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Chi vincerà lo scudetto? di Luigi Rezzuti A nove giornate dalla fine del campionato, quale domanda inizia a farsi largo tra i tifosi? Chi vincerà lo...
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"Zia Natascia"   Riprende la stagione eventistica con "Zia Natascia" in una suggestiva location: al Chiostro San Domenico Maggiore, sabato 22 maggio...
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CUIUS REGIO… (ovvero: meno male che c’è un Papa straniero)   di Sergio Zazzera   Antefatto n. 1: Nell’Enciclica Pacem in terris, il Pontefice Giovanni...
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DE STEFANO IN MOSTRA AL MADRE   Giovedì 12 alle 17,30 al Museo Madre si inaugura una mostra di disegni inediti, realizzati da Armando De Stefano già...
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I simboli del Natale: Albero e Presepe   di Luigi Rezzuti   Le feste natalizie si avvicinano e, con esse, la necessità di scegliere un albero di...
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Convegno a Sala Consilina sugli usi civici
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E’ morto Diego Armando Maradona   a cura di Luigi Rezzuti   È morto Diego Armando Maradona, leggenda assoluta del calcio mondiale. La notizia è...
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Weekend a Montecarlo

di Luigi Rezzuti

 

Potevamo raggiunge Montecarlo facilmente in auto, ma, per un arrivo in grande stile, abbiamo pensato ad uno sbarco via mare, attraccando al porto di Fontvieille, un affascinante porto turistico, situato ai piedi della Rocca del Principato. Volendo strafare al massimo per un weekend a Monaco, potevamo optare anche per un arrivo in elicottero. Alla fine abbiamo deciso di raggiungere Monaco in treno. La visita di Monaco è cominciata con la scoperta dei suoi luoghi emblematici. Prima tappa nel quartiere di Montecarlo, per ammirare la superba Place du Casino e la sua mitica casa da gioco. Abbiamo girato intorno al Casino de Montecarlo per ammirare lo stile Belle Époque, poi siamo scesi verso il porto Hercules. Ci siamo fermati per sognare ad occhi aperti davanti agli yacht ormeggiati al molo e per contemplare, un po' più lontano, le navi da crociera. Durante il nostro weekend a Monaco, non potevamo perdere la visita del Museo oceanografico. Subito dopo siamo andati ad ammirare le mostre d’arte contemporanee del Nouveau Musée national de Monaco. Dopo pranzo siamo andati a visitare il Giardino esotico per ammirare la sua straordinaria collezione di piante esotiche. Nel cuore del parco, il roseto Principessa Grace di Monaco è un’autentica oasi di pace, dove sbocciano tantissime varietà di rose. Un’altra passeggiata e siamo giunti nella piazza del Palazzo del Principe, polo del potere monegasco e residenza della famiglia principesca. Visitare Monaco non avrà lo stesso sapore se non gusterete l’atmosfera magica della sua vita notturna. Il Blue Gin, situato nella curva del Gran Premio di Formula 1 di Monaco, è un luogo notoper le sue feste notturne. In serata, siamo andati a cena nel mitico ristorante della città, adiacente all’Hotel Hermitage, Montecarlo, abbiamo degustato, in tutta tranquillità, insalate, burger e astice. Nel nostro weekend a Monaco abbiamo trovato anche il tempo per andare nel Carré d’Or del Principato, vicino alla Place de Casino, dove si estende la Promenade Montecarlo Shopping. E quinon potevamo fare altro che dedicarci a qualche acquisto. Purtroppo, il nostro weekend è terminato, ma abbiamo vissuto un’esperienza indimenticabile.

Novembre 2025

Vacanza a Ponza

di Luigi Rezzuti

 

