NEWS

CALCIOMERCATO ESTIVO   di Luigi Rezzuti   Ci siamo! Il calciomercato estivo di serie A 2023-2024 si è ufficialmente chiuso. Ogni club di A ha cercato...
continua...
Sul Covid 19 - Una brutta storia - L’attacco a Paolo Ascierto   di Marisa Pumpo Pica   Avevamo deciso di non parlare del Covid 19 su questa pagina...
continua...
IL TEMPIO DEL SAPERE   di Gilda Rezzuti    Marco frequentava il primo anno di scuola superiore. L’edificio scolastico, dopo il terremoto dell’Ottanta...
continua...
I tram a vapore di Napoli   di Antonio La Gala   Nella seconda metà dell’Ottocento la locomozione a vapore nel settore delle ferrovie maggiori...
continua...
Pittura napoletana fra Otto e Novecento. Tradizionalisti e innovatori   di Antonio La Gala        Fra il 1860 e il 1880 la pittura napoletana accrebbe...
continua...
CONSIGLI PER PREVENIRE L’INFLUENZA STAGIONALE   di Annamaria Riccio    L’influenza stagionale ha importanti conseguenze in primis sulle famiglie con...
continua...
    Gita sul Vesuvio   di Alfredo Imperatore   Il venir meno al vincolo matrimoniale, da parte di uno dei due coniugi, è una delle cause di addebito...
continua...
Pensieri ad alta voce   di Marisa Pumpo Pica   Il giornalismo oggi   Dove eravamo rimasti?   Dunque… Dove eravamo rimasti? Fu la celebre frase,...
continua...
TOTO ALLENATORI   di Luigi Rezzuti   La rivoluzione azzurra è già iniziata con la scelta del nuovo ds Giovanni Manna. Il Napoli ha tre priorità per la...
continua...
Vezzi di artisti   di Antonio La Gala     Qui non intendiamo demitizzare figure di artisti; vogliamo soltanto presentare piccole curiosità che ci...
continua...

Santa Maria del Soccorso all’Arenella, un’antologia d’arte sacra

 

di Antonio La Gala

 

La prima chiesa parrocchiale della collina vomerese, la Chiesa di Santa Maria del Soccorso all’Arenella,  mostra, nella sua configurazione architettonica esterna e interna, e nel suo arredo, una vera e propria antologia dell’arte sacra, devozionale, dal Seicento a oggi.

A metà Seicento l’edificio, fondato a inizio secolo e facente parte di una casa agostiniana allora in fase di chiusura, fu comprato dalla diocesi, e nel 1672 fu eletto a sede della nuova parrocchia dell’altura vomerese, unica dai Camaldoli fino a Santo Stefano, parrocchia istituita a fine Cinquecento,

D’impianto compositivo seicentesco, in origine presentava una sola navata con archi aperti lateralmente. Nella sua configurazione originale ci viene descritta  “con cinque altari e un  piccolo campanile con due campane”. L’arredo decorativo esterno e interno era semplice.

La facciata riprendeva le facciate delle chiese nate dalla Controriforma. Due orologi maiolicati chiudevano in alto i due corpi laterali.

Il Settecento conferì alla chiesa l’attuale architettura della facciata e ne rimaneggiò ampiamente l’interno, dove la volta fu decorata con stucchi (sopravvissuti) e furono introdotti alcuni elementi di decoro e di arredo, oggi conservati frammentariamente: incorniciature di dipinti, decori in alcune cappelle, negli altari, sia quello maggiore - smembrato dopo il cambiamento di posizione negli anni Settanta del Novecento - e sia negli altari di cappelle laterali, nel fonte battesimale collocato nella prima cappella del lato destro della navata, nelle acquasantiere con stemma domenicano.

È ancora settecentesco un dipinto di autore ignoto raffigurante Santa Monica e Sant’Agostino, visibile nella parte superiore della controfacciata d’ingresso.

Nell’Ottocento (sul pavimento, all’ingresso, c’è la data 1893), l’edificio all’interno fu ulteriormente rimaneggiato e poi radicalmente trasformato nel Novecento, quando negli anni Sessanta la navata unica è stata allungata con l’aggiunta di un corpo absidale e le pareti sono state rivestite di marmi.

Negli stessi secoli, dal Seicento ad oggi, per assecondare la devozione privata e il culto di singoli santi, sono sorte, nel vestibolo e ai due lati della navata, piccole cappelle, in cui troviamo, in un casuale accostamento, raffigurazioni di episodi e di santi, oggetto di venerazioni singole e di epoche diverse, un alternarsi di statue lignee, di cartapesta, di fattura recente, di dipinti antichi e moderni.

Fermiamoci davanti ad alcune cappelle.

Attualmente, entrando, nel vestibolo, a destra troviamo un Crocifisso ligneo fra le statue di due santi e, in una nicchia vetrinata, una statua dell’Addolorata; a sinistra una vetrina tripartita contiene una statua di Sant’Anna con la Vergine al centro, Padre Pio a sinistra e Papa Giovanni Paolo II a destra; di fronte a questa vetrina ce n’è un’altra, con il busto di San Gennaro.  

Nelle nicchie e nelle cappelle laterali, sul lato destro entrando, nel primo arco, dietro il fonte battesimale un dipinto settecentesco di Salvatore Mollo raffigura Tobiolo e l’Angelo Raffaele; nella cappella del secondo arco, più grande, vediamo un moderno Cristo benedicente in legno policromo; il terzo arco conserva al centro un San Giuseppe con il Bambino, anch’essi moderni, in legno policromo, e lateralmente due tele che raffigurano la Fuga in Egitto e lo Sposalizio della Vergine.

Sul lato sinistro, il primo arco mostra, dietro un moderna statua della Vergine, una tela firmata Raffaele Spanò 1892 che raffigura la Vergine tra anime purganti.  La cappella del secondo arco, più grande, decorata con elementi settecenteschi, accoglie la statua della Madonna del Soccorso, titolare della chiesa, raffigurata con il Bambino in braccio, ai cui piedi un fanciullo, insidiato da un serpente, chiede soccorso . L’ultimo arco accoglie una statua di Sant’Antonio di Padova.

