Tema d’Estate
di Mariacarla Rubinacci
21 giugno, solstizio d’estate, ma quest’anno la stagione si è anticipata di molto. Aveva fretta di vedere crogiolare al sole i nostri corpi cerei e macilenti per contagi e chiusure domiciliari.
Estate, rigoglio frenetico in cerca di libertà. Parola magica di questi tempi.
Libertà da orpelli deprimenti, pesanti da scrollare di dosso, cose che intralciano il desiderio di fare finalmente quello che si vuole.
E fra questi orpelli, come ogni anno del resto, ci sono i nostri… (è un eufemismo!!!!) amici a animali. Cani, gatti, criceti, pappagallini, altri… E’ un eufemismo dire “nostri”. Per molti Humani (è così che ci chiamano gli amici animali), il Fuffi regalato a Natale al figlio anche lui zampettante, oggi è un Fuffone di 4 Kg., Micetta mia, raccolta per strada in una notte fredda e buia, oggi è una miciona che lascia peli in angolo della casa. Altri esempi? Quanti ce ne sarebbero, trovateli voi che state leggendo. A proposito, chi sa smanettare con il Web, avrà certo visto il susseguirsi di SOS anti abbandono. Giusto! In estate si abbandona!
“che se la cavino da soli…” è il mantra dell’estate, è il leitmotiv dell’estete, dopo tutto sono animali. “io devo andare in vacanza e tu sei un peso”. E allora, invece di riporre “l’orpello” in un cassetto come fosse un oggetto qualsiasi dato che propriamente un oggetto non è ahimè, lo si “getta”, magari anche nel cassonetto della spazzatura sotto casa, “vai, caro, vai a fare l’animale”. La cronaca registra scene di ritrovamenti orrendi in scatole di scarpe, di cani legati ai bordi delle autostrade, di pappagallini che a stento sanno volare per non aver conosciuto altro ambiente che una gabbia, (ne ho trovato uno sul mio balcone, spaventato, è stata un’odissea riuscire a prenderlo e tranquillizzarlo).
Vabbè raga… (come dicono i giovani oggi), scusate lo sfogo. E’ un pour parler tanto per fare due chiacchiere. Buone Vacanze amici (voi che leggete), so che siete bravi voi, so che siete persone che queste cose non le fanno. Comunque è bene sempre parlarne, chissà che serva a far riflettere quell’uno che in questo momento ha intenzione di…….
BUONE VACANZE.
(Luglio 2022)
E’ TORNATA LA NORMALITA’
di Mariacarla Rubinacci
Ben tornata Normalità. Sono due anni che non ci vediamo. Cosa hai fatto? Dove sei stata?
Ah, io? Ho ben poco da raccontare. Casa…Chiesa… (come si dice), dove la chiesa erano i supermercati e la farmacia, tutti coperti da una mascherina FFp2 per non capire se nascondevamo un ghigno o un sorriso. In casa, avanti e indietro tra il tinello, la televisione, il divano, il letto. Un viavai di…assenze, soli sul balcone a fare un ciao striminzito alla famiglia affacciata sul balcone di fronte, soli senza poter abbracciare i nostri figli e nipoti. Soli aggrappati con frenesia allo smartphone che ci metteva in una comunicazione silenziosa, fatta di faccine ora ridanciane, ora rosse di rabbia, fatta di parole scritte. Chiusi in casa comunicavamo in modo virtuale, facevamo ginnastica in una palestra virtuale, cucinavamo scambiandoci ricette sempre virtuali. Ora possiamo stare vicini, vicini, fare una passeggiata tra la gente, andare a pranzo in un ristorante, andare al teatro, al cinema, allo stadio, finalmente ci assembliamo sugli autobus, in metropolitana e pensiamo; “E’ tornata la Normalità”.