Finalmente erano arrivate le agognate vacanze. Il caldo, quell’estate, era stato particolarmente opprimente, la cappa di calore umido aveva avvolto la città. La nebbia di vapore che si levava dalle acque del mare, al tramonto trasformavano ogni giorno quel sonnolento rito serale in uno sfumare di tinte color pastello. Dal grigio celeste del pomeriggio al rosso pallido degli ultimi raggi del crepuscolo. La città era sembrata diversa quell’anno, dal clima torrido più consono ad una città tropicale che ad una tranquilla metropoli mediterranea. Avevo lavorato tanto, fino agli ultimi giorni di luglio. Mi piaceva il lavoro che facevo. Anche se mi stancava parecchio, mi dava la possibilità di conoscere molte persone. Quell’estate avevo organizzato, con alcuni amici, di andare a Ponza per una settimana. Insieme a questi amici avevamo affittato una bella barca con sei posti letto ed uno skipper. Come si dice se lo skipper è una femmina? Lo skipper o la skipper? Tutti amavano il mare, ma nessuno era in grado di condurre una barca, avevamo quindi noleggiato una gran bella barca con il supporto di un timoniere. A tutti piaceva la vita da barca e non era la prima volta che facevamo la vacanza insieme. Una volta l’anno usavamo fare delle belle crociere nel Mediterraneo, escursioni di 5/6 giorni, fermandoci la sera nei porti. A volte ci spingevamo fino all’isola d’Elba, oppure fino in Sardegna o in Corsica. Questi miei amici erano benestanti, non avevano grandi impegni di lavoro, per cui erano liberi di navigare tutto l’anno. Io, invece, lavoravo molto e cercavo di ritagliarmi qualche piccolo angolo di tranquillità insieme a loro, non appena potevo. La crociera mi rilassava molto, la compagnia degli amici e la bellezza dei mari che attraversavamo, insieme alla lettura di un buon libro, mi rendevano la vacanza molto rilassante. Arrivai ad Anzio, dopo un estenuante viaggio in treno. Il caldo era opprimente. La brezza che arrivava dal mare riusciva soltanto a mitigarlo un pochino. L’appuntamento con i miei amici era stato fissato alle quattro del pomeriggio al molo di partenza del traghetto per Ponza, quando, all’ultimo minuto, mi arrivò una telefonata: il loro aereo era rimasto bloccato da un guasto, la riparazione avrebbe richiesto un po' di tempo e non sarebbero riusciti a raggiungermi in tempo. Che cosa potevo fare tutta la serata da solo a Ponza? E poi mica potevo dormire sulla barca solo con lo (la) skipper. Rimasi un po' indeciso sul da farsi, ma il traghetto stava per partire e io non avevo nessun albergo prenotato ad Anzio. Era la fine di luglio, sicuramente tutte le camere d’albergo sarebbero state occupate, per cui decisi di imbarcarmi. Arrivai al porto di Ponza stravolto dal caldo e dalla fatica, accompagnato da una strana inquietudine per via della situazione che si sarebbe prospettata. Trovai subito la barca e vidi a bordo lo (la) skipper. Era una donna di circa trent’anni, alta, capelli scuri e corti, occhi castani. Il naso era un po' grosso ma in armonia con il resto del viso, che non era affatto male. Le sue mani erano affusolate, ma la loro stretta era forte e sicura. Dimostrava meno anni di quanti ne avesse veramente, ma la sua vera età la scoprii solo dopo, quando diventammo amici… Si chiamava Giovanna, si era laureata in ingegneria nautica o qualcosa del genere e, dopo tanti anni passati in giro per il mondo, aveva deciso di cambiare vita e si era trasferita a Ponza per lavorare come skipper su barche da diporto. Mi sembrava una donna navigata, tanto che la preoccupazione di dover dormire con lei, a bordo sulla barca per una notte, svani senza che nemmeno me ne accorgessi. Mi accolse con un sorriso cordiale che mi aiutò a sciogliermi dall’imbarazzo. Le spiegai che gli amici erano rimasti bloccati e avevano dovuto ritardare la partenza e, quindi, sarebbero arrivati soltanto la mattina seguente, anzi nel pomeriggio. Giovanna rispose che non c’era alcun problema. Aveva preparato la barca per fare una piccola uscita serale, al fine di farmi ammirare Ponza illuminata dalle luci del tramonto. Poi, forse per non mettermi in imbarazzo, mi disse che avrebbe cenato fuori e che sarebbe tornata solo a tarda notte. Lei aveva un bel viso, un sorriso affascinante ed intelligente, aveva un bel corpo, begli occhi e gambe lunghe, io ero un bel ragazzo, facevo un po' di attività fisica per tenermi in forma, quando avevo tempo. Prima di uscire dal porto mi offrì un calice di vino bianco che mi pizzicò il naso facendomi sorridere. Ero contento. E pensai che non c’era nulla di male a godermi la serata in barca senza gli amici. Iniziai a leggere un libro (una raccolta di racconti francesi di fine ‘800). Era una collana di storie ambientate nella Parigi libertina dell’epoca. Giovanna era occupata a governare la barca e a preparare un secondo aperitivo. Ero tranquillo e libero di lanciarle qualche occhiata. La calma e la sicurezza di quella giovane donna mi attiravano. Non era una che parlava tanto, ma faceva ugualmente sentire la sua presenza con il suo portamento e la sua professionalità. Finalmente potevo godere del romanticismo di quella serata estiva, nel cuore del Mediterraneo, che mi liberava da tutte le preoccupazioni che quotidianamente mi assillavano quando ero al lavoro. Appena fuori dal porto, capii perché Ulisse fosse rimasto ammaliato dalla bellezza dell’isola e dalle sapienti arti magiche della Dea Circe. Il sole al tramonto illuminava la bianca scogliera, fra cui aveva nuotato Ulisse, e le case dei pescatori. La brezza lambiva la barca e gonfiava il fiocco e la randa. Giovanna non aveva issato lo spinnaker, sicuramente voleva procedere con calma per lasciarmi godere appieno di quella bellezza. Che spettacolo! - pensai - peccato per i miei amici! Prima che calasse l’oscurità, rientrammo a Ponza. Era ormai buio, uscii a fare quattro passi, trovai un ristorantino e mangiai spaghetti ai frutti di mare e poi, visto che il porto la sera era deserto, decisi di tornare sulla barca. Andai in cuccetta, feci una doccia e ripresi a leggere sorseggiando un calice di vino bianco, fresco di frigo. Chiusi la porta della cuccetta e mi tolsi l’accappatoio. Il caldo e il vino mi fecero presto cadere in uno stato di lieve sonnolenza. Ero disteso sul lettino con la calda luce di una lampada che illuminava il libro. Il calore soffuso della lampada, la mia pelle senza abbronzatura, pallida come la luna, risaltava ancora di più. Finii l’ultimo sorso di vino, il vetro del bicchiere ancora freddo lo misi a contatto con la pelle. Non era freddissimo, ma il fresco del contatto mi diede una piacevole sensazione. Posai il bicchiere e mi alzai per andare a cercare la vaschetta del ghiaccio nel frigorifero. Non mi vestii perché tanto sapevo che Giovanna era fuori e io ero da solo sulla barca. Fortunatamente ne trovai due, le presi e corsi a letto impaziente di passarmele sulla pelle. il vino ed il caldo avevano scatenato in me una strana agitazione... Tornato in cabina dimenticai di chiudere la porta a chiave, anzi, mi resi conto più tardi che l’avevo lasciata socchiusa. Mi distesi sul letto a sognare, non pensavo più a leggere il libro, ma solo alle dolci sensazioni che la fantasia mi lasciava prefigurare. Avevo una sete terribile, andai in cambusa a cercare una bottiglia di acqua dal frigorifero, ma non pensai di rivestirmi, visto che ero solo. Indugiai qualche minuto in cambusa quando mi accorsi che qualcuno era li e mi stava guardando. Mi voltai di scatto e trasalii, Giovanna era in un angolo, un po' in ombra che mi osservava con i suoi grandi occhi scuri. Ci guardammo, ci sorridemmo e la invitai a bere un calice di vino fresco, appena preso dal frigo. Era ormai notte fonda, Giovanna mi raccontò cosa aveva mangiato quella sera. Chiacchierammo per un po', ci raccontammo di noi. Parola dopo parola, i nostri discorsi caddero sulla nostra vita sentimentale e, parola dopo parola, ci ritrovammo a letto... Fu una indimenticabile notte d’estate e ringrazio, ancora oggi, la compagnia aerea per il ritardo della partenza dei miei amici. Nel tardo pomeriggio giunsero i miei compagni, ma non furono loro a farmi godere della indimenticabile vacanza. Ci aveva pensato lo (la) skipper Giovanna.

Una traversata burrascosa

di Luigi Rezzuti

 

 

Come tutti gli anni, d’estate, partivamo per Ischia per trascorrere le vacanze nei mesi di luglio ed agosto. Purtroppo, per motivi di lavoro, io non potevo restare con la mia famiglia al mare e quindi facevo il pendolare tra Ischia e Napoli. Un mattino del mese di luglio, verso le sette e trenta, andai al porto e mi imbarcai su un aliscafo. Dal porto vidi, in lontananza, che il mare era abbastanza agitato ma non mi preoccupai più di tanto, pensando che la traversata sarebbe durata soltanto un’oretta. Appena fuori dal porto, il vento ululava come un lupo affamato, le onde si infrangevano contro lo scafo con la forza di un gigante e l’aliscafo danzava sulla cresta di onde che sembravano montagne. Ero in mezzo al mare, la terra solo in lontananza. La pioggia fitta frustava il viso rendendo difficile anche solo respirare. L’odore del mare in tempesta, un misto di salsedine e terrore, mi entrava nelle narici. L’aliscafo, spinto dal vento impetuoso, sembrava impazzito. Ogni ondata era una sfida, un colpo inferto da un nemico invisibile. Il comandante, un uomo di mare, temprato da mille temeste, lottava con tutte le sue forze per mantenere la rotta. Le sue mani forti, stringevano il timone con una determinazione che mi dava coraggio. Ricordo ancora il terrore negli occhi dei passeggeri e il silenzio, rotto solo dal suono assordante del vento e del mare. Ricordo la paura, che mi attanagliava lo stomaco, la sensazione di impotenza di fronte alla grandezza della natura, eppure, in quel caos, c’era anche una strana bellezza, un senso di rispetto per la forza incontenibile del mare. Dopo circa un’ora, ma sembrarono secoli, finalmente il vento cominciò a placarsi, le onde ad abbassarsi. La pioggia cessò, lasciando spazio a un cielo plumbeo. L’aliscafo, stremato ma vittorioso, continuava il suo viaggio, ora più lento e più sicuro. Quando, finalmente, avvistammo il porto, un’esplosione di gioia scosse i passeggeri. Avevamo superato la tempesta, eravamo vivi. Quella traversata burrascosa fu un’esperienza che non dimenticherò mai, un ricordo indelebile di coraggio, paura e forza inarrestabile della natura.