Il risultato dei vari rimaneggiamenti, soprattutto interni, è che oggi in questa chiesa convivono sovrapposizioni e contaminazioni architettoniche, decorative e figurative, barocche, ottocentesche e moderne, un’antologia che conferisce alla chiesa una particolare atmosfera rievocativa dell’arte sacra e della devozione popolare degli ultimi secoli.

Le immagini che accompagnano questo articolo mostrano l’esterno della chiesa nel primo Novecento e la controfacciata dell’ingresso, con l’organo e il dipinto settecentesco.

(Gennaio 2025)

I Saraceni disegnano la Riviera di Chiaia

 

di Antonio La Gala

 

 

La Riviera di Chiaia è delimitata dal lato verso Mergellina dalla Torretta e dal lato opposto dalla piazza che accoglie la chiesa della Vittoria; nella parte mediana la Riviera è caratterizzata da un palazzo turrito, un quasi castello, palazzo Sirignano. 

I due edifici situati ai due punti estremi - la Torretta da una parte e la chiesa della Vittoria dall’altra – e il quasi castello nella parte mediana, sono sorti sostanzialmente tutti negli stessi anni, prima ancora che sorgessero la Villa Comunale e la Riviera attuale, e tutti e tre ricordano la plurisecolare lotta fra cristiani da una parte e Saraceni dall’altra.

L’antenato di palazzo Sirignano, già presente negli anni Trenta del Cinquecento, si dotò, come scrive Celano, di una “forte torre per sicurtà in caso d’incursioni dei Turchi che [in quei tempi] erano frequenti”. La piccola torre, la Torretta,  sorse nel 1564 per difendere gli abitanti della zona, prevalentemente pescatori, dalle incursioni saracene; la chiesa sorse nel 1572 per festeggiare la vittoria navale di Lepanto dell’anno precedente contro i Turchi.  

Ricostruiamo la successione degli eventi. Nonostante la presenza della torre Sirignano, i Saraceni continuavano a infestare la spiaggia e nel 1563 compirono un’incursione che determinò la costruzione della Torretta. Le cose andarono così: nei pressi dell’allora solitaria spiaggia di Mergellina, dove sorgeva un palazzo dei marchesi di Vasto, un gruppo di pirati, con la complicità di un servo “rinnegato” di casa Vasto, assalì il palazzo per rapire la bella marchesa, che la scampò solo perché si trovava altrove, alle terme di Agnano. I pirati, per non andarsene a mani vuote, “si accontentarono” di rapire 24 persone, pare sempre con la complicità del rinnegato, che essendo di parlata napoletana, trasse in inganno la gente del posto, andando in giro a gridare in dialetto “scappate che stanno venendo i Turchi”. La gente che si rinchiuse nella case si salvò, ma quelli che scappavano furono presi per strada.

Il viceré, che abitava da quelle parti, capitanò subito truppe vicereali che affrontarono, assieme a cittadini inferociti, i pirati, facendoli fuggire, con i prigionieri, sull’isola di Nisida. Dopo patteggiamenti avvenuti sull’isola e pagamento di un riscatto, i prigionieri furono liberati. L’episodio portò alla decisione di costruire in quell’area desolata una torre di avvistamento di tre piani, la Torretta, appunto. Per la verità essa non ebbe mai occasione di svolgere la funzione di difesa per cui era sorta, ma fu adibita ad usi vari. Nel primo Novecento fu adattata a “Casa del Fascio”, per poi essere inglobata in un edificio civile di forme architettoniche non esaltanti.

La Torretta si trova al bivio fra la via che porta a Mergellina e quella che porta a Piedigrotta-Fuorigrotta e si affaccia su uno spazio a lungo utilizzato come capolinea di mezzi di trasporto pubblico, fra i quali, come mostra una ricca iconografia d’epoca, i tram a vapore.

(Dicembre 2024)

La Floridiana durante la seconda guerra mondiale

 

di Antonio La Gala

 

Molte città europee nel corso della seconda guerra mondiale sono state ferite dai bombardamenti, da occupazioni straniere, combattimenti, che dove più e dove meno vi si sono svolti. Chiese, musei, luoghi d'interesse storico ed artistico, opere d'arte, vi sono state ferite, talvolta distrutte,  

 Napoli non è stata da meno. Basti pensare solo a Santa Chiara.

Limitandoci alle vicissitudini occorse al piccolo mondo vomerese, abbiamo ricostruito le vicende vissute dalla Villa Floridiana, un gioiello d'impronta neoclassica e di livello regale, che impreziosisce la collina vomerese dagli inizi dell'Ottocento.

La posizione relativamente decentrata del Vomero rispetto ai teatri dei combattimenti degli anni Quaranta consentirono alla Floridiana una relativa tranquillità, almeno fino agli eventi del settembre 1943 che videro il quartiere al centro delle Quattro Giornate.

Subito dopo l'8 settembre, precisamente il giorno 10, i viali e la palazzina della Floridiana vennero occupati dai Tedeschi e divennero sede di acquartieramenti delle loro truppe. Ricorrono in molte testimonianze sulle Quattro Giornate il ricordo delle sortite dalla Floridiana di soldati e veicoli militari dei Tedeschi per azioni contro gli insorti.

Nei primi giorni di ottobre, gli Alleati, appena entrati, requisirono subito la Villa, assieme, come d’abitudine, alla requisizione per se stessi dei migliori edifici del quartiere.

L'occupazione della Floridiana da parte degli Alleati si protrasse dall'inizio di ottobre 1943 fino al 2 maggio 1945 e nella palazzina residenziale della villa si alternarono alloggiamenti di truppe, uffici e, per lunghi periodi anche ospedali militari; uno di essi da maggio ad ottobre del 1944 ospitava oltre 500 malati mentali.