(Giugno 2022)
STORIA DEL COSTUME DA BAGNO
di Luigi Rezzuti
L’estate si avvicina a passi da gigante, è tempo di fare il primo tuffo in mare, e tempo di metterci in costume! Ma vi siete mai chiesti quale è la storia di questo indispensabile capo? In realtà il costume da bagno affonda le sue radici nell’antica Roma. Durante il Medioevo e Rinascimento non c’era l’abitudine di andare al mare, venivano piuttosto preferite le terme, dove ci si immergeva generalmente senza vestiti, salvo qualche mise da bagno. Soltanto nel 1750 a Parigi si diffonde la moda dei bagni, sia al mare che al lago. Viene creato per l’occasione un abito con corpetto e calzoni. Con l’arrivo del XIX secolo le donne iniziano ad immergersi in mare con costumi chiusi al collo e con tanto di parasole per proteggersi dai raggi ed evitare la tintarella- col finire del secolo gli abiti si accorciano leggermente e i completi generalmente sono arricchiti con decori marinari e fanno la loro comparsa le prime magliette a righe bianche e blu. Le scarpe diventano traforate munite di lunghe stringhe da allacciare intorno alla caviglia, mentre in testa spopolano i foulards. All’inizio del ‘900 si diffonde la consuetudine del soggiorno al mare, Rimini, Viareggio e il Lido di Venezia diventano famose località balneari, pertanto dotarsi di un look adatto diventa fondamentale, appaiono i primi costumi interi. Nella prima decade del ‘900, gli itinerari termali vengono preferiti al mare. E’ l’epoca di Salsomaggiore, Fiuggi e Montecatini. Si iniziano ad usare capi in lino bianco arricchiti da ricami e merletti il tutto accompagnato da cappelli riccamente decorati e dall’immancabile parasole bianco. In perfetto stile Belle Epoque. Per il nuoto fanno la loro comparsa le prime cuffie da bagno sportive, simili a quelle attuali. Ne corso degli anni Venti molti dei vincoli legati alla moda si sciolgono. I costumi degli anni Venti sono costruiti da corte gonnelline con la cintura sui fianchi, oppure atletici costumi da nuoto, sfiancati e aderenti, senza maniche, sempre abbinati a calzoncini che arrivano a metà coscia. Le donne proteggono il capo con cappellini o cuffie da bagno. Negli anni ’30 si prediligono costumi in tinte chiare, spesso coordinati da giacca e borsa da spiaggia con decori marinari. Nel frattempo le idee naturistiche sui benefici del sole e dei suoi raggi, fanno ridurre ulteriormente la stoffa con cui vengono confezionati i costumi da bagno. Le scollature sulla schiena si ampliano, e dal 1932 i pantaloncini si staccano del tutto dal corpetto, i costumi diventano a due pezzi, aderendo perfettamente al corpo. Per coprirsi si iniziano ad utilizzare i primi parei insieme a vestagliette a stampa floreale.
La grande rivoluzione arriva nel 1946 quando viene lanciato il “bikini”. La ridotta mutandina che lascia scoperto l’ombelico, provoca un autentico choc, tanto che il suo utilizzo veniva punito dalle forze dell’ordine per oltraggio al pudore. Si continuano anche ad utilizzare costumi interi. Negli anni ’60 si utilizzano costumi da bagno interi o due pezzi con coppe rigide e fantasie decise e vistose. In questi anni fa la sua comparsa anche il monokini, un bikini con una sottile striscia e tutto il resto in vista. Sulla scia della rivoluzione dei costumi, questi si restringono ancora. Il pezzo di sopra diventa un mini triangolo dai colori vibranti. Gli anni a venire danno spazio al topless e all’intramontabile bikini sempre più succinto e al costume intero.
(Giugno 2022)
LICENZA DI CONTAGIO
Un mito (una volta tanto) non soltanto napoletano
di Sergio Zazzera
Il d.l. 1/2022, in vigore dall’8 gennaio scorso, ha introdotto l’obbligo vaccinale per gli ultracinquantenni e per chi compirà i 50 anni il 15 giugno prossimo. La sottrazione all’obbligo è punita con la sanzione amministrativa di 100 euro, una tantum, a decorrere dal 1° febbraio.
