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Miti napoletani di oggi.88 IL CARRO-ATTREZZI   di Sergio Zazzera   Nato per gl’interventi di soccorso stradale (anche chi scrive queste righe ha...
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I marittimi tornino a casa. Restiamo umani   Riceviamo dall’assessore del Comune di Procida, Rossella Lauro, e pubblichiamo il seguente...
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ANPI "Aedo Violante"   Domenica 4 Febbraio 2024 Ore 10.30 Aderire all'ANPI per difendere la Costituzione ed i valori della Resistenza. La Collina...
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La scuola sospesa Ricordi di un anno senza abbracci di Maria Rosa Lanza   Ci siamo! È settembre e, insieme al nuovo inizio, riaffiora il ricordo di un...
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UNA SITUAZIONE TRAGICOMICA   di Luigi Rezzuti   Simone ha 35 anni, il suo hobby è andare in bicicletta, ha la fortuna di abitare a Posillipo in una...
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IN CRISI DI PANICO   di Luciano Scateni     ...è giunta mezzanotte, si spengono i rumori..." sì ma in silenzio assordante anche l'urlo potente, tipo...
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E’ arrivato l’autunno   di Luigi Rezzuti   L’autunno è la stagione che ci accompagna verso l’inverno. Ufficialmente inizia con l’Equinozio...
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Filo diretto con i lettori   Ringrazio tutti coloro che hanno fatto pervenire un commento al mio recente articolo “Quale giornalismo oggi?” (marzo...
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Pensieri ad alta voce   di Marisa Pumpo Pica   Le Frenesiadi - Sanremo Festival   Ebbene sì. I Greci, fra tanti giochi e feste, avevano le...
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L’INFORMATIVA FISCALE

a cura di Lello Lampedusa

 

Spread - Benefici per imprese e famiglie

 

Il differenziale di rendimento tra i titoli di Stato decennali italiani e quelli tedeschi ha, nel triennio 2022-2025 rappresentato un indicatore chiave della solidità italiana, con benefici per famiglie e finanza. Lo spread che, nel settembre del 2022, aveva raggiunto i 251 punti base, ha toccato i 74 punti base nel novembre del 2025. Considerando che ogni anno il Tesoro rinnova circa 350 miliardi di euro di debito, la riduzione dello spread dal 2022 al 2025 ha garantito un risparmio di circa 19 miliardi, ha rafforzato la credibilità del Paese sui mercati ed ha alleggerito la pressione sulla legge di bilancio 2025.

LEGGE DI BILANCIO 2026-BENEFICI PER LE FAMIGLIE

Le scelte effettuate nella Legge di bilancio 2026 delineano gli obbiettivi prioritari fiscali, previdenziali e le misure a favore della casa e dei nuclei familiari. In sintesi, le principali direttrici possono così riassumersi, come qui di seguito.

1 - Riduzione dell’Irpef sui redditi medi con taglio della seconda aliquota fiscale.

2 - Revisione della tassazione sugli affitti brevi.

3 – Pacchetto stipendi, agevolazioni sui premi di produttività e detassazione di specifiche voci in busta paga.

4 - Misure a sostegno della natalità e potenziamento del bonus mamme.

5 - Nuove regole Isee, agevolazioni per la prima casa e proroga di detrazioni edilizie. Questi provvedimenti mirano a proteggere i nuclei più vulnerabili e ad incentivare la natalità, raccordando le azioni con le sfide demografiche in corso. Certamente la situazione reale del Paese richiedeva interventi più coraggiosi, ma la tenuta dei conti pubblici obbligava, secondo me, qualsiasi governo in carica, ad essere prudente per mantenere quella riconquistata credibilità verso l’Europa che ha comportato dei benefici, come da nota spread all’inizio.

Novembre 2025

L’ informativa fiscale

Il governo si prepara a varare le nuove misure finanziarie

 

a cura di Lello Lampedusa

 

Il taglio dell’Irpef è uno dei punti centrali della prossima legge di bilancio. L’obiettivo è quello di ridurre dal 35% al 33% l’aliquota del secondo scaglione, quello che interessa i redditi compresi tra 28 mila e 50 mila euro.  Questa misura, coinvolge circa 9,6 milioni di contribuenti con un costo stimato per lo Stato di circa 1,2 miliardi di euro. Trattasi di un intervento volto a sostenere il cosiddetto ceto medio, cioè quei lavoratori dipendenti, pensionati e autonomi, che sostengono  gran parte del gettito fiscale. Secondo calcoli della Fondazione nazionale dei commercialisti, la riduzione dell’aliquota al 33% porterebbe un risparmio progressivo di circa 20 euro all’anno per chi dichiara 29 mila euro, 100 euro per chi ne dichiara 33 mila e potrebbe arrivare ad un massimo di 440 euro per i redditi annui di 50 mila euro. Circa la metà dei contribuenti interessati ha redditi intorno ai 31-33 mila euro per cui il vantaggio medio si aggira tra i 60 e 100 euro annui, pari a 5-8 euro al mese. La riduzione dell’Irpef sarà inoltre accompagnata da una revisione delle detrazioni, legate al nucleo familiare, per modulare i benefici in base al numero dei figli a carico e alla composizione della famiglia. Allo studio ci sarebbero anche incentivi per l’acquisto o la locazione della prima casa da parte delle giovani coppie, tema tornato di attualità nel quadro delle misure per la natalità e la stabilità economica dei nuclei più giovani. 

