UNA VACANZA SULLA NEVE
di Luigi Rezzuti
Non so se avete visto il film “Fantozzi” quando il ragionier Ugo intraprende un viaggio in automobile con la signorina Silvana e Calboni per raggiungere la tanto agognata settimana bianca, e in cui Fantozzi inizia a blaterare sulle sue competenze sciistiche. Inizia spavaldo, sostenendo di essere stato azzurro di sci e, incalzato dalle richieste della signorina Silvana che non riusciva a sentirlo per via del vento, finisce poi per dire: “Sto dicendo che saranno trenta, trentacinque anni che non vedo un paio di sci!”. Ecco, io e mia moglie siamo proprio ai livelli di Fantozzi e, con la consapevolezza di essere scarsi negli sport invernali, ci accingiamo a partire per la settimana bianca. Il giorno prima della partenza per me è sempre un incubo. Mia moglie che infila in valigia tutto l’armadio, tra cui vestiti e scarpe, e io che, di nascosto, svuoto il suo bagaglio. Si tratta di una settimana bianca e non di una settimana mondana a New York.
1° Giorno – Partiamo al mattino da Napoli e raggiungiamo il nostro villaggio in montagna sulla neve: caratteristico, ordinato, pulito e con le tipiche casette in legno, proprio come piace a noi. Di neve ce n’è tantissima e le strade sono pulitissime. Entriamo nella reception del villaggio e una ragazza ci consegna le chiavi della nostra casetta, un nuovissimo chalet, tutto in legno. Un meraviglioso appartamentino dotato di tutti i confort: una cucina, un salottino, un bagno, una camera da letto, un terrazzo e un giardinetto in cui è posta una sauna privata. Il profumo del legno che aleggia nello chalet e la neve copiosa che lo circonda ci fa dimenticare di colpo il caos di Napoli, a cui siamo ormai abituati, e veniamo rapiti immediatamente dalla calma del luogo. La posizione del villaggio è strategica, si trova proprio di fronte alla cabinovia, che porta alle piste da sci, e a due passi dalla scuola di sci. Ci riposiamo un pochino e alle 19 usciamo per andare a cena in un ristorante tipico della zona, dove gustiamo una cena a base di carne. Dopo questa ottima cena torniamo al villaggio. Come primo approccio con la neve, non ci possiamo proprio lamentare.
2° Giorno – Ci svegliamo alle sette, facciamo colazione nel nostro chalet e, alle nove, andiamo a piedi alla scuola di sci, dove ci aspetta l’istruttore che, per un paio di ore, ci insegna a mantenerci in piedi sugli sci. Tra scivoloni e risate, arriva l’ora di pranzo. Andiamo a piedi al ristorante dove gustiamo un delizioso piatto di “Spatzie” al formaggio. Alle 14,30 ci viene a prendere la guida, una simpatica ragazza che ci porta a ciaspolare tra i boschi. indossiamo le ciaspole, le moderne racchette da neve e, per un’intera mattinata, godiamo al meglio la natura tra le interessantissime spiegazioni della guida con tanto di pausa per sorseggiare thé, mangiucchiare biscotti, preparati dalla nostra guida.
Alle 12,30 rientriamo nello chalet, ci infiliamo sotto una calda doccia e poi ci prepariamo per andare a pranzo in un ristorante che si trova in pieno centro. Una bella sala, luminosa e spaziosa, un menù con proposte tipiche e qualche rivisitazione in chiave moderna, il sorriso delle cameriere che ci fanno gustare dei ravioli e una bistecca di cervo, con contorno di verdure e patate come piatto principale. Io concludo il pranzo con un tortino al cioccolato, mentre mia moglie rimane a guardarmi, basita. Facciamo rientro nello chalet sazi e felici, mi stendo sul letto per una pennichella, mia moglie, invece, accende il televisore per vedere il telegiornale su Rai 1. Nel pomeriggio usciamo per una passeggiata, poi ci sediamo al bar per bere una bevanda calda e, in serata, prima di fare rientro nella nostra accogliente casetta in legno, andiamo a cena.