Luglio 2025

UNA VACANZA SULLA NEVE

 

di Luigi Rezzuti

 

Non so se avete visto il film “Fantozzi” quando il ragionier Ugo intraprende un viaggio in automobile con la signorina Silvana e Calboni per raggiungere la tanto agognata settimana bianca, e in cui Fantozzi inizia a blaterare sulle sue   competenze   sciistiche. Inizia spavaldo, sostenendo di essere stato azzurro di sci e, incalzato dalle richieste della signorina Silvana che non riusciva a sentirlo per via del vento, finisce poi per dire: “Sto dicendo che saranno trenta, trentacinque anni che non vedo un paio di sci!”. Ecco, io e mia moglie siamo proprio ai livelli di Fantozzi e, con la consapevolezza di essere scarsi negli sport invernali, ci accingiamo a partire per la settimana bianca. Il giorno prima della partenza per me è sempre un incubo. Mia moglie che infila in valigia tutto l’armadio, tra cui vestiti e scarpe, e io che, di nascosto, svuoto il suo bagaglio. Si tratta di una settimana bianca e non di una settimana mondana a New York.

1° Giorno – Partiamo al mattino da Napoli e raggiungiamo il nostro villaggio in montagna sulla neve: caratteristico, ordinato, pulito e con le tipiche casette in legno, proprio come piace a noi. Di neve ce n’è tantissima e le strade sono pulitissime. Entriamo nella reception del villaggio e una ragazza ci consegna le chiavi della nostra casetta, un nuovissimo chalet, tutto in legno. Un meraviglioso appartamentino dotato di tutti i confort: una cucina, un salottino, un bagno, una camera da letto, un terrazzo e un giardinetto in cui è  posta una sauna privata. Il profumo del legno che aleggia nello chalet e la neve copiosa che lo circonda ci fa dimenticare di colpo il caos di Napoli, a cui siamo ormai abituati, e veniamo rapiti immediatamente dalla calma del luogo. La posizione del villaggio è strategica, si trova proprio di fronte alla cabinovia, che porta alle piste da sci, e a due passi dalla scuola di sci. Ci riposiamo un pochino e alle 19 usciamo per andare a cena in un ristorante tipico della zona, dove gustiamo una cena a base di carne. Dopo questa ottima cena torniamo al villaggio. Come primo approccio con la neve, non ci possiamo proprio lamentare.

2° Giorno – Ci svegliamo alle sette, facciamo colazione nel nostro chalet e, alle nove, andiamo a piedi alla scuola di sci, dove ci aspetta l’istruttore che, per un paio di ore, ci insegna a mantenerci in piedi sugli sci. Tra scivoloni e risate, arriva l’ora di pranzo. Andiamo a piedi al ristorante dove  gustiamo un delizioso piatto di “Spatzie” al formaggio. Alle 14,30 ci viene a prendere la guida, una simpatica ragazza che ci porta a ciaspolare tra i boschi. indossiamo le ciaspole, le moderne racchette da neve e, per un’intera mattinata,  godiamo al meglio la natura tra le interessantissime spiegazioni della guida con tanto di pausa per sorseggiare thé, mangiucchiare biscotti, preparati dalla nostra guida.

Alle 12,30 rientriamo nello chalet, ci infiliamo sotto una calda doccia e poi ci prepariamo per andare a pranzo in un ristorante che si trova in pieno centro. Una bella sala, luminosa e spaziosa, un menù con proposte tipiche e qualche rivisitazione in chiave moderna, il sorriso delle cameriere che ci fanno gustare dei ravioli e una bistecca di cervo, con contorno di verdure e patate come piatto principale. Io concludo il pranzo con un tortino al cioccolato, mentre mia moglie rimane a guardarmi, basita. Facciamo rientro nello chalet sazi e felici,  mi stendo sul letto per una pennichella, mia moglie, invece, accende il televisore per vedere il telegiornale su Rai 1. Nel    pomeriggio  usciamo  per una passeggiata, poi ci sediamo al  bar  per bere una bevanda calda e, in serata, prima di fare rientro nella nostra accogliente casetta in legno, andiamo a cena.

3° Giorno – Sveglia alle 7,30, colazione in chalet e alle 9,00 prendiamo la cabinovia per raggiungere la cima della montagna. La giornata è   meravigliosa, il cielo è limpido, il sole tiepido e la vista dall’alto è qualcosa di eccezionale. Fittiamo due slittini e ci lanciamo in un paio di discese, fino a quando non inizio ad avere allucinazioni culinarie. Sento una voce “gaudiosa” che mi chiama: “Luigi sono il tuo piatto preferito, vieni a mangiare”. Lasciamo gli slittini ed entriamo nel solito ristorante vicino al villaggio. Vedo subito passarmi davanti agli occhi piattoni di “Spatzie”, wurstel e boccali di birra. Io prendo delle patate con pezzetti di wurstel, mia moglie sceglie dgli hamburger vegetariani, con contorno di patate al forno. Ovviamente calici di birra per me e acqua minerale per mia moglie. Dopo pranzo,  prendiamo un po' di sole sulla terrazza panoramica del ristorante, poi andiamo al secondo appuntamento della giornata, un qualcosa di veramente “in”, il tiro con l’arco. Un bizzarro e moderno Robin Hood ci consegna arco e frecce e, prima di farci addestrare nel bosco, ci fornisce qualche   indicazione  di massima su come impugnare l’arco e come scagliare le frecce. Sin dai primi lanci capisco che mia moglie ha più mira di me. Durante una camminata di qualche ora tra i boschi, l’istruttore ci fa lanciare le frecce contro degli obiettivi finti, nascosti tra gli alberi. Alcune mie frecce finiscono chissà dove, altre colpiscono il bersaglio ma nei punti più disparati. Mia   moglie li centra tutti, beata lei!  Capisco che non potrò mai fare l’arciere, ma almeno mi sono divertito abbastanza. Alle 17,30 rientriamo nello chalet, facciamo una sauna, e poi, con calma, andiamo a cena. L’ambiente è carino e si mangia molto bene, ottimo, soprattutto, lo stinco di maiale che ho scelto  per questa sera. Alle 22,30   siamo di nuovo nello chalet, contenti di queste giornate sulla neve. Mie moglie accende il televisote e si sintonizza su Rai 1. 