I bonus d’autunno. Si apre la stagione autunnale delle agevolazioni, con pacchetto di aiuti pensato per sostenere le famiglie italiane in un periodo di consumi in calo e prezzi ancora elevati.

Le misure, alcune già operanti e altre in arrivo entro la fine dell’anno, coprono ambiti diversi - salute, natalità, scuola e casa - puntano a dare un piccolo sollievo economico.

 Ottobre 2025

L’ Informativa Fiscale

a cura di Lello Lampedusa

 

-Conferma Irpef a tre scaglioni.

La riduzione a tre scaglioni di reddito Irpef viene portata a regime con le seguenti aliquote progressive:

-23% redditi fino a 28 mila euro;

-35% redditi tra 28 mila e 50 mila euro;

-43% redditi superiori a 50 mila euro.

-Bonus casa (ristrutturazioni, manutenzioni straordinarie, pompe di calore, eccetera) e ecobonus (sostituzione di finestre e infissi, sostituzione di impianti di climatizzazione invernale eccetera): addio al 50% nel 2026. La legge di bilancio 2025 ha stabilito che spetta una detrazione del 36% delle spese sostenute nell’anno 2025 al 30% delle spese sostenute negli anni 2026 e 2027; tuttavia le aliquote precedenti sono elevate rispettivamente al 50% per le spese sostenute nel 2025 e 36% per le spese sostenute negli anni 2026 e 2027 nel caso in cui le spese siano sostenute da titolari di un diritto di proprietà, diritto reale di godimento per interventi sull’immobile adibito ad abitazione principale. Per il 2025, pertanto per gli interventi di risparmio energetico qualificato, non ci sono più tutte le varie aliquote di intervento, del 50-65-70-80-85%, ma soltanto le due aliquote sopra indicate del 50% per l’abitazione principale e del 36% per le altre e, dal 2026, le aliquote da applicare saranno solo due: 36% e 30%.

-Bonus casa acquisti e sismabonus acquisti

Il 2025 è l’ultimo anno in cui è ancora possibile fruire dell’aliquota del 50% per i cosiddetti bonus casa acquisti e sismabonus acquisti, perché nei prossimi due anni l’aliquota massima applicabile scenderà al 36%. Anche questi due bonus sono soggetti alle stesse percentuali di detrazione modulate in funzione della destinazione dell’immobile (prima o seconda casa) e dell’anno di sostenimento della spesa (2025-2026-2027), di cui si è già detto in precedenza.

Il cavallino rampante negli stemmi napoletani

 

di Antonio La Gala

L’immagine di un cavallino rampante ricorre come emblema della città di Napoli, della (ex) provincia, della squadra di calcio, di associazioni e di tant’altro ancora.

Perché?

Fino alle riforme amministrative di inizio Ottocento che divisero Napoli in quartieri, la città si articolava in otto “sedili”, o “seggi”, (simili alle nostre circoscrizioni/municipalità), ognuno rappresentato da nobili “eletti” fra gli aristocratici che abitavano in quel quartiere.

Il sedile di ogni zona aveva un suo stemma. Un sedile rappresentato da un non nobile, l’Eletto del Popolo, aveva come emblema una semplice “P”.

Gli stemmi con cavalli erano due, quello del sedile Capuano (un cavallo bianco) e quello di Nilo, detto anche di Nido (un cavallino nero rampante).

Il sedile di Nilo/Nido era al centro del decumano centrale, nel cuore della parte più antica di Napoli; la sua centralità e antichità gli fecero assumere grande importanza nelle vicende amministrative della città, circostanza che propiziò l’estensione del suo stemma (il cavallino rampante) a tutta la città.

Oggi gli stemmi degli otto sedili sono affissi sulla facciata d’entrata del museo dell’opera di S. Lorenzo Maggiore, nell’ex convento, dove si riuniva il parlamentino cittadino dei rappresentanti dei sedili.

Ogni sedile aveva come sede fisica un edificio a pianta quadrata; di essi oggi resta solo qualche briciola, qualche denominazione topografica o qualche lapide.

A titolo di esempio diciamo qualcosa sul Sedile di Porto.

La sua esistenza oggi è ricordata dal nome della strada che da Mezzocannone (una strada che nei secoli scorsi scendeva fino al porto) oggi porta a piazza della Borsa.

Dalle parti dell’incontro fra Mezzocannone e via Sedile di Porto su un muro è visibile un curioso bassorilievo: un uomo villoso con un coltello in mano, che era il simbolo di quel Sedile

Il personaggio peloso, veniva chiamato dal popolo, Nicolò ‘o pesce, o anche Colapesce, una figura fra l’umano e il marino, protagonista di una leggenda che lo descriveva capace di vivere nel fondo del mare da cui portava in superficie tesori favolosi.