3° Giorno – Sveglia alle 7,30, colazione in chalet e alle 9,00 prendiamo la cabinovia per raggiungere la cima della montagna. La giornata è meravigliosa, il cielo è limpido, il sole tiepido e la vista dall’alto è qualcosa di eccezionale. Fittiamo due slittini e ci lanciamo in un paio di discese, fino a quando non inizio ad avere allucinazioni culinarie. Sento una voce “gaudiosa” che mi chiama: “Luigi sono il tuo piatto preferito, vieni a mangiare”. Lasciamo gli slittini ed entriamo nel solito ristorante vicino al villaggio. Vedo subito passarmi davanti agli occhi piattoni di “Spatzie”, wurstel e boccali di birra. Io prendo delle patate con pezzetti di wurstel, mia moglie sceglie dgli hamburger vegetariani, con contorno di patate al forno. Ovviamente calici di birra per me e acqua minerale per mia moglie. Dopo pranzo, prendiamo un po' di sole sulla terrazza panoramica del ristorante, poi andiamo al secondo appuntamento della giornata, un qualcosa di veramente “in”, il tiro con l’arco. Un bizzarro e moderno Robin Hood ci consegna arco e frecce e, prima di farci addestrare nel bosco, ci fornisce qualche indicazione di massima su come impugnare l’arco e come scagliare le frecce. Sin dai primi lanci capisco che mia moglie ha più mira di me. Durante una camminata di qualche ora tra i boschi, l’istruttore ci fa lanciare le frecce contro degli obiettivi finti, nascosti tra gli alberi. Alcune mie frecce finiscono chissà dove, altre colpiscono il bersaglio ma nei punti più disparati. Mia moglie li centra tutti, beata lei! Capisco che non potrò mai fare l’arciere, ma almeno mi sono divertito abbastanza. Alle 17,30 rientriamo nello chalet, facciamo una sauna, e poi, con calma, andiamo a cena. L’ambiente è carino e si mangia molto bene, ottimo, soprattutto, lo stinco di maiale che ho scelto per questa sera. Alle 22,30 siamo di nuovo nello chalet, contenti di queste giornate sulla neve. Mie moglie accende il televisote e si sintonizza su Rai 1.
4° Giorno - Chissà perché in vacanza ci si sveglia molto presto. Questa mattina per la prima volta indossiamo gli sci di fondo, avevamo giù provato questa disciplina e c’era anche piaciuta. Noleggiamo gli sci nel negozio adiacente il villaggio e ci affidiamo al nostro istruttore, che ci spiega la tecnica. Mia moglie si spazientisce subito perché non riesce a sciare ma, non appena ci danno la carabina sportiva per sparare contro i bersagli, lei sfoga tutta la sua frustrazione sciistica e fa centro ovunque. Io me la “cavicchio” ma, dopo circa due ore mi viene un languore di stomaco. Dicono che gli sci di fondo siano uno degli sport più faticosi. Non c’è cosa migliore che riprendere le calorie bruciate, mangiando un buon piatto di pasta al forno, in un ristorante che si trova vicino al campo di allenamento. Dopo pranzo, andiamo a fare una passeggiata piuttosto singolare, non con cavalli e muli, bensì con i lama, sì proprio quegli animaletti simpatici e noti per le loro doti “sputacchiose” che ben si adattano al clima. Facciamo subito conoscenza dei due lama e, dopo qualche carezza, ci mettiamo in cammino percorrendo le rive di un lago ghiacciato, un’esperienza particolarmente rilassante. Alle 16,30 siamo di nuovo nel nostro chalet e ci buttiamo sul letto per riposare, poi beviamo un caffè e, non appena tramonta il sole, viene a prenderci la guida con cui avevamo ciaspolato durante il secondo giorno di questa settimana bianca. Ha delle torce. In mano. Sì, faremo una camminata notturna con la sola illuminazione delle torce, dal nostro chalet fino ad arrivare al Camping. Man mano che lasciamo il centro abitato e le luci del villaggio scompaiono, ci addentriamo nel bosco buio e silenzioso. E’ come fare un salto indietro, a qualche secolo fa, quando non c’era l’illuminazione elettrica e le torce illuminavano le notti dei nostri avi. E’ davvero emozionante, una calma pazzesca, una passeggiata a tratti mistica. Dopo circa 4 minuti, arriviamo al Camping e mangiamo delle ottime grigliate miste di carne, con contorno di verdure. Torniamo allo chalet e ci addormentiamo stanchi, ma felici di quest’ altra bella giornata. Mia moglie, sempre su Rai 1, fino all’una di notte. Non si sarà per caso invaghita del telegiornalista? indagherò!.