Racconta Bruno Molajoli, il Sovrintendente alle Gallerie di quel periodo, nel suo libro "Musei napoletani attraverso la guerra", del 1948: "E' difficile immaginare le condizioni nelle quali fu progressivamente ridotto un edificio che all'originaria nitidezza neoclassica aggiungeva il pregio di una particolare cura di manutenzione; per la quale il visitatore era invitato a calzare strane pantofole, per non offuscare la lucentezza dei pavimenti verniciati! Mentre nel parco circostante venivano recise piante antiche e rare, e fatto scempio di prati, di viali, nelle sale della palazzina adorne di stucchi e di dorature, furono installate batterie di docce, di lavandini di cucine e di consequenziali servizi; sulle pareti rivestite di seta furono allineati fili elettrici, canne fumarie e condutture d'ogni specie, che trapassarono pavimenti e soffitti dipinti; e alle finestre furono infisse robuste inferriate".

Questa testimonianza del Molajoli non meraviglia, se si pensa, solo per fare un esempio, con quanta disinvoltura gli Alleati nello stesso periodo polverizzavano l'abbazia di Montecassino, oppure, per restare in ambito vomerese, e sempre a titolo di esempio, come a poche decine di metri dalla Floridiana, nella Villa Palazzolo-Haas, per far entrare i loro automezzi buttavano giù le ampie vetrate tardo liberty che vi si trovavano nell'androne.

Torniamo alla Floridiana: per fortuna le opere d'arte e gli oggetti del museo che si trovavano nella palazzina si sono salvate, perché quelle più pregiate erano state preventivamente trasferite a scopo precauzionale, soprattutto per difenderle dai bombardamenti, in località lontane da Napoli e le altre, ben imballate, erano state spostate nei sotterranei della villa. Queste ultime però si salvarono a stento perché nei primi giorni dell'occupazione alleata il generale americano che si era insediato nell'edificio, volle far controllare, una per una, le ottantadue casse che contenevano le ceramiche, per il sospetto che i Tedeschi vi avessero nascosto esplosivi a effetto ritardato.

La Floridiana era stata oggetto di pericolosa attenzione a fini bellici anche prima di Tedeschi e degli Alleati, in occasione delle iniziative del Regime che aveva sciaguratamente scatenato quella guerra. Dopo aver ridotto la gente alla fame, per mangiare fu lanciata un'iniziativa che la retorica di quegli anni definiva "la battaglia del grano per la Patria"

Nell’estate 1941 il Podestà partenopeo stabiliva “di porre a colture i terreni di proprietà del Comune e destinati a costruzioni ora rinviate”. Fra queste al Vomero erano compresealcune importanti zone dell’Arenella”. Divennero campi di grano le terre di S. Chiara (cioè parte delle zone non costruite attorno a Piazza Medaglie d’Oro), i giardini di Via Ruoppolo. Inoltre, nel programma di trasformazione dei pubblici giardini in orti di guerra”, era previsto anche “di mettere a colture larghi appezzamenti del magnifico Parco della Floridiana”. Come dire friarielli e cavoli in Floridiana.

Oggi, ad oltre 80 anni dai giorni delle occupazioni militari straniere, la Floridiana sta subendo altre ferite nel corso di un'altra invasione, nella quale gli invasori stavolta non sono stranieri, ma indigeni, autoctoni, non "militari", ma, "civili", vocabolo improprio, visto che stiamo parlando di

frequentatori, non propriamente “civili”, che, con ampia libertà d'azione, vandalizzano la Villa, come mostra l'immagine che accompagna questo articolo.

(Novembre 2024)

«RIUNIRE CIÒ CH’È SPARSO».24

Considerazioni su avvenimenti e comportamenti dei giorni nostri

 

di Sergio Zazzera

 

Un dato accertato dalla scienza statistica è quello della superiorità numerica, delle donne rispetto agli uomini; dato che mi sollecita due considerazioni. La prima: tale situazione dev’essere l’evidente conseguenza della vana ricerca del figlio maschio: un amico di mio padre e la moglie si fermarono, dopo la nascita della quinta figlia, quando (finalmente!) si resero conto che il maschio non era “articolo loro”. La seconda: la situazione stessa spiega anche (benché non possa valere a giustificare) l’elevato numero di “corna al femminile”. Troppe, infatti, sono le donne che cercano un uomo, categoria il cui numero è ben più ridotto del loro; e troppo spesso lo trovano pure, benché già impegnato (e, magari, noncurante dell’impegno)..

*   *   *

Il “Pulcinella” di Gaetano Pesce, eretto (absit iniuria verbis) in piazza Municipio, è il segno, secondo me, del fall…imento dell’arte contemporanea.

*   *   *

Nel racconto biblico del combattimento fra Amalek e Israele a Refidim (Es. 17,8-16) si legge che Israele prevaleva quando Mosè teneva le mani alzate, mentre a prevalere era Amalek, quando le abbassava. Ma, allora, non sarebbe il caso che oggi Mosè tenesse un poco giù quelle benedette mani?

*   *   *

Per rimanere ancora a Israele, devo osservare che, forse, sarebbe stato preferibile che il nonno di Benjamin Netanyahu non gli avesse narrato la storia della Shoah, come sicuramente avrà fatto: a volte, ad ascoltare certi racconti, viene la voglia di fare le stesse cose.

*   *   *

Ho appena terminato la lettura del volume, curato dall’Accademia della Crusca, dal titolo: Giusto, sbagliato, dipende (Mondadori), e mi sono formato il convincimento che l’istituzione sia transitata – o, quanto meno, stia transitando a grandi passi – dalla funzione originaria di tutela della lingua italiana a quella di scardinamento della stessa. Mi soffermo, in particolare, sull’aspetto che più mi ha colpito, quello, cioè, dell’accoglimento di vocaboli inglesi nella nostra espressione idiomatica. In proposito, l’Accademia ritiene che la loro diffusione in seno alla nostra popolazione ne giustifichi l’ingresso finanche nei vocabolari ed esclude la necessità di scriverli in caratteri corsivi, quando la loro accettazione sia particolarmente ampia. Mi accade, però, d’imbattermi, in un settimanale abbastanza diffuso, in un articolo di Claudio Marazzini, presidente emerito dell’Accademia, il quale, viceversa, raccomanda di contenere al massimo l’uso dei vocaboli inglesi, quando ne esistano d’italiani aventi identico significato, e di abbondare con l’uso del corsivo. Mi è venuto da compiangere l’organo epatico del povero Marazzini, durante le discussioni accademiche sull’argomento.