L’antico edificio del Sedile di Porto, oggi demolito, si trovava alla confluenza di via Medina, via Monteoliveto e via Guglielmo Sanfelice.

Sulla parte sinistra dell’edificio del Sedile si vedeva il suo stemma: la figura villosa.

Dopo l’abolizione dei Sedili ai primi dell’Ottocento, l’edificio fu destinato per alcuni anni ad una specie di Borsa dell’epoca, per essere poi venduto nel 1845 e successivamente sostituito da nuove costruzioni, fra cui lo storico albergo Genève, anch’esso oggi demolito.

Spigolature

 

di Luciano Scateni

 

DUE O TRE COSE CHE SO DI…

 

Questi miliardari…esondano la macro pruderie popolare, il filone subculturale del gossip, la mobilitazione di agenzie mondiali di stampa, i quotidiani, periodici, network radiotelevisivi, ‘emittentine’ private, paparazzi, chiacchiericci di ‘eravamo quattro amici al bar’ e delle signore con patologica dipendenza dalle fiction turche, di recensori illustri e semisconosciuti e sottopongono a tac mediatica il reciproco “sì”, il bacio a favore di telecamere, megalomane spettacolarità delle nozze di mister Bezos e della sua prosperosa sposa. Napoli che c’entra? Altro che! C’entra. La sirena Partenope è nella testa e nel cuore gonfio di auto gradimento dei coniugi. In laguna non scorronofiumi di Champagne, al tavolo di pranzi e cene da super Vip sconcerta l’assenza di caviale, aragoste e ostriche, omaggio dello chef parigino di Chez Maxim. Stupitevi, protagonista culinaria degli sposi è la classica pizza “margherita”, spedita, via aerea, dai quartieri spagnoli di Napoli ed è fatto obbligo al dejay di deliziare re e regina, pro tempore, di Venezia con la diffusione senza pause di musica neomelodica (supponiamo di D’Alessio, Peppino di Capri, Nino D’Angelo). Cosa? Sembra una favola? Ma sì, nozze alla napoletana e travasi di bile della Lega Nord. Ma, ammettiamolo, anche crepe nel media system, omissioni che proviamo a colmare, numero di scarpe di Bezos, 42 e mezzo, netta preferenza di mutande boxer, lame da barba Gillette, pigiami di seta cinese dell’emporio Armani, un paio di tic, postura notturna da letto, sul fianco destro (e così la sposa, dunque, nelle ore piccole schiena, contro schiena, a scapito dell’intimità), empatia viscerale con Paperon dei Paperoni e il suo oro, il sogno di volare con la navicella spaziale di Musk in direzione del pianeta Venere. E lei? Misure 90, 60, 90, ma solo dopo rigorosa dieta, intimo da sfilata di Dior, film per adulti, rimpianto per non aver risposto con la scelta della clausura quando, giovanissima, fu colpita sulla via di Damasco dal richiamo delle suore benedettine. Missione compiuta, manca solo di accertare se Bezos ha problemi di riflusso gastrico, ma non lo sapremo mai, è solo cosa da Top secret. Tutto inventato? Ma sì. E però, cosa c’è di autentico nel colossal veneziano evento nuziale del secolo?

Luglio 2025

La Pedamentina

 

di Antonio La Gala

 

 

 

La Pedamentina è una degli antichi itinerari denominati "Salite al Vomero" che in passato collegavano il centro storico di Napoli con la collina del Vomero, ricalcando i percorsi naturali che incidevano i fianchi della collina.

Oggi la Pedamentina inizia da Corso Vittorio Emanuele, dalle parti dell'Ospedale militare, per sbucare nel piazzale antistante la Certosa di San Martino.

Pare che essa sia il più antico collegamento diretto con la sommità della collina vomerese, utilizzato già in epoca angioina per consentire la costruzione della Certosa e poi migliorato nel Cinquecento per il rifacimento della fortezza di Sant’Elmo. Già presente nelle piante della città, stampate a metà Cinquecento, continuò poi ad essere risistemata ad uso delle guarnigioni spagnole di stanza in quella fortezza.

La sua denominazione è vicina a pedemontana, cioè a pié del monte, ma per assonanza qualcuno vi legge il significato di uso popolare di strada da percorrere con le pedamenta, cioè con i piedi.

Lo sbocco superiore si trova nel piazzale di San Martino, piazzale la cui sistemazione attuale risale al 1930. La Pedamentina, scavata nel tufo, è punteggiata da vecchie costruzioni rimaneggiate, ed è affiancata, nella parte sottostante alla Certosa, dalle “vigne” dei monaci. Nei primi tratti, sotto il piazzale, si notano ruderi di vecchie murature: sono i resti di case che sono state abitate fino a metà Novecento.

     Alla fine della prima rampa discendente della Pedamentina, a fronte della rampa, si vede un piccolo e vecchissimo portale. E' molto suggestivo immaginare la scena che per secoli si è svolta sotto questo portale. Esso era l'ingresso per i muli nella Certosa che nei secoli scorsi si arrampicavano per la Salita per portare ai monaci i rifornimenti di viveri e di altro.