Ebbene, durante i miei studi universitari ho avuto un Maestro, il grande Antonio Guarino, col quale cominciai a collaborare già dal secondo anno di corso, continuando fin verso il 1989-90. Ora qualcuno si starà domandando che cosa c’entra il mio Maestro con la sanzione per la violazione dell’obbligo vaccinale; e, allora, mi spiego.
Quando parlava dell’iniuria, illecito civilistico del diritto romano, Guarino narrava un gustoso, ma anche significativo, episodio. Nel I secolo a. C., per sanzionare l’iniuria – che, allora, oltre all’offesa verbale, comprendeva, fra l’altro, anche le percosse –, il pretore introdusse l’actio iniuriarum aestimatoria, che consentiva di commisurare la pena all’effettiva gravità di ciascuna violazione. Fino a quel momento, infatti, le percosse erano state punite dalla Lex XII Tabularum con un risarcimento di appena 25 assi in favore dell’offeso, pari a circa 38 euro odierni: una miseria, dunque.
E qui viene l’episodio che Guarino narrava. Un cavaliere romano, tale Lucio Verazio, se ne andava in giro e, quando incrociava persone che gli erano antipatiche (e sembra che non fossero poche), le abbuffava ‘e pàcchere (come si dice a Oslo). Lo seguiva, però, un servus dispensator, munito di sacchetto di monete, che subito dopo consegnava i 25 assi allo schiaffeggiato, il quale non avrebbe più avuto di che dolersi (almeno, davanti a un giudice).
Similmente, oggi è possibile comprare la libertà di non vaccinarsi – meglio definibile come “licenza di contagio” (altrui, prima che proprio) –, al modico prezzo di 100 euro, una tantum. E poi, Pauwels e Bergier (Il mattino dei maghi) vengono a raccontarci che la storia non si ripete.
(Gennaio 2022)
CUIUS REGIO… (ovvero: meno male che c’è un Papa straniero)
di Sergio Zazzera
Antefatto n. 1: Nell’Enciclica Pacem in terris, il Pontefice Giovanni XXIII affermò, tra l’altro, la necessità di mantenere distinto l’“errore” dall’“errante”.
Antefatto n. 2: Joe Biden, presidente U.S.A., di religione cattolica, personalmente contrario all’aborto, non ritiene di dover estendere al popolo statunitense il proprio pensiero in materia, promuovendo l’adozione di norme repressive, ma lascia a ciascuno libertà di coscienza.
Il fatto: In occasione del G20 di Roma, Joe Biden, in visita a Papa Francesco, lo interpella, circa la possibilità di ricevere la Comunione, che l’episcopato del suo Paese vorrebbe negargli, ricevendosi risposta affermativa.
Il commento: Oltre a ignorare la dottrina di Giovanni XXIII, la posizione dell’episcopato U.S.A. nega la validità dell’Editto di Nantes, emanato da Enrico IV di Borbone nel 1598 (nella foto), che sancì la libertà di culto e l’abolizione del principio della religione di Stato, significato dal brocardo «Cuius regio, eius et religio», e, con esso, disconosce oltre quattro secoli di storia e di civiltà.
So perfettamente che la storia non si fa interrogandosi sul naso di Cleopatra: me lo insegnava il mio Maestro. Poiché, però, di recente, qualcuno non lo ha escluso, la prova voglio farla, non prima di avere chiesto perdono alla felice memoria di quel Maestro. Oggi abbiamo un Papa venuto «dalla fine del mondo», come egli stesso si definì, nel discorso dell’elezione; ma quale risposta sarebbe stata data al presidente Biden, se il Pontefice fosse stato un italiano? uno, cioè, cresciuto e educato in seno alla Curia romana? Nomi non intendo farne, ma credo che ciascuno possa riempire da sé lo spazio che sto lasciando in bianco.