*   *   *

L’ex-senatore (di destra) Domenico Gramazio, con riferimento alla presentazione del recente volume di Italo Bocchino, ha dichiarato che nelle presentazioni di libri il pubblico non può fare domande. Ebbene, giunto alla soglia degli ottanta, mi accorgo che, per una vita intera, ho commesso soltanto errori, sia come autore di libri, che come presentatore.

*   *   *

Il tribunale di Roma ha dichiarato l’illegittimità dell’invio di un gruppo di migranti nella struttura realizzata in Albania, con la motivazione che, nel caso del loro respingimento, il rimpatrio sarebbe dovuto avvenire nel paese di provenienza (Egitto), dichiarato “paese non sicuro”. Immediatamente dopo, il Governo ha approvato un decreto-legge, che dichiara quello Stato “paese sicuro”. In proposito, due considerazioni: a) ma l’Egitto non è lo Stato che, dopo la soppressione di Giulio Regeni, sta ostacolando la celebrazione del processo nei confronti dei responsabili? e questa la chiamiamo “sicurezza”? b) ribadisco un concetto, da me stesso più volte espresso: stiamo vivendo l’età del Basso Impero. Chi non ci crede, vada a leggersi il settimo libro del Codice Teodosiano, che concerne il diritto militare, nel quale, fra le tante, sono inserite tre costituzioni imperiali, emesse nell’arco di due giorni (e due addirittura nella stessa giornata), che si contraddicono a vicenda. Segno, questo, che i provvedimenti normativi – che dovrebbero essere “generali e astratti” – venivano adottati per disciplinare casi singoli. In poche parole, si travestivano da leggi gli atti amministrativi.

 (Ottobre 2024)

Il “Parco Marcolini”

 

di Antonio La Gala

 

La vasta area vomerese attorno alle attuali vie Luigia Sanfelice, Toma e Palizzi, in passato veniva denominata Palazzolo, perché appartenente alla villa Ruffo-Palazzolo e denominata anche Parco Marcolini, perché fra fine Ottocento e inizio Novecento l’ingegnere romagnolo Gaetano Marcolini vi edificò molte sue costruzioni.

In quel periodo prevaleva l’idea di realizzare zone residenziali differenziate per fasce sociali, e nel caso di via Palizzi, l’orografia accidentata della zona suggeriva un’edificazione a tornanti che ben si adattava alla sua panoramicità, orientata verso la costruzione di begli edifici di piccole dimensioni, a pianta libera, ben inseriti nel declivio, destinata quindi a una committenza esigente, ad una fascia agiata, tutti fattori che combinati fra loro, e in piena belle époque, portavano alla realizzazione di un rione visto come un’estensione architettonica e anche socio-economica, dei coevi nascenti rione Amedeo e parco Margherita, ai quali peraltro il parco Marcolini, come previsto fin dall’inizio, sarebbe stato materialmente congiunto dalla funicolare di Chiaia.

Marcolini prevedeva di collegare il parco alla città, prolungando via Palizzi direttamente fino al corso Vittorio Emanuele e di convogliare l’utenza pedonale nella stazione intermedia della funicolare di Chiaia.

Previsione, grazie anche alla sua attiva presenza nella politica cittadina locale, risultò rispettata

Il parco fu sviluppato sull’unico percorso che l’attraversava, la sinuosa via Palizzi, sfruttandone le notevoli doti panoramiche.

La lottizzazione di Marcolini vide il sorgere di pregevoli villini liberty “firmati” dai maggiori architetti del settore (fra cui Stanislao Sorrentino, Adolfo Avena, Michele Platania), ma anche di edifici con numerosi piani, vagamente riecheggianti gli stessi modi stilistici, edifici anche allora edificati con disinvoltura rispetto all’equilibrio urbanistico, al paesaggio, tant’è che la parte di via Palizzi costruita in quella fase presenta un casuale alternarsi di edifici di diversa grandezza e impostazione, spesso dissonanti, insomma un’urbanizzazione “anarchica” che a nostro giudizio ben anticipa la iper-vituperata anarchia laurina.

(Luglio 2024)

«RIUNIRE CIÒ CH’È SPARSO».23

Considerazioni su avvenimenti e comportamenti dei giorni nostri

 

di Sergio Zazzera

 

Come sono maleducati gl’italiani! Ce lo dicono in tanti e, a volte, ce lo diciamo anche noi stessi; ma parliamo un momento anche degli “altri”. Aliscafo per le isole; una matura signora anglofona (ma non saprei dirne la provenienza) si siede di fronte a me e piazza i piedi sul sedile libero accanto al mio. Li ha rimossi soltanto dopo la terza (dico: terza!) occhiataccia.

*   *   *

Dai manzoniani polli di Renzo ai “polli di Renzi (e di Calenda)”: si sono beccati a vicenda durante tutta la campagna elettorale e sono rimasti entrambi fuori dal Parlamento Europeo.

*   *   *

Udita in tv: “si era trasferita dal Meridione al Sud”. Ora, è vero che, fino al Sudafrica e alla Terra del Fuoco (al singolare!) esiste sempre un sud, per ogni località, ma questa mi sembra un po’ eccessiva.

*   *   *

Ormai è ufficiale: sbagliava Totò, quando, insieme col suo compare Peppino, credeva che il Colosseo stesse a Milano. No, ora il ministro della Cultura (!) lo ha autorevolmente collocato a Pompei. In realtà, dopo si è scusato, attribuendo la colpa dell’errore ai collaboratori che gli gestiscono i social. Senonché, il ministro, che è laureato in giurisprudenza, dovrebbe conoscere un istituto – giuridico, ma applicabile anche alla vita quotidiana –, che si chiama culpa in eligendo, ovvero: ti sei scelto i collaboratori sbagliati e, dunque, sei responsabile anche dei loro errori.