Continuando a scendere, circa a metà percorso, sulla sinistra si apre un vicolo (Vico Pedamentina a San Martino), in cui si succedono, quasi del tutto abbandonate e diroccate, vecchie abitazioni. Vi  abbiamo notato un bel portale di una "Villa Angrisani e Amelia", contrassegnato da un' antica piastrella, interessante per il suo contenuto di cifre e numeri, il cui significato ci sfugge.

Questo vicolo prosegue con tornanti a mezza costa, affacciato su un panorama incredibile, ma risulta interrotto ed invaso da cumuli di immondizie stratificate.

La visione del panorama è poi offesa dalla presenza oscena di uno scatolone abitativo di recente costruzione. Oltre lo sbarramento di immondizie pare ci sia, o c'era, una chiesetta, forse quella "Cappella di San Martino" di cui c'è traccia in qualche vecchia guida. Se il percorso fosse mantenuto in normali condizioni di percorribilità (e non si temessero pericolosi incontri), esso costituirebbe una strada panoramica turistica di suggestione unica. E' deplorevole che simili bellezze sono ignorate e trascurate da tutti, e che per intravederle, bisogna avventurarvisi come un esploratore, a rischio della propria sicurezza.

La notevole bellezza paesaggistica della salita ispirò queste parole a Francesco De Sanctis. “…e infilai la Via di S.Martino. Salgo e salgo; avevo il fiato grosso e mi fermai alla terza rampa, dove era un bel giardino….Mi si apriva innanzi la vista di mezza Napoli: case addossate a case, di mezzo a cui spiccavano cupole e campanili. Alzai il capo e non mi parve mai così bello quel vivo, limpido azzurro del cielo”

IL VOMERO È FIGLIO DELLE FUNICOLARI

 

di Antonio La Gala

 

 

Anche se non è veritiero il luogo comune che la collina vomerese sia un luogo “senza storia”, che prima dell’edificazione di fine Ottocento “non c’era niente”, è però vero che fino a quell’edificazione la collina era un territorio sostanzialmente agricolo.

Vi vivevano i nativi, per lo più contadini, e pochi notabili napoletani, che attratti dalla bellezza dei luoghi, vi avevano costruito ville per risiedervi, stabilmente o per diporto. Fra insediamenti rurali, ville, e qualche convento, vi vivevano, sparpagliate per le campagne, poche migliaia di persone.

È stata l’apertura delle funicolari di Chiaia (nel 1889) e di Montesanto (nel 1891), a portare in collina la gente che ha fatto nascere e il quartiere e ingrandirlo.

Fino ad allora la pendenza dei fianchi della collina non consentiva spostamenti di massa di persone con i mezzi di trasporto pubblico allora disponibili, cioè diligenze e tramvie a cavalli.

Un insediamento in collina, senza le funicolari, prima o poi sarebbe avvenuto ugualmente, con la nascita dei tram elettrici, delle auto, ma sarebbe avvenuto tempo dopo e sarebbe nato un Vomero diverso da quello che conosciamo. Strutturato secondo una pianta urbana diversa, con una diversa architettura residenziale e religiosa. Forse sarebbe stata diversa anche la tipologia dei primi napoletani a salire in collina, i padri fondatori, i pionieri, quelli che hanno creato Piazza Vanvitelli, i Salesiani, la parrocchia di Via Bernini, ecc. L’importanza delle funicolari per lo sviluppo del Vomero si è dimostrata anche in seguito, quando per collegare la collina con la zona degli uffici e degli affari, nel 1928 sorse la funicolare Centrale, che portò immediatamente in collina altri settemila abitanti.

 

 Una prima idea di ampliare Napoli verso la collina venne a Francesco II che il 25 febbraio 1860 l’aveva inserita in un decreto. L’idea fu ripresa da Garibaldi, che appena arrivò a Napoli emise il 18 ottobre 1860 un decreto per “la costruzione nei siti più propri allo estremo dello abitato della città e sulle colline che la circondano, di case salubri ed economiche per il popolo”.

Tuttavia nei primi decenni successivi non sorse nessuna iniziativa concreta di urbanizzare il Vomero, anche se c’era bisogno di estendere i confini della Napoli storica, la cui altissima densità abitativa procurava frequenti epidemie di colera.

Nel 1881, dopo i sette colera dal 1836 al 1873, vivevano ancora più di 450.000 persone in poco più, in media fra palazzi e vicoli, di 240.000 vani.

Una prima iniziativa concreta di urbanizzare la collina la troviamo nel piano di ampliamento e risanamento studiato dal Comune nel 1884.

Negli anni precedenti, quando cominciava a prendere più consistenza il proposito di trasferire sul Vomero migliaia di persone, amministratori e urbanisti nello studio dell’assetto urbanistico futuro di Napoli, si preoccuparono (a differenza di quelli della urbanizzazione del secondo Novecento), dei collegamenti viari e dei trasporti pubblici, visti come condizioni propedeutiche e necessarie per urbanizzare la collina.