(Novembre 2021)
‘O PAESE ‘E MASTU RAFELE
di Sergio Zazzera
Nel 1869 Antonio Petito diede alle stampe il testo di un suo lavoro teatrale, intitolato So Masto Rafaele e non te ne ncarricà, il cui protagonista è un personaggio che risolve tutti i problemi, sia propri, che altrui, con modalità assolutamente originali e fuori da tutti gli schemi: da lui ha tratto origine la proverbiale definizione di Napoli come ‘o paese ‘e Mastu Rafèle.
Tale modo di essere della città si è manifestato, per l’ennesima volta, proprio in questi ultimi giorni. Dal numero del 6 giugno del quotidiano Il Mattino, infatti, a p. 22, sotto il titolo «Chiaia, Madonna trafugata» ma l’opera torna al suo posto, si rende noto che il dipinto raffigurante la Madonna di Piedigrotta, sparito diversi mesi fa dall’edicola posta in piazza Santa Caterina da Siena e sostituito da una stampa della Madonna di Pompei, è tornato al suo posto, dopo essere stato sottoposto a un intervento di restauro.
Nell'articolo stesso sono espresse le felicitazioni verso tutti coloro che avrebbero partecipato all'operazione; felicitazioni che potrebbero anche rivelarsi fuori luogo. In tale articolo, infatti, non si specifica se il restauro sia stato eseguito sotto la vigilanza della competente Soprintendenza, come dovrebbe avvenire per qualsiasi opera sottoposta a un tal genere d'intervento; tanto più, poi, che il dipinto era stato eseguito da Ferdinando Ferrajoli (allievo di Raimondo d'Aronco e sicuramente non l'ultimo arrivato), che abitava nel palazzo attiguo (con ingresso da vico S. M. a Cappella Vecchia), le cui opere sono presenti, fra l'altro, nella Galleria del Circolo Artistico Politecnico. Senza dire che, nel momento in cui il dipinto è stato rimosso dall'edicola, non sarebbe stato superfluo lasciare nella stessa un avviso con i motivi dell'asportazione, come si suole fare per le opere esposte in musei e chiese.
Purtroppo, però, Napoli continua a essere 'o paese 'e Mastu Rafèle, dove ognuno decide in autonomia il proprio modo di comportarsi e le regole sono, forse, anche poco meno che un optional.
(Giugno 2021)
…QUEL CH’E’ DI CESARE
di Sergio Zazzera
La Costituzione della Repubblica italiana afferma, all’articolo 7, comma 1°, il principio secondo cui «lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani».
A sua volta, fra i cardini della dottrina cristiana è annoverato il principio, affermato da Gesù, secondo cui bisogna dare «a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio», riferito dai Vangeli sinottici (Mt. 22,21; Mc. 12,17; Lc. 20,25) e perfino dall’Apocrifo Vangelo di Tommaso (100,2-3).
Lo Stato italiano e la Chiesa cattolica concordano, dunque, sul concetto, coniato dal pastore calvinista francese Alexandre Vinet e introdotto in Italia da Cavour, espresso dalla formula «libera Chiesa in libero Stato».
Ho adoperato l’indicativo presente – “concordano” –, ma sarebbe stato preferibile l’uso del condizionale – “concorderebbero” –, poiché, a ben guardare, le cose vanno, talvolta, in maniera diversa.
Di recente, la Diocesi di Napoli, retta fino a qualche mese fa dal cardinale Crescenzio Sepe, è stata affidata, dopo l’accoglimento delle sue dimissioni, alla guida di monsignor Domenico Battaglia. E sembrava che l’aria fosse cambiata, ma, poi, qualcosa che non va ha cominciato a manifestarsi, poiché
egli, in un suo intervento recentissimo, ha esortato le autorità italiane ad astenersi dall’eseguire demolizioni di costruzioni realizzate abusivamente, già decise con provvedimenti, divenuti definitivi, provenienti “da Cesare”.