(Luglio 2024)

«RIUNIRE CIÒ CH’È SPARSO».22

Considerazioni su avvenimenti e comportamenti dei giorni nostri

 

di Sergio Zazzera

 

A sostegno della necessità d’integrazione, anche giuridica, dei migranti si continua a ripetere, da più parti, che anche i Romani concessero la cittadinanza a tutti i popoli sottomessi, citando, quale fonte, la celebre Constitutio Antoniniana, emanata da Antonino Caracalla nel 212 d. C. Ebbene, fermo restando che sarebbe giusto che l’Italia non frapponesse ostacoli pretestuosi alla concessione della cittadinanza agl’immigrati – e, in proposito, esprimo il mio favore (per quel che può valere) per il parametro del ius soli –, tuttavia, osservo che la Costituzione di Caracalla è richiamata a sproposito. Essa, infatti (ma pochi lo sanno), condizionava il riconoscimento della Civitas Romana al fatto che quei popoli si fossero dati un’organizzazione politico-amministrativa modellata su quella di Roma; il che determinò che a beneficiare della concessione fu, in realtà, un numero di sudditi ben più ridotto di quanto non si sia creduto.

*   *   *

Le violenze che si assumono poste in essere dal personale penitenziario dell’istituto minorile “Cesare Beccaria” di Milano nei confronti dei giovani detenuti sollecitano in me, da una parte, il ricordo del mio triennio milanese di mezzo secolo fa ma, dall’altra, la riflessione circa il tradimento del pensiero di Colui, al quale quell’istituto è intitolato. La violenza, infatti, non può mai produrre rieducazione.

*   *   *

Mi è accaduto di leggere, di recente, ciò che scrive lo storico Tommaso di Carpegna Falconieri, a proposito della “storia immediata”, il cui studio – da compiersi mentre i fatti, che ne costituiscono l’oggetto, stanno accadendo – egli ritiene possibile, mediante il ricorso agli stessi criteri metodologici applicabili allo studio della storia “tradizionale”. Poi, però, mi sono domandato come sia attuabile un tal genere d’indagine, a fronte della difficoltà di storicizzare già avvenimenti del secolo scorso; e sia chiaro che non mi riferisco al fascismo, che – al pari di Umberto Eco, Pier Paolo Pasolini e Luciano Canfora, giusto per citare gli esempi più significativi e sempre si parva licet componere magnis – credo che, almeno finora, si stia dimostrando ancora “eterno”.

*   *   *

Negli ultimi giorni c’è stata, a Napoli, contro le feste che si svolgono, di sera, all’aperto, sulle strade pubbliche, davanti a bar e baretti, una sollevazione popolare, sfociata nell’intervento dell’autorità di polizia. In realtà, già subito dopo Pasqua, per lo stesso motivo, era stata disposta la chiusura di un bar di Procida. Ma qui s’impone una domanda: è mai possibile che si rilascino licenze di esercizio a bar che dispongono di un locale al chiuso di un paio di metri per un altro paio? Nemmeno un wc!

*   *   *

La Francia di Emmanuel Macron ha inserito nella propria Costituzione il diritto all’aborto e subito in Italia si sono levate alte le voci di coloro che vorrebbero che altrettanto si facesse nella nostra Costituzione, che ha origine, struttura e ispirazione completamente diverse da quella francese. Ebbene, fermo restando il diritto della donna alla libertà di scelta in materia, in uno Stato laico, trovo inaccettabile la sua costituzionalizzazione, che darebbe la stura a tutta un’altra serie d’interventi analoghi e parimenti inutili. Sarebbe sufficiente, infatti, limitare in misura maggiore la facoltà degli organismi preposti – medici, paramedici, ospedali interi – di ricorrere all’obiezione di coscienza. Soprattutto, poi, quando quegli stessi medici e paramedici eseguono quegl’interventi in forma clandestina e – com’è ovvio – a pagamento.

*   *   *

La “pacificazione” che, all’indomani della proclamazione dei risultati del referendum istituzionale del 1946, si manifestò attraverso l’“assoluzione” di coloro che avevano aderito al fascismo e sfociò nell’“amnistia-Togliatti”, non trovò riscontro nell’atteggiamento della Germania, che, viceversa, escluse dalle cariche pubbliche gli ex-aderenti al nazismo. Letta, però, con gli occhi di oggi, quella “pacificazione” fu finalizzata a coprire i misfatti degl’innumerevoli politici che si riciclarono, che ben possono essere considerati i responsabili delle condizioni, nelle quali versa l’Italia di questo primo scorcio di millennio.

*   *   *

Nella trasmissione Che tempo che fa del 28 aprile su La7, il conduttore Fabio Fazio ha manifestato meraviglia, di fronte al fatto che lo scrittore Antonio Scurati, nel parlare dei rapporti tra fascismo e populismo, abbia fatto riferimento alla «seduzione del fascismo». Evidentemente, a Fazio non è noto il fenomeno psicologico della “sindrome di Stoccolma”.

*   *   *

Quando sento giornalisti della Rai dire “diga foranèa” (!) e le ore “venti e zerodieci” (!!), le braccia non mi cascano, mi precipitano.

 (Maggio 2024)

La diaspora dei titolari

 

di Antonio La Gala

 

 

Personaggi illustri a cui sono intitolati alcuni licei classici, i “titolari” eponimi, spesso li troviamo disseminati in una diaspora cittadina, in punti diversi di Napoli.

Vittorio Emanuele II, dalla scuola di via S. Sebastiano, è stato a cavallo per decenni in piazza Municipio, in un monumento scolpito a puntate da autori diversi, oggi spostato in piazza Bovio. La strada che ricorda il conquistatore sabaudo è ancora in altro luogo: il lungo Corso fra via Salvator Rosa e Mergellina.

L'altro artefice dell'Unità d'Italia, Giuseppe Garibaldi, dalla sede liceale di piazza Carlo III se ne va per il “suo Corso" omonimo, passando davanti al retorico piedistallo eretto al centro della piazza che ricorda il suo nome.