Verso la fine del secolo due circostanze accelerarono la realizzazione del programma di urbanizzazione del Vomero: il colera del 1884, elo sviluppo delle tecnologie delle costruzioni metalliche e ferroviarie, che avevano messo a disposizione i trasporti su fune, fra cui le funicolari.

Sistemi di trasporto con vagoncini agganciati a cavi che salivano e scendevano, per trasporto di cose, non di persone, erano apparsi con il nascere delle industrie. In Inghilterra nel 1825 Stephenson aveva azionato un impianto simile con un motore a vapore. Passarono però decenni prima che questo sistema di trasporto fosse utilizzato per spostare anche persone.

Già a partire dalla metà degli anni Settanta dell’Ottocento, e poi invogliati dal successo della costruzione nel 1880 della funicolare del Vesuvio - successo di cui è eco la canzone Funiculì funiculà - gli amministratori intravidero nella costruzione di funicolari la soluzione più idonea per collegare il centro urbano con le alture.

In particolare con il Vomero, la cui configurazione orografica rendeva la soluzione funicolare una prosecuzione in forma tecnologica della secolare tradizione dei collegamenti fra collina e città: le “salite”, a piedi, lungo i fianchi della collina. Perché non spostare gli abitanti della collina lungo le stesse direttrici, con le funicolari?   

Fu alle due prime funicolari (di Chiaia e di Montesanto), rapide ed economiche, realizzate assieme alle primissime strade e case, che si deve il meraviglioso sviluppo del Rione Vomero nei suoi primi decenni di vita.

Il suo successivo sviluppo, quello dei primi decenni del  Novecento, avvenne anche grazie all’apertura nel 1899 di linee tranviarie che lo collegavano al centro della città, Piazza Dante.

Ciò però non impedisce di notare che le primissime origini del Vomero, (la sua nascita), è stato possibile solo con le funicolari.

Cioè poter dire che “il Vomero è figlio delle funicolari”.

Nel 1914 Il Corriere del Vomero scriveva: “ Le funicolari, essendo state solo esse a risolvere il problema dei trasporti della collina, hanno contribuito allo sviluppo e alla fortuna di questa plaga ridentissima. Senza le funicolari il Vomero sarebbe, oggi, un villaggio abbandonato”.

(Aprile 2025)

Santa Maria del Soccorso all’Arenella, un’antologia d’arte sacra

 

di Antonio La Gala

 

La prima chiesa parrocchiale della collina vomerese, la Chiesa di Santa Maria del Soccorso all’Arenella,  mostra, nella sua configurazione architettonica esterna e interna, e nel suo arredo, una vera e propria antologia dell’arte sacra, devozionale, dal Seicento a oggi.

A metà Seicento l’edificio, fondato a inizio secolo e facente parte di una casa agostiniana allora in fase di chiusura, fu comprato dalla diocesi, e nel 1672 fu eletto a sede della nuova parrocchia dell’altura vomerese, unica dai Camaldoli fino a Santo Stefano, parrocchia istituita a fine Cinquecento,

D’impianto compositivo seicentesco, in origine presentava una sola navata con archi aperti lateralmente. Nella sua configurazione originale ci viene descritta  “con cinque altari e un  piccolo campanile con due campane”. L’arredo decorativo esterno e interno era semplice.

La facciata riprendeva le facciate delle chiese nate dalla Controriforma. Due orologi maiolicati chiudevano in alto i due corpi laterali.

Il Settecento conferì alla chiesa l’attuale architettura della facciata e ne rimaneggiò ampiamente l’interno, dove la volta fu decorata con stucchi (sopravvissuti) e furono introdotti alcuni elementi di decoro e di arredo, oggi conservati frammentariamente: incorniciature di dipinti, decori in alcune cappelle, negli altari, sia quello maggiore - smembrato dopo il cambiamento di posizione negli anni Settanta del Novecento - e sia negli altari di cappelle laterali, nel fonte battesimale collocato nella prima cappella del lato destro della navata, nelle acquasantiere con stemma domenicano.

È ancora settecentesco un dipinto di autore ignoto raffigurante Santa Monica e Sant’Agostino, visibile nella parte superiore della controfacciata d’ingresso.

Nell’Ottocento (sul pavimento, all’ingresso, c’è la data 1893), l’edificio all’interno fu ulteriormente rimaneggiato e poi radicalmente trasformato nel Novecento, quando negli anni Sessanta la navata unica è stata allungata con l’aggiunta di un corpo absidale e le pareti sono state rivestite di marmi.

Negli stessi secoli, dal Seicento ad oggi, per assecondare la devozione privata e il culto di singoli santi, sono sorte, nel vestibolo e ai due lati della navata, piccole cappelle, in cui troviamo, in un casuale accostamento, raffigurazioni di episodi e di santi, oggetto di venerazioni singole e di epoche diverse, un alternarsi di statue lignee, di cartapesta, di fattura recente, di dipinti antichi e moderni.

Fermiamoci davanti ad alcune cappelle.