4° Giorno -   Chissà perché in vacanza ci si sveglia molto presto. Questa mattina per la prima volta indossiamo gli sci di fondo, avevamo giù provato questa disciplina e c’era anche piaciuta. Noleggiamo gli sci nel negozio adiacente il villaggio e  ci affidiamo al nostro istruttore, che ci spiega la tecnica. Mia moglie si spazientisce subito perché non riesce a sciare ma, non appena ci danno la carabina sportiva per sparare contro i bersagli, lei sfoga tutta la sua   frustrazione     sciistica e fa centro ovunque. Io me la “cavicchio” ma, dopo circa due ore mi viene un languore di stomaco. Dicono che gli sci di fondo siano uno degli sport più faticosi. Non c’è cosa migliore che riprendere le calorie bruciate, mangiando un buon piatto di pasta al forno, in un ristorante che si trova vicino al campo di allenamento. Dopo pranzo, andiamo a fare una passeggiata piuttosto singolare, non con cavalli e muli, bensì con i lama, sì proprio quegli animaletti simpatici e noti per le loro doti “sputacchiose” che ben si adattano al clima. Facciamo subito conoscenza dei due lama e, dopo qualche carezza, ci mettiamo in cammino percorrendo le rive di un lago ghiacciato, un’esperienza particolarmente rilassante. Alle 16,30 siamo di nuovo nel nostro chalet e ci buttiamo sul letto per riposare, poi beviamo un caffè e, non appena tramonta il sole, viene a prenderci la guida con cui avevamo ciaspolato durante il secondo giorno di questa settimana bianca. Ha delle torce. In mano. Sì, faremo una camminata notturna con la sola illuminazione delle torce, dal nostro chalet fino ad arrivare al Camping. Man mano che lasciamo il centro abitato e le luci del villaggio scompaiono, ci addentriamo nel bosco buio e silenzioso. E’ come fare un salto indietro, a qualche secolo fa, quando non c’era l’illuminazione elettrica e le torce illuminavano le notti dei nostri avi. E’ davvero emozionante, una calma pazzesca, una passeggiata a tratti mistica. Dopo circa 4 minuti, arriviamo al Camping e mangiamo delle ottime grigliate miste di carne, con contorno di verdure. Torniamo allo chalet e ci addormentiamo stanchi, ma felici di quest’ altra bella giornata. Mia moglie, sempre su Rai 1, fino all’una di notte. Non  si sarà per caso  invaghita del telegiornalista? indagherò!. 

5° Giorno – Per la gioia di mia moglie iniziamo la giornata con una lezione di sci di fondo, noleggiamo gli sci e con noi c’è sempre la guida che oggi ci darà una nuova lezione. Io, stranamente me la cavo benino, è davvero strano, perché, in genere, io e lo sport viviamo su due pianeti opposti. Le due ore scorrono velocemente per me e lentamente per mia moglie che sta quasi sempre col sedere a terra. Finita la lezione riconsegniamo gli sci e andiamo a pranzo nel villaggio. Il pomeriggio lo trascorriamo in pieno relax tra sauna e divano e poi, alle 19,30, usciamo per andare a cena, ma non optiamo per una comunissima cena al ristorante, bensì per una cena in un ampio chalet in legno che ha al centro un grosso braciere. Ci portano carne, pesce, verdure e pannocchie da grigliare. L’atmosfera è bellissima, mangiamo in maniera ottima, concludendo con un delizioso strudel. Insomma, la settimana bianca si è conclusa nel migliore dei modi. Domani mattina si torna a casa con un pizzico di  nostalgia: torneremo presto da queste parti, d’altronde questa zona è bella sia d’estate che d’inverno. Mia moglie continuerà a guardare il telegiornale si Rai 1, anche a Napoli.

(Gennaio 2025)

GUERRA ALLO SCARRAFONE

 

dI Luigi Rezzuti

 

Abito al Vomero, un quartiere “in”, il quartiere dello shopping,  che molti raggiungono da tutte le parti della città e della provincia per una passeggiata, per guardare le tante vetrine di negozi alla moda o sedersi sotto un gazebo, al tavolino di un bar, per  un aperitivo. Purtroppo, però, questo tanto gettonato quartiere è invaso dalle blatte (scarafaggi volanti) che resistono alle disinfestazioni trovando riparo nelle abitazioni. Anche la nostra casa è frequentata da questi schifosi animaletti ed è “guerra continua” non riusciamo ad individuare la loro tana e, pur spruzzando il “Bajgon” (15 euro), negli angoli delle stanze, nei bagni, sui davanzali delle finestre e sulle soglie dei balconi, il risultato è nullo. Un giorno pensavamo di aver individuato la tana sotto la vasca da bagno. Chiamammo l’idraulico che eliminò la vasca per installare una cabina doccia.  Mentre l’idraulico smantellava il bagno lo vidi ballare il tip-tap e, meravigliato, gli chiesi: “Antò, ma che stai facendo, sei impazzito?” Mi rispose; “Dottò sto scamazzanno ‘e scarrafune”(1600 euro). Ci sembrò di aver risolto definitivamente il problema, ma, dopo circa una settimana, verso mezzanotte, mentre mi accingevo ad andare a dormire, vidi una blatta camminare tranquillamente sul pavimento del salone. Mi alzai di corsa dal divano e, nella speranza di ammazzarla, avendo tra le mani il bicchiere d’acqua che di solito metto sul comodino, scivolai e caddi col sedere per terra. Lo “scarrafone”si dileguò ed io rimasi, per circa due mesi, con un forte dolore al coccige (10 laser e 10 massaggi, costo 400 euro). Finalmente per un mese non avemmo nessuna invasione degli “scarrafune”, che non si fecero più vedere, finchè  un giorno, purtroppo, fummo di nuovo invasi da questi simpatici… animaletti. Vedendo che il Bajgon non aveva fatto l’effetto desiderato, comprammo un prodotto che ci assicurava la completa eliminazione delle blatte (20 euro). Non riuscimmo né a vincere la guerra né, tanto meno, la battaglia. ‘E scarrafune erano più agguerriti di noi. Alla fine un condomino ci disse che anche lui aveva avuto in casa le blatte ed aveva risolto il problema facendo installare delle zanzariere. Immediatamente facemmo yesoro del suggerimento e provvedemmo anche noi ad installare ad ogni finestra una zanzariera (600 euro) e fortunatamente non trovammo più blatte in casa. Intanto la caldaia del riscaldamento, che abbiamo in un piccolo locale nel giardino, si  rompe (1600 euro, la sostituzione). Per controllare i lavori di sostituzione della caldaia dovevamo tenere aperta la zanzariera dell’infisso che dà sul giardino. Risultato: per tre ore con la zanzariera aperta, abbiamo ritrovato di nuovo “‘e scarrafune dint ‘a casa”. Avviliti, ci guardammo, mia moglie ed io, senza parlare. Avevamo perso ancora una volta la battaglia e la guerra cu ‘o scarrafone e avevamo speso anche circa 4.000 euro...