Non trova quiete nemmeno Umberto I, che dividendosi fra il suo "Corso" e la sua "Galleria", va a guardarsi il mare dal piedistallo del monumento erettogli da Achille D’Orsi nel 1910 nell’esedra di via Nazario Sauro.

Non vengono fatti girare solo re e generali, ma anche tranquilli studiosi.

Antonio Genovesi si deve dividere fra la scuola di piazza del Gesù e la piazza che lo ricorda, dalle parti della strada che da via Foria porta a Capodichino, sebbene lui abbia scelto di riposare per l'eternità nella chiesa di Sant’Eframo Nuovo alla "Salute", all'inizio di via Matteo Renato Imbriani.

Dalle parti che conducono a Capodichino gli è quasi vicino di piazza l'altro grande napoletano del Settecento, Giambattista Vico, che dalla Cesarea deve andare nella Villa Comunale per vedersi effigiato in un monumento. Per un nostalgico ricordo della casa natale deve recarsi a S. Biagio dei Librai.

Jacopo Sannazaro oscilla fra l'aria della collina del suo liceo vomerese e l'aria marina di Mergellina, dove trova una "sua" piazza, non distante dalla Chiesa di Santa Maria del Parto dove riposa per l'eternità. Se vuole andare nel “suo” teatro deve allungarsi fino a via Chiaia.

Per non far torto ai soli titolari dei licei classici, vengono fatti girovagare anche i titolari di altre categorie di licei e di scuole.

Giuseppe Mazzini per vedere la “sua” piazza, deve scendere dal “suo” liceo di via Solimèna al Vomero, fino alla Cesarea e poi, per vedersi in un mezzo busto, scendere ancora e arrivare nei giardini di piazza Cavour.

Qui ci siamo fermati solo ai titolari eponimi di licei, ma se volessimo estendere la ricerca alle diaspore degli eponimi di altre categorie, potremmo pubblicare almeno una monografia invece di un breve articolo.

(Maggio 2024) 

«RIUNIRE CIÒ CH’È SPARSO».21

Considerazioni su avvenimenti e comportamenti dei giorni nostri

 

di Sergio Zazzera

 

Nel corso della trasmissione “Piazza pulita” del 21 marzo scorso, su “La7”, Michele Serra ha affermato che, quando l’antiamericanismo diventa filoputinismo, non è più un atteggiamento contro gli U.S.A., ma contro la democrazia. Ciò mi fa scoprire che quello U.S.A. è un… imperialismo democratico: vale a dire, democrazia (!) nei confini dell’Unione e imperialismo fuori della stessa.

*   *   *

Al dottor Henry Jekyll – personaggio nato dalla penna di Robert Louis Stevenson – sfugge di mano, progressivamente, il controllo sulla sua trasformazione nel proprio alter ego, mr. Edward Hyde, autentica incarnazione del male.

Ai “ragazzi di via Panisperna” sfugge di mano, a partire da un certo momento, il controllo dell’atomo, che essi avevano scoperto, al punto che Robert Oppenheimer coglie l’occasione per applicare la scoperta all’armamento nucleare.

Sembrerebbe avvicinarsi il turno dell’AI – l’Intelligenza artificiale –, che, stando a quanto periodicamente si legge e si sente dire, potrebb’essere adoperata, fra l’altro, anche per realizzare “cloni digitali” di persone realmente esistenti. Cosa, questa, che avrebbe perfino semplificato le cose a Gianni Schicchi, ma che creerà anche seri problemi agli “uomini di buona volontà”.

*   *   *

Torno, ancora una volta, sulla questione israelo-palestinese, per dire che non condivido l’atteggiamento di quanti stigmatizzano il comportamento, tanto degl’israeliani, quanto dei palestinesi. La mia “precedente esistenza” di magistrato, infatti, mi ha insegnato, fra l’altro, il principio di personalità della responsabilità – penale, ma ritengo che lo si possa estendere anche a quella morale e a quella politica, avuto riguardo alla loro contiguità –. Il che non mi consente di considerare il singolo individuo israeliano o palestinese responsabile delle azioni – quasi sempre criminose, più che semplicemente belliche – volute, rispettivamente, da Hamas o da Netanyahu. Azioni che, con molta probabilità, neanch’egli approva.

*   *   *

L’eterogenesi dei fini ha caratterizzato un’infinità di situazioni, dalla nascita della Repubblica a oggi. E faccio un salto all’indietro, fino a quel momento iniziale: credo che sia legittimo ipotizzare che i potenziali vincitori, non tanto del referendum, quanto dell’elezione dei deputati della Costituente, ben prevedendo per chi avrebbe votato la maggioranza delle donne, conferirono loro, per la prima volta, l’elettorato attivo.

*   *   *

Leggo sul numero di Famiglia cristiana del 21 aprile che la Chiesa, sostanzialmente, “tollera” la cremazione dei cadaveri, più che ammetterla, e rimango stupito, per le ragioni che mi accingo a esporre. L’Onnipotenza divina (Catechismo di S. Giovanni Paolo II. Compendio, § 50), in quanto tale – vale a dire, illimitata –, ben potrà risuscitare, il Giorno del Giudizio, anche i corpi cremati. Altrimenti, che cosa ne sarà degl’innumerevoli corpi dispersi, a seguito di calamità naturali o di eventi bellici? Ma, forse (o senza forse), da questa maniera di affrontare i problemi sono dipese le condanne (penso a Galileo e a Tommaso Campanella) e perfino i roghi (penso a Giovanna d’Arco e a Giordano Bruno); anzi, secondo la concezione “tollerante”, soprattutto la resurrezione dei corpi di queste ultime due figure, proprio perché “cremati”, dovrebbe incontrare qualche difficoltà di attuazione. Ma tutto ciò può servire, se non altro, a comprendere, da una parte, le ragioni della durata della riabilitazione di Galileo e, dall’altra, il maggiore ammontare dei diritti d’immissione nei loculi, previsti per le urne cinerarie, rispetto a quelli determinati per i resti mortali.