Attualmente, entrando, nel vestibolo, a destra troviamo un Crocifisso ligneo fra le statue di due santi e, in una nicchia vetrinata, una statua dell’Addolorata; a sinistra una vetrina tripartita contiene una statua di Sant’Anna con la Vergine al centro, Padre Pio a sinistra e Papa Giovanni Paolo II a destra; di fronte a questa vetrina ce n’è un’altra, con il busto di San Gennaro.  

Nelle nicchie e nelle cappelle laterali, sul lato destro entrando, nel primo arco, dietro il fonte battesimale un dipinto settecentesco di Salvatore Mollo raffigura Tobiolo e l’Angelo Raffaele; nella cappella del secondo arco, più grande, vediamo un moderno Cristo benedicente in legno policromo; il terzo arco conserva al centro un San Giuseppe con il Bambino, anch’essi moderni, in legno policromo, e lateralmente due tele che raffigurano la Fuga in Egitto e lo Sposalizio della Vergine.

Sul lato sinistro, il primo arco mostra, dietro un moderna statua della Vergine, una tela firmata Raffaele Spanò 1892 che raffigura la Vergine tra anime purganti.  La cappella del secondo arco, più grande, decorata con elementi settecenteschi, accoglie la statua della Madonna del Soccorso, titolare della chiesa, raffigurata con il Bambino in braccio, ai cui piedi un fanciullo, insidiato da un serpente, chiede soccorso . L’ultimo arco accoglie una statua di Sant’Antonio di Padova.

Il risultato dei vari rimaneggiamenti, soprattutto interni, è che oggi in questa chiesa convivono sovrapposizioni e contaminazioni architettoniche, decorative e figurative, barocche, ottocentesche e moderne, un’antologia che conferisce alla chiesa una particolare atmosfera rievocativa dell’arte sacra e della devozione popolare degli ultimi secoli.

Le immagini che accompagnano questo articolo mostrano l’esterno della chiesa nel primo Novecento e la controfacciata dell’ingresso, con l’organo e il dipinto settecentesco.

(Gennaio 2025)

I Saraceni disegnano la Riviera di Chiaia

 

di Antonio La Gala

 

 

La Riviera di Chiaia è delimitata dal lato verso Mergellina dalla Torretta e dal lato opposto dalla piazza che accoglie la chiesa della Vittoria; nella parte mediana la Riviera è caratterizzata da un palazzo turrito, un quasi castello, palazzo Sirignano. 

I due edifici situati ai due punti estremi - la Torretta da una parte e la chiesa della Vittoria dall’altra – e il quasi castello nella parte mediana, sono sorti sostanzialmente tutti negli stessi anni, prima ancora che sorgessero la Villa Comunale e la Riviera attuale, e tutti e tre ricordano la plurisecolare lotta fra cristiani da una parte e Saraceni dall’altra.

L’antenato di palazzo Sirignano, già presente negli anni Trenta del Cinquecento, si dotò, come scrive Celano, di una “forte torre per sicurtà in caso d’incursioni dei Turchi che [in quei tempi] erano frequenti”. La piccola torre, la Torretta,  sorse nel 1564 per difendere gli abitanti della zona, prevalentemente pescatori, dalle incursioni saracene; la chiesa sorse nel 1572 per festeggiare la vittoria navale di Lepanto dell’anno precedente contro i Turchi.  

Ricostruiamo la successione degli eventi. Nonostante la presenza della torre Sirignano, i Saraceni continuavano a infestare la spiaggia e nel 1563 compirono un’incursione che determinò la costruzione della Torretta. Le cose andarono così: nei pressi dell’allora solitaria spiaggia di Mergellina, dove sorgeva un palazzo dei marchesi di Vasto, un gruppo di pirati, con la complicità di un servo “rinnegato” di casa Vasto, assalì il palazzo per rapire la bella marchesa, che la scampò solo perché si trovava altrove, alle terme di Agnano. I pirati, per non andarsene a mani vuote, “si accontentarono” di rapire 24 persone, pare sempre con la complicità del rinnegato, che essendo di parlata napoletana, trasse in inganno la gente del posto, andando in giro a gridare in dialetto “scappate che stanno venendo i Turchi”. La gente che si rinchiuse nella case si salvò, ma quelli che scappavano furono presi per strada.

Il viceré, che abitava da quelle parti, capitanò subito truppe vicereali che affrontarono, assieme a cittadini inferociti, i pirati, facendoli fuggire, con i prigionieri, sull’isola di Nisida. Dopo patteggiamenti avvenuti sull’isola e pagamento di un riscatto, i prigionieri furono liberati. L’episodio portò alla decisione di costruire in quell’area desolata una torre di avvistamento di tre piani, la Torretta, appunto. Per la verità essa non ebbe mai occasione di svolgere la funzione di difesa per cui era sorta, ma fu adibita ad usi vari. Nel primo Novecento fu adattata a “Casa del Fascio”, per poi essere inglobata in un edificio civile di forme architettoniche non esaltanti.

La Torretta si trova al bivio fra la via che porta a Mergellina e quella che porta a Piedigrotta-Fuorigrotta e si affaccia su uno spazio a lungo utilizzato come capolinea di mezzi di trasporto pubblico, fra i quali, come mostra una ricca iconografia d’epoca, i tram a vapore.