Ma, allora, ferma restando la sostanziale coincidenza tra il principio evangelico e quello costituzionale, sopra ricordati, c’è da domandarsi se sia legittimo che l’autorità ecclesiastica si arroghi la competenza di stabilire che cosa sia “di Cesare” e che cosa sia “di Dio”.
(Giugno 2021)
SOTTO AL TAPPETO
di Sergio Zazzera
“Città segreta”, nell’immaginario di Corrado Augias, Napoli ha costituito il tema della trasmissione televisiva da lui stesso condotta, sabato 17 aprile, su Rai3; e lo spazio da lui dedicato alla figura e alla vicenda di Raffaele Cutolo ha sollevato l’indignazione di numerosi benpensanti, che, sia in forma pubblica (lettere ai giornali), sia in forma privata (discorsi tra amici), hanno stigmatizzato la scelta del giornalista, sostenendo che di Cutolo non si sarebbe dovuto parlare.
Da un siffatto atteggiamento non posso – giornalisticamente – non dissociarmi. In primo luogo, infatti (e purtroppo!), “don Raffaele” E' stato Napoli; una Napoli negativa, ma anche le negatività hanno, da sempre, un loro posto nella storia: si pensi al nazifascismo. E qui vengo al “secondo luogo”: con grande professionalità, Augias ha costruito il discorso mediante una serie di passaggi, cominciata con la presentazione del “fenomeno Maradona”, del quale, dopo le positività (rivitalizzazione del Napoli, scudetti vinti, azioni di beneficenza), ha posto in evidenza le negatività, vale a dire, l’avvicinamento agli stupefacenti e il conseguente rapporto stretto con il clan familiare dei Giuliano. A questo punto, presentata questa famiglia come quella che ha espresso più collaboratori di giustizia (vulgo, “pentiti”: “Loigino”, Salvatore, Guglielmo), ha introdotto il discorso sulla N.C.O. di Raffaele Cutolo, sottolineando come, viceversa, questi abbia conservato la sua mentalità criminale fino all’ultimo giorno della sua esistenza terrena.
Augias, dunque, ha delineato, in maniera estremamente corretta, un frammento di storia della società napoletana, che – purtroppo – è esistito, e perciò non può essere “spazzato e nascosto sotto al tappeto”.
Altrimenti, dovremmo negare diritto di cittadinanza nel mondo della storia anche a quanto sulla camorra hanno scritto Marc Monnier, Abele de Blasio, Ferdinando Russo, Paolo Ricci, e chi più ne ha, più ne metta. Con la grave conseguenza che di essa non sapremmo niente.
(Aprile 2021)
Una passeggiata nel quartiere Sanità
di Luigi Rezzuti
Napoli ha tanto da offrire. Ogni volta scopro qualcosa di nuovo, che magari era lì da secoli, ma io non ci avevo mai prestato attenzione.
È stato questo il motivo di una passeggiata nel Rione Sanità, un quartiere per anni additato come pericoloso, malfamato, da evitare assolutamente.
Mi è sempre stato detto: “Tieniti lontano dai quartieri Spagnoli, dalla Sanità e da Forcella”, ma io non sempre l’ho fatto.
E non me ne pento perchè questi quartieri stanno cambiando, si stanno aprendo al turismo, mostrando la loro allegria, la loro arte e la loro storia.
Sono stato fortunato, lo ammetto, ho visitato la Sanità più volte e questa volta, però, è stata un’interessante passeggiata, grazie alla quale ho potuto apprendere molte storie, leggende e aneddoti su questo quartiere.
Visitare un luogo con qualcuno che ne conosce la storia è assolutamente un valore aggiunto ed io l’ho visitato con un amico molto preparato sul piano della storia napoletana.
Questa è la passeggiata, alla quale mi sono dedicato una domenica mattina. Il tragitto non è stato lunghissimo, ma c’era da fermarsi tante volte per guardarsi intorno ed osservare.
Il nome Sanità viene dalla salubrità della zona, un tempo incontaminata, e dal fatto che qui, nelle sue catacombe, si verificavano miracolose guarigioni.