(Aprile 2024)

La più antica religiosità dei Vomeresi

 

di Antonio La Gala

 

Qual era la religiosità dei primi abitanti delle alture vomeresi?

Non lo sappiamo, perché storicamente riusciamo a trovare tracce della vita dei collinari solo nei tempi maturi dell’epoca dei Romani, in base a pochi e piccoli ritrovamenti sparsi da Antignano a via Belvedere.

Per epoche anteriori possiamo fare soltanto delle congetture. Nei secoli più lontani gli abitanti saranno stati gruppetti di pochi individui, sparpagliati sulle colline, dove c’era l’essenziale per vivere, e per la scarsità del loro numero (qualche centinaio di persone in tutto), non hanno lasciato particolari testimonianze.

Sappiamo che Greci e Romani avevano inclusa la collina nel loro immaginario sacro: i primi marinai greci che si addentrarono nel golfo dedicarono la boscosa altura dei Camaldoli a Hera (la dea dei boschi) e l’altura di San Martino a Zeus, una specie di Olimpo; i Romani la collina la dedicarono a Giano.

Sono rimaste tracce di templi e manufatti sacri pagani? Noi non ne abbiamo notizia. Forse se ne potrebbe intravedere una non sicura traccia in una malandata (e vilipesa) pietra incastrata nella facciata della chiesa di San Gennariello (la “Piccola Pompei”), che secondo alcuni sarebbe un possibile materiale di ricavo di un preesistente tempio pagano, pietra di cui parleremo più avanti e presentata nell’immagine che accompagna questo articolo, risalente al 2003.

È ragionevole immaginare che in epoca romana, in qualcuna delle grosse entità rurali autosufficienti, le masserie, i “Praedia”, che i  Romani avevano insediato al di fuori del centro abitato, e quindi anche sulle alture vomeresi, avremmo visto qualche antenata delle nostre edicole votive, i piccoli sacrari che i Romani erigevano all’ingresso o all’interno delle abitazioni, in cui veneravano i Lari, divinità dispensatrici di grazie alle famiglie, e i Penati, divinità ereditarie che ogni famiglia si trasmetteva. Oppure avremmo visto, in piccoli sacrari situati agli incroci delle strade, i Lari “di territorio”, anime di antenati defunti comuni agli abitanti di un luogo, che proteggevano quel luogo. 

Le tracce più antiche della religiosità collinare finora rinvenute sono cristiane: alcune tombe con simboli cristiani risalenti al IV secolo, emerse nel corso dei lavori di edificazione del Nuovo Rione Vomero eseguiti a fine Ottocento.

Più precisamente, nel 1898, nel corso di lavori nella Villa Bellettieri, che sorgeva in area piazza degli Artisti, venne alla luce una tomba in muratura e tegoli piani, in uno dei quali si leggeva, a profondo graffito, il monogramma di Cristo, del tipo chiamato costantiniano, una X intrecciata con erre greca (P), iniziali del nome di Cristo scritto in greco, simbolo molto diffuso nel IV sec. d.C., ritrovamento che sembra localizzarvi una piccola necropoli cristiana, forse risalente addirittura al III sec.

L’archeologia, le tradizioni e le leggende  sorte nei primi tempi del cristianesimo ci dicono che a Napoli il cristianesimo ebbe le sue prime manifestazioni anche per iniziativa di persone provenienti da Pozzuoli, alcune convertite direttamente da San Paolo Apostolo, sbarcato a Pozzuoli si ritiene nel 60 d. C. o poco dopo.

Pozzuoli riveste molta importanza per ricostruire la religiosità collinare perché il suo collegamento viario con Napoli attraversando il Vomero, vi porterà il nascente cristianesimo, e soprattutto il culto, tuttora molto vivo, di San Gennaro, come vedremo in un altro articolo.

(Aprile 2024)

Parlanno ‘e poesia

Vincenzo De Bernardo

 

di Romano Rizzo

 

Quando frequentavo con assiduità nei vari salotti gli incontri periodici di poesia ho avuto modo di conoscere tanti amici che amavano  tutti la poesia ma in modo parecchio diverso. C’era chi conosceva solo le sue composizioni e moriva dalla voglia di declamarle con impegno a tutti  per riceverne sempre i consueti ma molto spesso non sinceri applausi degli astanti. Molti, fra i Poeti, terminata la loro esibizione  trovavano il modo per eclissarsi alla chetichella oppure iniziavano un chiacchiericcio interminabile con chi gli era seduto accanto. Tra i tanti  c’era anche chi dichiarava con malcelato orgoglio  di non aver mai letto e di non avere alcuna intenzione di leggere le opere dei grandi classici per paura che la spontaneità assoluta delle sue  composizioni potesse esserne in qualche modo  influenzata. La maggiore e miglior parte dei convenuti, per fortuna, era formata da persone che, avendone approfondito lo studio,  ne  riprendevano la forma più che corretta e la  forza espressiva, ovviamente, come meglio potevano.

Con questi ci scambiavamo spesso sinceri e calorosi complimenti  ogni volta che ci incontravamo e di loro conservo un vivo ricordo. Vorrei avere il tempo necessario, anzi, ma so già che non sarà possibile, di presentare un domani alcune opere, a mio parere più significative, di ognuno di loro. Oggi, però, ho in animo di farvi  conoscere uno strano personaggio che catturò subito la mia attenzione e che, in realtà, non finisce mai di stupirmi: un Maresciallo dell’Aviazione in pensione che  mi colpì subito per la varietà dei temi, trattati sempre con  grande forza espressiva e con  sincera spontaneità, Vincenzo De Bernardo, persona molto cordiale, semplice, tranquilla e modesta, con cui entrai in grande  sintonia. Alcune delle sue inattese, ma  molto spontanee risposte, le ho impresse nella mente e voglio riferirvele perché serviranno di certo a farvi meglio comprendere la sua personalità e la sua grande bonomia. Una volta in cui, per errore, riportai i suoi dati anagrafici con il depiccolo mi corresse  all’improvviso dicendo così: “ Romà, ma comme hê fatto a te sbaglià…t’aggio ditto tanti vvote ca nun tengo niente ‘a spartere io cu ‘a nubiltà e  ca me n’avanto !!”