(Dicembre 2024)

La Floridiana durante la seconda guerra mondiale

 

di Antonio La Gala

 

Molte città europee nel corso della seconda guerra mondiale sono state ferite dai bombardamenti, da occupazioni straniere, combattimenti, che dove più e dove meno vi si sono svolti. Chiese, musei, luoghi d'interesse storico ed artistico, opere d'arte, vi sono state ferite, talvolta distrutte,  

 Napoli non è stata da meno. Basti pensare solo a Santa Chiara.

Limitandoci alle vicissitudini occorse al piccolo mondo vomerese, abbiamo ricostruito le vicende vissute dalla Villa Floridiana, un gioiello d'impronta neoclassica e di livello regale, che impreziosisce la collina vomerese dagli inizi dell'Ottocento.

La posizione relativamente decentrata del Vomero rispetto ai teatri dei combattimenti degli anni Quaranta consentirono alla Floridiana una relativa tranquillità, almeno fino agli eventi del settembre 1943 che videro il quartiere al centro delle Quattro Giornate.

Subito dopo l'8 settembre, precisamente il giorno 10, i viali e la palazzina della Floridiana vennero occupati dai Tedeschi e divennero sede di acquartieramenti delle loro truppe. Ricorrono in molte testimonianze sulle Quattro Giornate il ricordo delle sortite dalla Floridiana di soldati e veicoli militari dei Tedeschi per azioni contro gli insorti.

Nei primi giorni di ottobre, gli Alleati, appena entrati, requisirono subito la Villa, assieme, come d’abitudine, alla requisizione per se stessi dei migliori edifici del quartiere.

L'occupazione della Floridiana da parte degli Alleati si protrasse dall'inizio di ottobre 1943 fino al 2 maggio 1945 e nella palazzina residenziale della villa si alternarono alloggiamenti di truppe, uffici e, per lunghi periodi anche ospedali militari; uno di essi da maggio ad ottobre del 1944 ospitava oltre 500 malati mentali.

Racconta Bruno Molajoli, il Sovrintendente alle Gallerie di quel periodo, nel suo libro "Musei napoletani attraverso la guerra", del 1948: "E' difficile immaginare le condizioni nelle quali fu progressivamente ridotto un edificio che all'originaria nitidezza neoclassica aggiungeva il pregio di una particolare cura di manutenzione; per la quale il visitatore era invitato a calzare strane pantofole, per non offuscare la lucentezza dei pavimenti verniciati! Mentre nel parco circostante venivano recise piante antiche e rare, e fatto scempio di prati, di viali, nelle sale della palazzina adorne di stucchi e di dorature, furono installate batterie di docce, di lavandini di cucine e di consequenziali servizi; sulle pareti rivestite di seta furono allineati fili elettrici, canne fumarie e condutture d'ogni specie, che trapassarono pavimenti e soffitti dipinti; e alle finestre furono infisse robuste inferriate".

Questa testimonianza del Molajoli non meraviglia, se si pensa, solo per fare un esempio, con quanta disinvoltura gli Alleati nello stesso periodo polverizzavano l'abbazia di Montecassino, oppure, per restare in ambito vomerese, e sempre a titolo di esempio, come a poche decine di metri dalla Floridiana, nella Villa Palazzolo-Haas, per far entrare i loro automezzi buttavano giù le ampie vetrate tardo liberty che vi si trovavano nell'androne.

Torniamo alla Floridiana: per fortuna le opere d'arte e gli oggetti del museo che si trovavano nella palazzina si sono salvate, perché quelle più pregiate erano state preventivamente trasferite a scopo precauzionale, soprattutto per difenderle dai bombardamenti, in località lontane da Napoli e le altre, ben imballate, erano state spostate nei sotterranei della villa. Queste ultime però si salvarono a stento perché nei primi giorni dell'occupazione alleata il generale americano che si era insediato nell'edificio, volle far controllare, una per una, le ottantadue casse che contenevano le ceramiche, per il sospetto che i Tedeschi vi avessero nascosto esplosivi a effetto ritardato.

La Floridiana era stata oggetto di pericolosa attenzione a fini bellici anche prima di Tedeschi e degli Alleati, in occasione delle iniziative del Regime che aveva sciaguratamente scatenato quella guerra. Dopo aver ridotto la gente alla fame, per mangiare fu lanciata un'iniziativa che la retorica di quegli anni definiva "la battaglia del grano per la Patria"

Nell’estate 1941 il Podestà partenopeo stabiliva “di porre a colture i terreni di proprietà del Comune e destinati a costruzioni ora rinviate”. Fra queste al Vomero erano compresealcune importanti zone dell’Arenella”. Divennero campi di grano le terre di S. Chiara (cioè parte delle zone non costruite attorno a Piazza Medaglie d’Oro), i giardini di Via Ruoppolo. Inoltre, nel programma di trasformazione dei pubblici giardini in orti di guerra”, era previsto anche “di mettere a colture larghi appezzamenti del magnifico Parco della Floridiana”. Come dire friarielli e cavoli in Floridiana.