Voce di popolo sostiene che il nome provenga anche dalle frequenti alluvioni, causate dal torrente che scendeva da Capodimonte, purificando il Rione.
Il Rione Sanità parte, infatti, dal quartiere Stella, si trova a nord del centro storico di Napoli, adiacente la collina di Capodimonte.
La visita al Rione Sanità parte dalla Porta San Gennaro, che si trova su via Foria, di fronte piazza Cavour. Era l’unico punto di accesso, dal lato nord della città, e l’unico che portasse alle catacombe.
A differenza delle altre porte di Napoli, questa non ha i due torrioni laterali, ma è circondata dai palazzi che vi sono stati costruiti intorno.
Attraversando la strada ci si immette in via Vergini, una strada allegra e festosa, ricca di negozietti e bancarelle del mercato, con i commercianti che si mettono in posa non appena vedono comparire una macchina fotografica.
Il mercato è aperto tutti i giorni fino alle 20, la domenica fino all’ora di pranzo.
Passeggiando, non si può fare a meno di notare i colori dei vicoli: artisti ignoti ma anche altri ben conosciuti, lo hanno colorato e fatto oggetto dei loro dipinti.
Subito dopo la pizzeria “Concettina ai 3 Santi”, sulla destra, c’è un bel palazzo a pianta ottagonale e doppia scalinata: è il palazzo Sanfelice, costruito nel 1728, dove sono state girate alcune scene di Gomorra ed altre fiction.
Arrivo a piazza Sanità. Proprio di fronte alla Basilica, “Sants Maria alla Sanità”, sulla facciata di un edificio, è stato realizzato un grande murales.
La chiesa sorge al centro della piazza ed è stata eretta nel 1600 sulle catacombe di San Gaudioso.
La cosa che mi ha più colpito, che non avevo mai visto nelle altre chiese, è che il presbiterio è rialzato rispetto alla navata, raggiungibile attraverso una bella scalinata di marmo, sotto cui si sviluppa la cripta.
All’interno della Basilica c’è una statua di San Vincenzo, detto “‘O Munacone”, che il quartiere ha eletto come proprio protettore.
Fino al 1978, il 5 luglio, si celebrava la festa della Sanità, “Festa d’ò munacone”, appunto, cui venivano invitati anche cantanti famosi.
Quando poi la camorra si è introdotta, con richieste di pizzo, la festa è stata sospesa.
La Basilica è quindi conosciuta anche come “ ‘a chiesa e San Vincenzo”.
Il Ponte della Sanità sovrasta il rione unendo due strade, Santa Teresa degli Scalzi e Corso Amedeo di Savoia, per collegare la Reggia di Capodimonte alla città. Successivamente nacque l’idea di un ascensore che permette di salire, da Materdei, sulla parte alta della città.
È curioso vedere come alcune case sono state costruite proprio sotto il ponte.
Passeggiando per questi luoghi, mo sono imbattuto nella sagoma di Totò, una delle tante installazioni, dedicate all’attore, che abbelliscono il suo quartiere natio.
A pochi metri dal Ponte della Sanità ho trovato l’opera che mi è piaciuta di più in questa passeggiata “Speranza nascosta” con il volto di un senzatetto rimasto in negativo sul muro.
Cammino tra graffiti, bassi e panni stesi ad asciugare. I bassi sono quelle case al piano terra degli edifici, la cui unica apertura è fonte di luce. Un tempo erano sgabuzzini o botteghe di artigiani.
Sono arrivato su via Fontanelle, che prende il nome dalle sorgenti e fonti d’acqua che caratterizzavano, un tempo, questa zona.
Arrivo, quindi, al Cimitero delle Fontanelle, uno dei luoghi più suggestivi del Rione Sanità e di tutta Napoli.
Impregnato di storia, fede, riti e leggende, il cimitero delle Fontanelle è un antico ossario, scavato nella roccia di tufo della collina di Materdei.