Poiché anche io son solito fare uso spesso di espressioni simili, finì che  ci abbracciammo e da allora  in poi ci accomodammo sempre vicini e  vicendevolmente ci complimentammo spesso, lo confesso.

 Non posso tacere che a quell’epoca anche io ero molto prolifico nel comporre ma mai tanto da poter competere in una gara con lui.

Portavamo entrambi dei foglietti con le nostre ultime composizioni,ed io, più di una volta, lo esortai a raccogliere in un volume una accurata selezione delle poesie che gli erano più care e che gli piacevano di più .Ricordo  bene che lui sempre si schermì e, per convincermi a chiudere la questione una volta  per tutte, mi disse convinto: “No, Romà, nun so’ nu poeta comm’a te ca parle d’’a lunae d’’e stelle e faje fremmere ‘o core, io… nun so’ poeta, so’ nu contastorie. Scrivo ‘e ccose ‘e tutte ‘e juorne cu parole semplice ca ‘a gente capisce senza se sfurzà. I’ nun cerco e nun m’aspetto niente, ‘e scrivo surtanto pecchè me piace d’’o fa’, me vene facile.”

Comprenderete tutti che un tipo così non si incontra facilmente, ma io ero  e sono più che convinto che stava commettendo un imperdonabile errore e che faceva un gran torto a se stesso non evidenziando e non mettendo nella giusta luce gli innegabili pregi che ritrovavamo in tutte le sue composizioni: la freschezza e varietà della ispirazione, l’appropriato uso di espressioni molto significative, la grande musicalità del verso, spesso condita da quel pizzico di ironia che è propria di chi è un vero napoletano. Sarei davvero lieto se le poche poesie che ho scelto riuscissero a dare a Voi un gustoso, vario e gradevole saggio delle sue indubbie e non comuni qualità che spero possiate apprezzare, rafforzando il mio convincimento di aver reso alla Sua opera un buon servizio!

*   *   *

 

‘A primmavera

 

di Vincenzo De Bernardo

**

E’ venuta ‘a primmavera,
siente, già, a primma matina,
nu profumo ‘e ciclamino,
int’’a l’aria sta a saglì.

**

Int’’o vaso, so’ spuntate,
di basilico, ddoje foglie:
-“Miette l’acqua - fa mia moglie -
poco, nun ‘e nfracetà!”-

**

‘E rimpetto, ‘o primmo piano,
‘onna Assunta stenne ‘e panni,
‘o marito, don Giuvanni,
se surzea ‘o ppoco ‘e cafè!

**

Int’’o vico, già, a primm’ora,
è passato l’arrotino,
for’’o vascio, ‘onna Titina,
‘e pezzelle sta a mpastà.

**

Ogni tanto da’ na voce,
allucca: “ Uè, so’ pronte ‘e ppizze -
da’ na sistemata ‘e zizze -
neh, chi ‘e vò, io stongo ccà!”

**

‘On Giovanni, puveriello,
sente e se fa tutto russo,
‘a mugliera storce ‘o musso:
-“Trase dinto primma ‘e mò!”-

 

 

*   *   *

 

Poeta

 

di Vincenzo De Bernardo.

 

 

Quando leggo int’a n’intestazione,

‘o nomme e po’, virgolettato “artista”,

me volle ‘o sango, me s’abbaglia ‘a vista

e nun riesco a me capacità!

.

‘A stessa cosa vale per “poeta”,

chi scrive o che si nutre di poesia…,

ma io ca scrivo ‘e ccose ‘e miez’’a via…,

no, nun ce ‘a faccio a me catalogà!

.

Per cui, mi reputo un “raccontastorie”,

poeta è na parola troppo grossa,

ca quando metto ‘o pere, dint’’a fossa,

nun voglio ca me stanno a criticà!

.

Pecchè, annanze, tutte quante a dicere:

è bravo, la sua poesia è un’arte…,

quando si’ muorto e stai all’ata parte:

poetà? Quando mai… bla, bla, bla!

.

Scrivere, pe’ mme, è nu bisogno,

me nasce mpietto e, po’, voglio o nun voglio,

scenne int’’o braccio, scorre ncopp’’o foglio…,

nun me l’aggio saputo, mai, spiegà!

.

E io ca, ormai, me saccio e me cunosco,

‘o passo ‘o faccio a misura ‘e pere,

racconto storie tristi, a volte, allere…,

ve piacene? Ve stongo a ringrazià !

 

*   *   *

 

Riunione ‘e condominio

 

di Vincenzo De Bernardo

**

So’ stato a na riunione ‘e condominio
ca ce mancavo, ormai, ‘a 3-4 anni,
mò, m’addimanno: ll’ate comme fanno...
e, ancora, ma chi me l’ha fatto fa !?

.

Ma chiste teneno ‘o stommaco ‘e fierro,
gente ca se pigliava, quasi, ‘e pietto,
ce steve chi vutava pe’ dispietto,
neganno ll’evidenza... e che vuò fa!

.

L’albero perde ‘e ffoglie? E’ nu problema!
‘A colpa è ‘a soja o è d’’o ciardeniere?
E ce sta chillu cane ca, tutt’’e ssere,
abbaia e  nun ‘o putimmo suppurtà !

.

...e ‘o canciello  sta apierto oppure nchiuso...
e ‘a caldaia s’hadda stutà a ll’otto o ‘e  nnove,
ll’ombrello addà sta apierto, quando chiove...?,
Ma ‘o fanno apposta o so’ proprio accussì?

.

Po’ diceno ca ‘e pazze stanno ‘a dinto?
Ma quanno maje, ‘e pazze stanno ‘a fore...,
‘O dico  a vuje cu ‘a mano ncopp’’o core
ve giuro ca i’ nun ce ghiarraggio cchiù!

(Aprile 2024)

BilerChildrenLeg og SpilAutobranchen