Oggi, ad oltre 80 anni dai giorni delle occupazioni militari straniere, la Floridiana sta subendo altre ferite nel corso di un'altra invasione, nella quale gli invasori stavolta non sono stranieri, ma indigeni, autoctoni, non "militari", ma, "civili", vocabolo improprio, visto che stiamo parlando di

frequentatori, non propriamente “civili”, che, con ampia libertà d'azione, vandalizzano la Villa, come mostra l'immagine che accompagna questo articolo.

(Novembre 2024)

«RIUNIRE CIÒ CH’È SPARSO».24

Considerazioni su avvenimenti e comportamenti dei giorni nostri

 

di Sergio Zazzera

 

Un dato accertato dalla scienza statistica è quello della superiorità numerica, delle donne rispetto agli uomini; dato che mi sollecita due considerazioni. La prima: tale situazione dev’essere l’evidente conseguenza della vana ricerca del figlio maschio: un amico di mio padre e la moglie si fermarono, dopo la nascita della quinta figlia, quando (finalmente!) si resero conto che il maschio non era “articolo loro”. La seconda: la situazione stessa spiega anche (benché non possa valere a giustificare) l’elevato numero di “corna al femminile”. Troppe, infatti, sono le donne che cercano un uomo, categoria il cui numero è ben più ridotto del loro; e troppo spesso lo trovano pure, benché già impegnato (e, magari, noncurante dell’impegno)..

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Il “Pulcinella” di Gaetano Pesce, eretto (absit iniuria verbis) in piazza Municipio, è il segno, secondo me, del fall…imento dell’arte contemporanea.

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Nel racconto biblico del combattimento fra Amalek e Israele a Refidim (Es. 17,8-16) si legge che Israele prevaleva quando Mosè teneva le mani alzate, mentre a prevalere era Amalek, quando le abbassava. Ma, allora, non sarebbe il caso che oggi Mosè tenesse un poco giù quelle benedette mani?

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Per rimanere ancora a Israele, devo osservare che, forse, sarebbe stato preferibile che il nonno di Benjamin Netanyahu non gli avesse narrato la storia della Shoah, come sicuramente avrà fatto: a volte, ad ascoltare certi racconti, viene la voglia di fare le stesse cose.

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Ho appena terminato la lettura del volume, curato dall’Accademia della Crusca, dal titolo: Giusto, sbagliato, dipende (Mondadori), e mi sono formato il convincimento che l’istituzione sia transitata – o, quanto meno, stia transitando a grandi passi – dalla funzione originaria di tutela della lingua italiana a quella di scardinamento della stessa. Mi soffermo, in particolare, sull’aspetto che più mi ha colpito, quello, cioè, dell’accoglimento di vocaboli inglesi nella nostra espressione idiomatica. In proposito, l’Accademia ritiene che la loro diffusione in seno alla nostra popolazione ne giustifichi l’ingresso finanche nei vocabolari ed esclude la necessità di scriverli in caratteri corsivi, quando la loro accettazione sia particolarmente ampia. Mi accade, però, d’imbattermi, in un settimanale abbastanza diffuso, in un articolo di Claudio Marazzini, presidente emerito dell’Accademia, il quale, viceversa, raccomanda di contenere al massimo l’uso dei vocaboli inglesi, quando ne esistano d’italiani aventi identico significato, e di abbondare con l’uso del corsivo. Mi è venuto da compiangere l’organo epatico del povero Marazzini, durante le discussioni accademiche sull’argomento.

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L’ex-senatore (di destra) Domenico Gramazio, con riferimento alla presentazione del recente volume di Italo Bocchino, ha dichiarato che nelle presentazioni di libri il pubblico non può fare domande. Ebbene, giunto alla soglia degli ottanta, mi accorgo che, per una vita intera, ho commesso soltanto errori, sia come autore di libri, che come presentatore.

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Il tribunale di Roma ha dichiarato l’illegittimità dell’invio di un gruppo di migranti nella struttura realizzata in Albania, con la motivazione che, nel caso del loro respingimento, il rimpatrio sarebbe dovuto avvenire nel paese di provenienza (Egitto), dichiarato “paese non sicuro”. Immediatamente dopo, il Governo ha approvato un decreto-legge, che dichiara quello Stato “paese sicuro”. In proposito, due considerazioni: a) ma l’Egitto non è lo Stato che, dopo la soppressione di Giulio Regeni, sta ostacolando la celebrazione del processo nei confronti dei responsabili? e questa la chiamiamo “sicurezza”? b) ribadisco un concetto, da me stesso più volte espresso: stiamo vivendo l’età del Basso Impero. Chi non ci crede, vada a leggersi il settimo libro del Codice Teodosiano, che concerne il diritto militare, nel quale, fra le tante, sono inserite tre costituzioni imperiali, emesse nell’arco di due giorni (e due addirittura nella stessa giornata), che si contraddicono a vicenda. Segno, questo, che i provvedimenti normativi – che dovrebbero essere “generali e astratti” – venivano adottati per disciplinare casi singoli. In poche parole, si travestivano da leggi gli atti amministrativi.

 (Ottobre 2024)

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