(Novembre 2024)

QUANDO NACQUE MIO FRATELLO

 

Di Luigi Rezzuti

 

Da tempo volevo raccontare gli avvenimenti che si susseguirono il giorno in cui nacque mio fratello, lunedì 4 febbraio del 1944. Mia madre, già all’inizio della giornata, lamentava dolori all’addome e, in base alla sua esperienza già percepiva che, da lì alle prossime ore avrebbe portato a termine la sua quinta gravidanza. Difatti subito mandò a chiamare l’ostetrica allora volgarmente chiamata “’a levatrice” o, ancora peggio, “’a Vammana”. Quindi incominciarono i preparativi per il parto, rigorosamente in casa, come si usava all’epoca, e, soprattutto, senza conoscere il sesso del nascituro. Noi abitavamo al primo piano del palazzo e appena si seppe della situazione di mia madre incominciarono a venire amiche e conoscenti per offrire il proprio aiuto, come si era sempre fatto in situazioni analoghe e allo stesso modo si era prodigata anche mia madre. Si incominciò a far bollire dell’acqua, preparare dei panni che, all’occorrenza erano necessari e non bastavano mai, a fare un pò di caffè e quant’altro fosse servito. Tra i vari preparativi si fecero quasi le 11.00, venne l’ostetrica, iniziò il suo lavoro e ci tenne a dire che non mancava molto all’avvenimento che, però, si presentava abbastanza complicato. A queste parole tutte ammutolirono. Il silenzio, poi, si tramutò in una serie di domande da parte di tutte le donne presenti che l’ostetrica, in un primo momento, con dovute spiegazioni, rassicurò. Però, dopo aver fatto un ulteriore controllo, decise di far intervenire il chirurgo. Dopo una mezzora dall’arrivo del chirurgo e di lavoro congiunto con l’ostetrica, al di sopra delle grida di mia madre si sentì la voce del chirurgo dire: “Ci siamo!  Ci siamo! È maschio! è maschio!” Allo stesso tempo mio fratello Carmine venne alla luce e ci fu un’acclamazione da parte di tutte le donne presenti che, in seguito, lo ribattezzarono con il vezzeggiativo di “Carmeniello”. Poi il chirurgo, che già conosceva mia madre, prima di andar via le disse: “Signora, adesso cerchiamo di finirla con queste gravidanze, visto che quest’ultima è stata abbastanza complicata”.  Mia madre aveva 45 anni. Dopo aver ringraziato sia lui che l’ostetrica, disse: “Dottore, mi fermo”. Durante le precedenti gravidanze a chi le chiedeva: “Sei di nuovo incinta?” mia madre rispondeva: “Alla prossima mi fermo”. All’inizio di questo racconto ho parlato di avvenimenti. Dopo quello principale, che avete appena letto, passo al secondo che è improntato sulla figura di mio padre che quel giorno era di riposo settimanale, ma, per tutto il tempo del parto, non era uscito dal piccolo vano, adibito a cucina, per un ascesso ad un molare che gli procurava dei forti dolori. Per lenirli, faceva degli impacchi con la lattuga da cui, altre volte, aveva tratto giovamento e, tra il dolore e l’ansia, si disperava per non poter dare nemmeno un aiuto morale a mia madre, sapendo di essere anche di intralcio all’operato delle donne presenti. Terzo avvenimento, di per sè tragicomico: nel piccolo vano, adibito a cucina, oltre a mio padre, c’era anche mio fratello maggiore che aveva contratto l’infezione del morbillo, con tutte le conseguenze, sintomi e quant’altro può procurare la suddetta malattia. Mio fratello chiedeva continuatamente a mio padre il perché di tutte quelle urla di mia madre e, con parole appropriate, mio padre gli spiegava che stava per nascere un nuovo fratellino o, come si auspicava, una sorellina. Il quarto e ultimo avvenimento è quello che vissi in prima persona. Infatti, appena si capì dell’imminente parto di mia madre, mia sorella Marta mi condusse a fare una passeggiata per allontanarmi da casa per il tempo necessario all’ evento. Per comprensibili motivi, non potevo rimanere in casa. Mia sorella ed io ce ne scendemmo, sperando di ritornare a casa il più presto possibile perchè il mese di febbraio, che già porta la nomea di essere corto e amaro per il freddo, quell’anno rispecchiava alla lettera la sua fama. Da quel momento per me e per mia sorella iniziò un calvario vero e proprio, in quanto il tempo in cui rimanemmo fuori casa fu un periodo indefinito in virtù del difficile parto che stava avvenendo. Andammo avanti e indietro da casa fino a Piazza Carlo III. Non ricordo bene quante volte facemmo quel percorso. Ogni tanto tornavamo a casa e chiedevamo se potevamo salire, ma la risposta era sempre la stessa: “Non potete salire. Andate a fare un altro giro”.

(Ottobre 2024)

Weekend a Capri

 

di Luigi Rezzuti

 


Sono anni, forse decenni che in famiglia ci concediamo un tre-quattro giorni a Capri. Passeggiate, mare, relax in una relativa tranquillità. L’anno scorso già qualcosa era mutato, in peggio, ahimè. Ma quest’anno la situazione mi è parsa proprio nera (parlo di Capri, non di Anacapri che fortunatamente è un’altra storia) sia chiaro nulla contro il turismo di massa perché una vacanza è necessaria a tutti, indistintamente dal livello sociale e secondo le proprie possibilità. Quello che sta portando al tracollo l’isola è invece il turismo mordi e fuggi, cafonesco e un po' selvaggio, per cui da parte degli isolani non si avverte più la cura, l’esigenza e il desiderio di coccolarsi il turista per indurlo a tornare. In un ristorante rinomato abbiamo visto servizi igienici che dire disgustosi è dir poco, nei pressi dei luoghi di balneazione non esiste raccolta differenziata, a Marina Grande uno scolo di acque fecali: praticamente una fogna a cielo aperto nei pressi della spiaggia. A Marina Piccola l’attesa del pullman (che fino a un 4 o 5 anni fa si risolveva in una decina di minuti) è diventata di 40 minuti: e va pure bene, se c’è più gente così come funzionare. Ma non è detto che l’attesa, già snervante per il caldo, la si debba fare infestati da una puzza di fogna nauseabonda che ti si impregna talmente nelle narici da non mollarti neanche salito sul bus. La qualità del cibo è scesa in modo inversamente proporzionale ai prezzi. Ma la tassa di soggiorno non dovrebbe contribuire a garantire una qualità del servizio? Insomma, per parafrasare il titolo di un bel film di Martone, abbiamo assistito questo luglio a una Capri-involution.

