosto che rappresentare condizioni di disagio e generare incomprensioni e conflitti, potrebbero essere, invece, elementi di ricchezza e di apertura mentale, in grado di unire, permettendo il rispetto dei personali punti di vista ed insegnando a guardare insieme in una più giusta, condivisa direzione.
(Aprile 2024)
Napoli città gruviera
di Luigi Rezzuti
(Marzo 2024)
Il Vomero, il salotto di Napoli
di Luigi Rezzuti
Il Vomero, a fine 800, nel corso del risanamento, fu trasformato in una zona residenziale, pronta ad accogliere il ceto borghese. Quello che era un quartiere rurale, con le sue campagne, popolate da contadini, divenne agli inizi del 900 un riferimento di eleganza e di interesse culturale. Il Vomero e, in particolare Via Scarlatti, si presentavano come un’elegante zona residenziale, con bellissimi palazzi, ville, vie alberate, per il passeggio, e caffè. Nel tempo, poi, il quartiere collinare partenopeo si è trasformato anche in una delle aree commerciali più importanti della città. Infatti, negli ultimi cinquant’anni, è diventato meta degli appassionati dello shopping e di tutti gli amanti della moda e delle boutique ricercate. Via Scarlatti, insieme a Via Luca Giordano, è senza dubbio una delle principali arterie del Vomero ed è, oggi più che mai, la regina incontrastata dello shopping vomerese. Ha ospitato atelier di prestigio, fin dagli anni 70, ma ha conosciuto un maggiore incremento da quando, durante l’amministrazione Bassolino, è diventata area pedonale. A rendere questa via ancora più frequentata, non solo dai Vomeresi, è stata anche l’inaugurazione, negli anni Novanta, della Linea 1 della metropolitana, con una delle sue stazioni nella vicinissima Piazza Vanvitelli. Via Scarlatti si estende dalla Funicolare di Montesanto, stazione di Via Morghen, per intenderci, fino al Ponte di Via Cilea. Nel suo percorso rettilineo, a prescindere dalla svolta verso Via Cilea, incrocia la bellissima Piazza Vanvitelli, da un lato, e Via Luca Giordano, dall’altro. Un lungo, piacevole passeggio, dove poter trovare negozi come i grandi store, quali Zara, Piombo, Ovs, Coin, Piazza Italia, Cisalfa, Tezenis, Intimissimi, Kiko e Sephora. E non vanno dimenticate le antiche boutique nè i piccoli negozi artigianali, che hanno resistito alle crisi, preservando il fascino di quei luoghi. Insomma si ha l’imbarazzo della scelta e non solo sul fronte moda.
Via Scarlatti, infatti, va vissuta a pieno e sono meta obbligatoria per gli acquisti anche tutte le piccole stradine limitrofe, dove ci sono negozi che soddisfano i gusti più ricercati. Per una sosta intellettuale c’è, in Via Luca Giordano, una mega-libreria Mondadori, disposta su due piani. In Via Merliani c’è lo storico Varzi, un negozio minuscolo, dove è possibile trovare qualunque articolo di cartoleria, soprattutto i più stravaganti ed originali.
Vi si incontrano anche piccole gioiellerie, che hanno accompagnato diverse generazioni nei momenti più felici della vita, proprio alla fine di Via Scarlatti, il negozio Lunaria. E, ancora, lo storico Martone, riferimento per l’abbigliamento per bambini che, insieme a Florida, in Via Merliani, è un pezzo di storia del Vomero. Chi passeggia per Via Scarlatti trova, tra l’altro, negozi di giocattoli, ii nuovissimo LEGO e Vespoli Giocattoli che, più che un negozio, potrebbe essere definito un toys megastore. un locale molto grande, dove è possibile trovare un assortimento pressoché unico per tantissime fasce di età.
Se credete, però, che Via Scarlatti sia affascinante solo quando si affolla, nel pomeriggio, di tante persone che si dedicano a shopping e ad aperitivi, provate ad andare a passeggio al mattino, mentre la città si sveglia lentamente e si prepara a correre e a diventare caotica. Ebbene, questa strada può regalarvi un momento di pace e di relax nel cuore della città. Alberi, silenzio, negozi chiusi, ma vetrine sfavillanti, da cui gli occhi sono attratti per sbirciare e curiosare, piccoli ritrovi, con tavolini all’aperto, dinanzi ai quali trattenervi per gustare un fragrante caffè napoletano e un cornetto appena sfornato. Via Scarlatti è anche questo, il ritrovo dei Vomeresi o di chi è di passaggio ma vuole cominciare la giornata nel migliore dei modi. Ci si sente, avvolti da eleganza e silenzio e si avverte il desiderio di ritornarvi. Il forte richiamo di persone di qualunque età in questa strada non poteva non generare un fiorire di bar, caffetterie, gelaterie, ristoranti, pub e street food.
Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito, infatti, ad un vero e proprio boom di piccoli e grandi locali, pronti ad un’offerta variegata, per tutte le esigenze, e adatta anche ai gusti più particolari. Chi si trattiene solo per un aperitivo o vuole sedere un po’ con i bambini per mangiare un panino, chi non vuole rinunciare alla pizza, chi prende un toast, prima di andare al cinema o al teatro, chi desidera cibi esotici trova tutto questo al Vomero.
Le strade del Vomero sono tutte dedicate e intitolate a grandi musicisti, artisti e compositori, che hanno arricchito la storia italiana. Lo stesso vale per la via oggi famosa per lo shopping ma che, a suo tempo, fu legata al nome del più grande compositore della musica barocca, il palermitano Alessandro Scarlatti. Vissuto a cavallo tra il ‘600 e il ‘700, Scarlatti fu considerato dai musicologi come uno dei più importanti rappresentanti della scuola musicale napoletana. Compose quasi 700 cantate, di cui circa 600 per voce solista, nella maggior parte per soprano. Fu il maggiore compositore d’opera italiano tra la fine del XVII e l’inizia del XVIII secolo. È stato il compositore di musica barocca per eccellenza, particolarmente famoso per le sue opere. In campo operistico è considerato uno dei fondatori della grande scuola musicale napoletana. Ci piace immaginare che, nell’atmosfera magica, che si respira a Via Scarlatti, sarebbe suggestivo poter ascoltare le cantate del compositore, mentre si passeggia.
Poteva mai mancare, nel salotto di Napoli, un giornale, che sprizzasse da tutti i pori il sano orgoglio del bel quartiere residenziale? Di certo no, non sarebbe stato possibile ed è così che, dall’idea della giornalista Marisa Pumpo Pica e di chi scrive (Luigi Rezzuti ndr) nacque, con autorizzazione del Tribunale di Napoli, n 65 del 12/10/2005, il periodico “IL VOMERESE”, che trovò subito un largo consenso tra i Vomeresi. E non solo, in quanto, nelle intenzioni dei fondatori, il giornale doveva, come accadde, “aprirsi al quartiere, senza per questo escludere uno sguardo più ampio verso ciò che avviene intorno, nella città, nella regione, nel Paese, nel mondo. Doveva essere, con tutta l’umiltà di una piccola testata, una realtà, grazie alla quale ci si apre al mondo.“ (Cfr. IL VOMERESE, articoli del direttore responsabile, nel suo primo numero su stampa e nel primo numero on line.)
Accanto a nomi “storici“ della cultura partenopea, e vomerese in particolare, come Sergio De Luca, Bruno De Vito, Alberto Del Grosso, Lorenzo Donadio, Peppe Iannicelli, Luciano Galassi, Antonio La Gala, Michele Nardelli, Donato Pica, Romano Rizzo, Luciano Scateni, Anna Maria Schiano, Sergio Scisciot, Renato Sinno, Sergio Zazzera, hanno fatto sentire la loro voce, tanti altri collaboratori, di non minore spessore. Tra questi, Luciana Alboreto, Francesca Bruciano, Fabio Casamassima, Valerio Esca, Umberto Farese, Gianfranco Lucariello, Gabriella Pagnotta, Loredana Pica, Ilaria Rezzuti, Anna Maria Riccio, Maria Carla Rubinacci. Con loro, anche tanti altri giovanissimi giornalisti, di cui non abbiamo dimenticato il valore e che non citiamo, solo per comprensibili motivi di spazio. Per questi giovani talentuosi IL VOMERESE ha rappresentato “una palestra di giornalismo e di vita”, stando a quanto uno di essi ci scrisse in una lettera, molto bella, che riscaldò il nostro cuore, come un dono indimenticabile. Molti di loro, oggi, scrivono sulle maggiori testate cittadine e nazionali.
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Si fa presente che gli esercizi commerciali sono qui indicati unicamente allo scopo di rendere evidente l’evoluzione del Vomero anche sotto il profilo commerciale.
(Gennaio 2024)