Inizialmente era destinato a seppellire i corpi che non trovavano posto nelle chiese, poi, le vittime della grande peste del 1656 e del colera del 1836.
Il cimitero, ad oggi, accoglie circa 40,000 resti ed è anche famoso perché vi si è svolto, per tanti anni, un particolare rito detto delle “anime pezzentelle”.
Il rito prevedeva l’adozione, in cambio di una grazia, di un cranio anonimo (a capuzzella) al quale corrispondeva un’anima abbandonata (detta perciò “pezzentella”.
I fedeli sostenevano che l’identità delle anime, con il loro nome e la loro storia, veniva svelata loro in sogno.
I teschi delle anime avevano bisogno di cura ed attenzione e, per questo, i fedeli pulivano e lucidavano il cranio prescelto, lo adornavano con fazzoletti ricamati, cuscini e rosari. Se la grazia veniva concessa, il teschio veniva riposto in una scatola o in una teca protettiva, sulla quale veniva scritto “per grazia ricevuta” Il nome del fedele, altrimenti, veniva abbandonato e sostituito con un altro. La maggior parte dei teschi sono anonimi, ma ce ne sono anche alcuni diventati famosi e sui quali si narrano misteriose leggende. Uno di questi appartiene a donna Concetta, conosciuta come “A capa che suda”.
Il cranio di donna Concetta è posto in una teca di vetro in una cavità che raccoglie meglio l’umidità, per questo sembra sudare, secondo i fedeli, a causa delle fatiche e sofferenze a cui è sottoposta nell’aldilà.
Poco dopo, in un’altra cavità scarsamente illuminata, l’inquietante statua decapitata del Monacone San Vincenzo Ferreri, vestito con il tipico abito domenicano bianco e nero.
Alla destra delle tre croci ho trovato un altro teschio ricoperto di fiori, monetine e candele, è quello del Capitano, sul quale si raccontano due versioni della stessa leggenda.
Pare che un giovane sposo avesse suscitato l’ira dell’anima del Capitano prendendosi gioco di lui, dicendogli di non aver paura di un morto ed invitandolo ironicamente al suo matrimonio.
Fatto sta che il Capitano al matrimonio ci andò davvero, travestito da un personaggio in abito scuro, silenzioso e severe, Questi, rivelando la sua vera identità, fece morire di paura la giovane coppia di sposi.
Sono uscito dal cimitero delle Fontanelle alle 13,30, giusto in orario di pranzo.
Sono quindi tornato indietro per fermarmi alla pizzeria ai Tre Santi. La folla che aspettava di entrare era numerosa, ma io, per fortuna, avevo lasciato il mio nome tre ore prima e sono riuscito ad avere un tavolo, aspettando solo una ventina di minuti.
Quando poi ho mangiato quella pizza ho realizzato che sarebbe valsa la pena aspettare anche un’ora.
Ho preso una classica margherita, soffice, leggera e buonissima ed ho assaggiato una fetta di dolce.
Uscito dalla pizzeria, sazio e soddisfatto, ho imboccato il vicolo che si apre proprio di fronte via Santa Maria Antesecula.
È qui che si trova la casa in cui, nel febbraio del 1989, è nato il Principe Antonio De Curtis, in arte Totò.
La casa è contraddistinta da un bellissimo ritratto sui muri esterni.
Tornando verso l’inizio del Rione ho visitato l’ultimo palazzo denominato “dello Spagnolo” perché appartenuto ad una nobile famiglia spagnola nel XIX secolo, anche questo molto simile al palazzo Sanfelice, ma tenuto meglio.
La mia bella passeggiata nel quartiere della Sanità è terminata.
Sono stato contento nel vedere gruppi di turisti, soli o accompagnati da guide, visitare il Rione Sanità, fotografarlo ed ascoltando talune storie, narrate dalle guide, mi sono sentito orgoglioso di essere napoletano.