(Settembre 2024)

UNA TRANQUILLA GIORNATA

 

di Luigi Rezzuti

 

La Pasqua è ormai passata da qualche mese. Sono seduto davanti al computer e cerco di scrivere un racconto. All’improvviso squilla il mio cellulare: “Ciao, come stai? Hai trascorso una buona Pasqua?” È Marika, una mia cara amica che, di tanto in tanto, partecipa come comparsa in qualche film. “Si, tutto bene, ero seduto al computer ma, in mancanza di fantasia, stavo per scendere ed andare a fare una passeggiata. Che ne pensi? Mi vuoi raggiungere e andiamo insieme?” Accetta ed usciamo. C’era molta gente in strada e, anche se il cielo era coperto, era abbastanza piacevole passeggiare con Marika. “Come è andata la tua gita fuori porta con gli amici?” Le chiedo. “Purtroppo è stata annullata perché il tempo minacciava pioggia, quindi sono rimasta a casa. Ti ho chiamato perché volevo proporti di andare a vedere uno spettacolo musicale per questo venerdì”.  Ogni volta che io e Marika ci incontriamo è sempre un’esperienza gradevole, stravagante e travolgente. Non programmiamo mai nulla, ci lasciamo trasportare dal momento. “Ok, mi va di andare ad ascoltare un po' di musica insieme a te. Venerdì sera sono libero, passo a prenderti verso le 20,30 e poi decideremo cosa fare dopo lo spettacolo: ti accompagno a casa tua o andiamo a cena”. “Sembra fantastico! Non vedo l’ora di vederti. A presto!” La voce di Marika è piena di entusiasmo. Arrivo giusto in tempo, ci sono voluti solo pochi secondi prima di vederla camminare verso di me. È splendida, come sempre.  Indossa un pantalone, una camicetta, un maglione nero e una giacca. Una borsetta e un paio di occhiali  completano il look. Appena si avvicina, mi abbraccia e mi dà un bacio sulla guancia. Mentre ci incamminiamo, io e Marika parliamo delle nostre recenti avventure,  approfondiamo i dettagli delle ultime imprese di Marika, discutendo degli attori e delle scene in cui ha lavorato di recente. Mi racconta della sua comparsa in un film e della  conoscenza di  una famosa attrice, durante le riprese. Sono le 23,30 precise e  decidiamo di andare a fare una passeggiata, dopo lo spettacolo. Le strade   sono deserte e ci sono solo poche auto in giro. Parcheggio vicino alla spiaggia e noto che tutti i ristoranti e gli stabilimenti balneari sono chiusi. Ovviamente è una situazione normale, visto che la stagione ancora non è iniziata e siamo a fine settimana. Inoltre, negli ultimi giorni, il tempo ha fatto le bizze e oggi il sole si è fatto vedere solo di tanti in tanto, dietro le nuvole. Fortunatamente, però, la temperatura è gradevole. Noto un gruppetto di ragazzi vicino ad un grosso camper dove si  vendono panini. “Ti va un panino o una piadina o vuoi qualcosa di più sostanzioso? In questo  caso dobbiamo riprendere l’auto e andare da qualche altra parte”. “No, tranquillo, va bene anche la piadina”. Ordiniamo le nostre piadine e ci sediamo su un muretto. La luna gioca a nascondino con le nuvole, io e Marika parliamo e ridiamo, godendo della reciproca compagnia e assaporando il semplice piacere di una piadina. Le piadine sono, come sempre, spettacolari e ogni boccone stimola sia le papille che i ricordi della passata stagione balneare. Tristemente le piadine finiscono velocemente, le abbiamo divorate e ora sono solo un bel ricordo. “Giorgio, ti va di andare a vedere il mare? Mi piacerebbe fare una passeggiata a piedi scalzi sulla sabbia”, propone ed accetto con piacere. La sabbia è fredda e umida sotto i piedi, l’acqua è ancora gelida, anche se ogni tanto i piedini di Marika la cercano. I nostri cellulari diventano delle macchine fotografiche che immortalano ogni nostra espressione, ritraendoci felici del luogo e della nostra compagnia. Fotografiamo, camminiamo, fino a che mi rendo conto che siamo arrivati al limite della zona, consentita per l’accesso, prima della riserva naturale, interdetta alle persone per la nidificazione delle specie protette. “Dai, non c’è nessuno in giro!” continuiamo a camminare, in realtà un piccolo gruppo di ragazzi sta confabulando, ma nessuno fa caso a noi. Cerco la mano di Marika che subito si intreccia alla mia e iniziamo ad   addentrarci   nella zona proibita con il brivido dell’avventura. La fresca brezza marina ci inonda e l’odore salmastro del mare penetra nelle narici. Le nostre mani si separano per una foto al panorama e alla mia amica, unico oggetto della foto. “Avvicinati, voglio fare una foto con te”, mi dice sorridendo. “Non mi faccio pregare, mi avvicino a lei e, con la mano sinistra, le avvolgo il braccio intorno alla vita. Con la mano destra, invece, alzo il cellulare per scattare un selfie. Il “suono” delle onde che si infrangono sulla riva e il richiamo dei gabbiani in lontananza contribuiscono a rendere romantica la notte, ma la paura di essere scoperti aumenta. Ci diamo un piccolo bacio, il sapore di fragola della sigaretta elettronica che Marika ha fumato pochi minuti prima, entra nella mia bocca. Ci baciamo come due ragazzini, poi cerco di convincerla a lasciare la spiaggia per un posto più tranquillo. Fortunatamente anche lei è d’accordo. “Allora, cosa vuoi fare adesso?”, mi chiede guardandomi. “Forse la migliore cosa è quella di andare a casa mia, ho bisogno di fare una doccia, ho della sabbia anche nei vestiti, vuoi venire a casa?”. “Certo, nessun problema, ma, per dopo la doccia hai qualche programma? Vuoi fare qualcos’altro?” “Se non ti dispiace, vorrei riposare, soprattutto perché domattina devo andare presto in ufficio”. “Assolutamente si, anch’io sono in disordine e ho un mezzo appuntamento con il regista domani, verso le tredici”. La casa di Marika è a pochi minuti dalla mia, quindi la saluto e l’accompagno. “Grazie per la serata, spero che ti sia piaciuta.” Ritorno a casa e mi addormento. Domani sarò di nuovo al computer, vorrei finalmente scrivere un racconto. Non sono uno scrittore professionista. Le mie storie sono basate sulle mie esperienze e si possono considerare dei semplici resoconti, che arricchisco, di tanto in tanto, con un po' di fantasia, per renderli più accattivanti. Domenica prossima, dovrei uscire insieme a Marika con nuovi amici. Mi piace uscire con altre persone per cimentarmi in esperienze diverse. Sono alla ricerca di una donna con la quale scrivere un racconto di avventura a quattro mani.