(Aprile 2021)
VACCINARE I MAGISTRATI
di Sergio Zazzera
Potrebbe sembrare l’ottava opera di misericordia, e forse lo è. I magistrati – e, in maniera particolare, quelli napoletani – hanno fatto sentire la loro voce, attraverso gli organismi associativi locali, chiedendo di essere sottoposti a vaccinazione anti-SarsCov2 al più presto.
Premesso – e senza offesa per nessuno – che il convergere sul Governo delle richieste di numerose categorie professionali (tutte?) sta finendo per assumere la fisionomia di una guerra tra poveri, devo dire, però, che soltanto chi non ha mai messo piede in un’aula di Giustizia – soprattutto, ma non soltanto, civile – può stigmatizzare in maniera negativa una richiesta siffatta; ma mi spiego.
Anzi, per spiegarmi meglio, comincio con un episodio personale. Sono stato giudice dell’esecuzione civile per diciassette anni e, una volta, un mio parente mi telefonò a casa, dicendomi di essersi trovato per motivi suoi nella Pretura di Napoli e di essere passato per il mio ufficio, per salutarmi. «Ma non ti ho visto», concluse. Gli spiegai che, se fosse riuscito a farsi largo tra il nugolo di avvocati (una cinquantina, all’incirca) che affollava la mia aula, avrebbe avuto discrete probabilità di vedermi (ma non di più di tanto).
Questo, per dare un’idea delle condizioni nelle quali si svolgono – e non soltanto a Napoli – le udienze civili, benché quelle penali non siano messe, poi, tanto meglio. Ora, se si considera l’elevato rischio di diffusione del contagio in ambienti particolarmente affollati, che non è detto – come i media ci hanno consentito di apprendere – che le mascherine riducano fino a un massimo del 2 o 3%, non credo che ci sia da strapparsi le vesti se i magistrati – ma anche gli avvocati e tutti gli altri frequentatori più o meno abituali delle aule di Giustizia – invochino che sia loro praticata la vaccinazione. Altrimenti, sarebbe più che giustificato che fossero essi a strapparsi di dosso le toghe.
(Marzo 2021)
HADDA FERNI’ STA PANDEMIA
di Luigi Rezzuti
Appena potrò, metterò le scarpe più comode che ho e farò tanti di quei chilometri a piedi che conoscerò di nuovo Napoli.
Salirò la collina di Posillipo, passando per Trentaremi, poi andrò a fare un saluto alla tomba di Virgilio, a quella di Leopardi e alla Crypta Neapolitana.
Quindi entrerò a palazzo donn’Anna, non dall’ingresso principale, bensì passando dalla casa di una signora, che ha l’accesso diretto a mare. Prima, però, lei mi farà la solita bella “tazzulella” ’e café.
Intanto mi sarà venuta fame sicuramente: è mezzogiorno e trenta e mangerò una pizza margherita.
Poi continuerò, sempre a piedi, dal circolo Posillipo al porto di Napoli.
Entro un secondo al Maschio Angioino e poi vado al San Carlo.
Degusto un bel babà in galleria e subito un altro caffè e ne lascio più di uno in sospeso, perché nessuno a Napoli dovrà rimanere con la voglia di una tazzina di caffè.
Mi perderò, con la testa rivolta verso l’alto, per tutti i “vicarielli” di Napoli e farò il giro delle 7 chiese, passando per Santa Chiara.
Dopodiché vado a trovare Totò alla Sanità e cammino fino a Capodimonte!
Se faccio in tempo passo per il cimitero delle fontanelle, poi prendo la metro e la funicolare e me ne vado alla Certosa perché devo vedere Napoli che si colora al calar del sole, mentre piango di gioia per aver riacquistato la mia libertà.
Il giorno dopo me ne vado a Pozzuoli, a Baia, a Cuma, a Monte di Procida e aspetto che il cielo si faccia nuovamente arancione al calar del sole sulla terra più bella che abbia mai conosciuto.
Io resto a casa per il momento….
(Marzo 2021)