(Luglio 2024)

Un rinnovato equilibrio

 

di Gilda Rezzuti

 

Sulla terra il cielo era terso, in una tiepida mattina dell’anno 3789. I mandorli iniziavano a fiorire, sui monti si scioglieva la neve e le prime giovani foglioline, come un manto di velluto verde, coprivano i prati.  Ancora una volta si osservavano i segni della primavera che incalzava e che, con il suo arrivo, annunciava anche la nascita di una nuova era.

Da sempre il ciclo delle stagioni non aveva subito nessun arresto, malgrado il danno evidente, verificatosi nell’ecosistema. Intorno, però, tutto l’ambiente era alterato: nell’aria c’era uno strano odore e l’acqua aveva un ignoto colore. L’unica cosa immutata rimaneva il susseguirsi delle stagioni, ma questa volta il processo si ripeteva in un panorama insolito, in un luogo nuovo. Infatti, lo scenario si presentava silenzioso e spettrale. Inquietante la contraddizione tra la primavera, simbolo di rinascita, che prepotentemente affermava la vita, e la quiete sinistra, intorno alla quale imperava la morte. Gli esseri umani e le altre creature viventi si erano estinti, l’habitat naturale, gravemente logorato, non era più adatto ad accoglierli. Unico responsabile della situazione era stato l’uomo. Animale razionale e creativo, con il potere di edificare e demolire, con la sua avidità, sete di controllo e dominio, aveva, invece, danneggiato irreversibilmente la sua “casa”. Si era spinto troppo in là, senza più la possibilità di tornare indietro e correggere il tiro. Era salito sempre più in alto su una scala barcollante, che inevitabilmente lo aveva fatto precipitare, disperdendone i pezzi distrutti, come avviene a fantocci di creta. Ora si potevano osservare, sulla superficie terrestre, solo le tracce di una civiltà scomparsa, i segni di un mondo vuoto, congelato, fermo come in una bolla, un regno sbiadito, che in un tempo lontano era stato colorata dimora dell’umanità.

In natura, però, nulla si distrugge ma tutto si trasforma e, ancora una volta, la generosa potenza generatrice offrì un’altra possibilità al pianeta. Un giorno, infatti, la terra, aiutata da energie sconosciute, poté darsi un nuovo assetto. Un’aura luminosa, intorno a corpi immateriali, delimitava il perimetro dell’essere e dell’essenza, apparteneva ad un esercito alieno che avanzava da ogni parte sul continente. L’originale e più consapevole intelligenza avrebbe fatto del territorio un luogo incontaminato, adatto ad ospitare una nuova progenie, più misurata ed evoluta.

Ebbe così inizio un’epoca diversa, in cui non esisteva più il tempo, né la memoria, ma solo la visione di un amore universale.

(Maggio 2024) 

LA FRITTATA

 

di Luigi Rezzuti

 

Da ragazzo Arturo abitava in una traversa del Corso Garibaldi che congiungeva il corso con il Borgo di Sant’Antonio Abate. La sua casa era in una palazzina di tre piani, loro erano al primo piano. Di fronte c’era una famiglia di persone anziane, al secondo piano, abitava una giovane vedova che tutte le mattine, verso le otto, andava a lavorare in una dattilografia, in un ufficio del Tribunale di Napoli. Al secondo piano c’era la casa della nonna, dove, la sera, andavano a dormire le sue sorelle. La loro era una famiglia numerosa: suo padre, sua madre e cinque figli. Al terzo piano abitava un’insegnante con due gatti e, di fronte, una famiglia che aveva un negozio a Porta Capuana. Un giorno la figlia della giovane vedova ritornò a casa, aveva vissuto tutta La sua infanzia in un Istituto di Suore. Era una bella ragazza, aveva da poco compiuto diciotto anni, bruna, occhi scuri, un bel sorriso, alta, un bel fisico, si chiamava Andrea. Arturo la notò subito e subito si fece notare iniziando a farle la corte. Oltre a piacergli gli incuriosiva molto il fatto che fosse stata in un Istituto di Suore. Pensava che era una ragazza di sani principi morali, religiosa, senza grilli per la testa, insomma una brava ragazza. Non ci mise molto a conoscerla e frequentarla. Infatti tutte le mattine, quando  la mamma usciva per andare al lavoro, egli subito saliva al secondo piano, trovava la porta socchiusa, entrava e lì trovava Andrea sempre in sottoveste e subito  iniziavano a baciarsi e ad abbracciarsi. Fu un amore platonico, non andarono mai oltre ad un semplice bacio.  Una mattina, come al solito, la mamma uscì per andare al lavoro ed Arturo salì di corsa a casa di Andrea. Purtroppo, dopo qualche minuto, ritornò la mamma, aveva dimenticato dei documenti e li colse in flagrante. Arturo scappò di corsa, mentre la mamma diede un paio di schiaffi alla figlia. Poi scese a casa di Arturo, bussò alla porta, aprì la madre e lei, moltt preoccupata, le chiese di controllare suo figlio per evitare che salisse in sua assenza, tutte le mattine, dalla figlia. La madre di Arturo cercò di rassicurarla dicendole che erano due giovani ingenui e di buona famiglia. Lei rispose: “Signora, so bene che suo figlio è un bravo ragazzo, ma ho paura che, proprio perché sono tutti e due ingenui, possono fare la “frittata”. Per un attimo Arturo non capì cosa volesse dire “possono fare la frittata”, poi immediatamente dopo, capì e sorrise. Da quel giorno i due ragazzi si frequentavano solo in presenza della mamma di lei, uscivano per andare a fare una passeggiata o a vedere qualche film. Il controllo diventò severo, non si potevano più scambiare nemmeno un bacio ed allora decisero di riprendere gli incontri mattutini a casa della nonna di Arturo che, essendo molto anziana, era sempre a letto a riposare.

Trascorsero alcuni anni indimenticabili, poi arrivò il giorno che tra un bacio e l’altro, tra un abbraccio e l’altro, fecero la “frittata”. Erano troppo giovani e ingenui, seguirono giorni di ansia, di terrore, di preoccupazione, Andrea ebbe un ritardo di quindici giorni, poi fortunatamente qualche “santo” li perdonò, ma da quel giorno divennero molto più attenti. Poi, come capita, ogni cosa bella, purtroppo, ha una fine. Un giorno Andrea gli disse che la mamma aveva un compagno ed aveva deciso di trasferirsi a casa di lui, in un paesino in provincia di Napoli. Furono giorni tristi, erano due giovani perdutamente innamorati e non volevano accettare di separarsi. Il giorno dell’addio, ancora oggi, a distanza di alcune decine di anni, Arturo lo ricorda come una pugnalata al cuore. Era finito per sempre un gran bell’amore tra due adolescenti. Non si videro più, né si sentirono, all’epoca non esistevano i cellulari, ma ancora oggi Arturo ricorda di aver vissuto, in  un periodo della sua gioventù, un amore indimenticabile.

(Aprile 2024)

In campeggio ad Ischia

 

di Luigi Rezzuti

 


Avevo diciotto anni e da diciassette, ogni anno, durante l’estate, andavo a villeggiare ad Ischia con la mia famiglia. Quell’anno chiesi ai miei genitori il permesso di andarvi, in campeggio,c on un mio amico.  Entrambi, pieni di entusiasmo, andammo subito al mercato e comprammo una tenda canadese, chiodi per il fissaggio, due materassini gonfiabili, una grossa torcia e delle aste per montare la tenda. L’ultimo giorno di luglio, sotto un sole cocente, ci imbarcammo dal porto di Napoli e sbarcammo sull’isola con due zaini pesanti sulle spalle. Essi contenevano quanto ci occorreva, ovvero la tenda, magliette varie, due costumi da mare e calzoncini corti. Ci recammo in un campeggio attrezzato ma, quando chiedemmo il prezzo per occupare uno spazio, scappammo via delusi. Avevamo portato con noi quindicimila lire per ciascuno e buona parte del nostro gruzzoletto sarebbe  servito solo per il fitto del posto in campeggio. Non ci perdemmo d’animo e ci incamminammo verso la spiaggia degli Inglesi, pensando di montare la tenda in un angolino. Mentre raggiungevamo la spiaggia, vedemmo un vigneto ed un contadino che raccoglieva grossi grappoli d’una. Ci fermammo e chiedemmo se potevamo  occupare un posticino per montare la tenda, per quindici giorni. Ci chiese, per il fitto, cinquemila lire, con la possibilità di poter mangiare quanta uva volevamo. In un batter d’occhi iniziammo a montare la tenda, poi raggiungemmo la spiaggia e qui, tutte le mattine, andavamo a lavarci in quanto non avevamo acqua nel vigneto. Pagando cinquemila lire per il fitto, ci rimanevano mille e seicento lire al giorno per la colazione, il pranzo, la cena, le sigarette e qualche svago. Ci rendemmo subito conto che quei soldi non sarebbero bastati per tutta la durata del nostro campeggio. Sulla spiaggia degli Inglesi c’era un lido balneare, con bar e ristorante, gestito da una famiglia, composta da padre, mamma e due giovani figlie. Iniziammo immediatamente a fare amicizia con le figlie del gestore. Erano due ragazze carine, della nostra età, forse anche un po' più giovani. Nel giro di due giorni eravamo fidanzati e questo  fidanzamento,   molto “interessato”, fu la nostra salvezza. La mattina andavamo sul lido e facevamo colazione gratis. A pranzo, se non un primo piatto caldo, ci portavano un’ insalatona e delle fette di pane. I genitori delle due ragazze erano sempre molto impegnati e non si accorsero che non pagavamo mai. Purtroppo mi venne in mente un’idea che compromise tutto. Proposi alle due ragazze di scappare di casa insieme a noi. Prendemmo appuntamento per la mezzanotte e, con grande meraviglia, si presentarono puntuali. Avevano con loro un gruzzoletto di danaro e qualche oggettino d’oro ma, quando capirono che era uno scherzo, la “pacchia” di mangiare gratis finì. Per i restanti giorni, al mattino, mangiavamo qualche grappolo d’uva e compravamo due sfilatini di pane al giorno che riempivamo, a pranzo, di pomodori e per cena di fichi, che ci procuravamo da una campagna vicina. Una sera decidemmo di andare in un locale da ballo. Il mio amico, però, non era d’accordo perché, giustamente, diceva: “Ma, senza ragazze, cosa facciamo, balliamo io e te da soli?”  Lo convinsi dicendogli che avremmo sicuramente trovato qualche ragazza libera nel locale. Erano le 21.00, entrammo nel locale da ballo quasi vuoto, data l’ora. Sedemmo ad un tavolino e ordinammo due birre. Qualche metro distante da noi c’erano due donne sole, avevano, forse, una cinquantina d’anni, mi alzai e andai al loro tavolo, proponendo di unirci tutti e quattro ad un solo tavolino. Le due anzianotte accettarono sorridendo, il mio amico ironicamente mi disse che così avremmo ballato con le “nonne”. Gli risposi: “Meglio queste che niente” Iniziai a corteggiare una di loro e fui subito seguito dal  mio amico con l’altra donna. Forse erano in cerca di avventure perché accettarono volentieri il nostro corteggiamento. Ballammo tutta la sera, fino a tarda notte e furono le due donne milanesi, in cerca di avventure, a pagare le consumazioni. Eravamo capitati proprio bene! In fondo avevano anche un bel corpo, l’unico problema per noi è che erano anzianotte, ma a quel punto importava poco. Diventammo, per forza di cose, anzi per fame… i loro “gigolò”. Tutte le sere ci incontravamo al locale da ballo e, immancabilmente, pagavano sempre loro, sia le consumazioni che le sigarette. Che bello! Era tutto gratis, ma in cambio offrivamo prestazioni amorose da ragazzi, se pur già smaliziati ed esperti. Purtroppo, le due milanesi ci salutarono. La loro vacanza era finita ed  era finita anche per noi, economicamente parlando. Un pomeriggio, non avendo nulla da fare, andammo a passeggiare lungo il corso principale di Ischia Porto, lo percorremmo avanti e indietro per più di due ore, poi, stanchi, decidemmo di acquistare due birre per andare a berle in pineta. Strada facendo, incontrammo due ragazze e le invitammo a bere con noi. Erano due commesse della Standa (di Napoli) ed erano venute per un giorno ad Ischia. Avevano l’ultimo traghetto alle 19,30 per fare ritorno a casa, ma tra una birra e l’altra, tra una barzelletta e l’altra e chiacchierando, riuscimmo a far perdere loro l’ultimo traghetto. Le ragazze erano preoccupatissime, non sapevano come avvertire i genitori della mancata partenza. Cercammo di calmarle consigliando loro di telefonare a qualche collega, che avrebbe potuto avvertire i genitori, rassicurandoli e comunicando che, comunque, le ragazze avrebbero pernottato a casa di un’amica che era  in villeggiatura ad Ischia. Fu una serata, anzi, una notte, indimenticabile. Altro che le due anzianotte milanesi. Erano due belle ragazze, di qualche anno più grandi di noi, simpatiche, divertenti, allegre e forse anche un po' birichine … Sotto la tenda canadese c’era lo spazio solo per due persone, quella notte eravamo in quattro. Ci stendemmo sui  materassini gonfiabili, usati da noi come lettini, ma, tra un movimento e l’altro… e per il poco spazio, si sgonfiarono tra l’ilarità di tutti. Per giunta si spense anche la torcia, forse ormai si era scaricata… e rimanemmo completamente al buio finché none uscimmo... a riveder le stelle… Che notte quella notte… Finita la nostra indimenticabile vacanza, tornammo a Napoli e andammo a  fare una buona “mangiata” in una trattoria a piazza Municipio. Ne avevamo proprio bisogno.

(Marzo 2024)

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