5° Giorno – Per la gioia di mia moglie iniziamo la giornata con una lezione di sci di fondo, noleggiamo gli sci e con noi c’è sempre la guida che oggi ci darà una nuova lezione. Io, stranamente me la cavo benino, è davvero strano, perché, in genere, io e lo sport viviamo su due pianeti opposti. Le due ore scorrono velocemente per me e lentamente per mia moglie che sta quasi sempre col sedere a terra. Finita la lezione riconsegniamo gli sci e andiamo a pranzo nel villaggio. Il pomeriggio lo trascorriamo in pieno relax tra sauna e divano e poi, alle 19,30, usciamo per andare a cena, ma non optiamo per una comunissima cena al ristorante, bensì per una cena in un ampio chalet in legno che ha al centro un grosso braciere. Ci portano carne, pesce, verdure e pannocchie da grigliare. L’atmosfera è bellissima, mangiamo in maniera ottima, concludendo con un delizioso strudel. Insomma, la settimana bianca si è conclusa nel migliore dei modi. Domani mattina si torna a casa con un pizzico di nostalgia: torneremo presto da queste parti, d’altronde questa zona è bella sia d’estate che d’inverno. Mia moglie continuerà a guardare il telegiornale si Rai 1, anche a Napoli.
(Gennaio 2025)
GUERRA ALLO SCARRAFONE
dI Luigi Rezzuti
Abito al Vomero, un quartiere “in”, il quartiere dello shopping, che molti raggiungono da tutte le parti della città e della provincia per una passeggiata, per guardare le tante vetrine di negozi alla moda o sedersi sotto un gazebo, al tavolino di un bar, per un aperitivo. Purtroppo, però, questo tanto gettonato quartiere è invaso dalle blatte (scarafaggi volanti) che resistono alle disinfestazioni trovando riparo nelle abitazioni. Anche la nostra casa è frequentata da questi schifosi animaletti ed è “guerra continua” non riusciamo ad individuare la loro tana e, pur spruzzando il “Bajgon” (15 euro), negli angoli delle stanze, nei bagni, sui davanzali delle finestre e sulle soglie dei balconi, il risultato è nullo. Un giorno pensavamo di aver individuato la tana sotto la vasca da bagno. Chiamammo l’idraulico che eliminò la vasca per installare una cabina doccia. Mentre l’idraulico smantellava il bagno lo vidi ballare il tip-tap e, meravigliato, gli chiesi: “Antò, ma che stai facendo, sei impazzito?” Mi rispose; “Dottò sto scamazzanno ‘e scarrafune”(1600 euro). Ci sembrò di aver risolto definitivamente il problema, ma, dopo circa una settimana, verso mezzanotte, mentre mi accingevo ad andare a dormire, vidi una blatta camminare tranquillamente sul pavimento del salone. Mi alzai di corsa dal divano e, nella speranza di ammazzarla, avendo tra le mani il bicchiere d’acqua che di solito metto sul comodino, scivolai e caddi col sedere per terra. Lo “scarrafone”si dileguò ed io rimasi, per circa due mesi, con un forte dolore al coccige (10 laser e 10 massaggi, costo 400 euro). Finalmente per un mese non avemmo nessuna invasione degli “scarrafune”, che non si fecero più vedere, finchè un giorno, purtroppo, fummo di nuovo invasi da questi simpatici… animaletti. Vedendo che il Bajgon non aveva fatto l’effetto desiderato, comprammo un prodotto che ci assicurava la completa eliminazione delle blatte (20 euro). Non riuscimmo né a vincere la guerra né, tanto meno, la battaglia. ‘E scarrafune erano più agguerriti di noi. Alla fine un condomino ci disse che anche lui aveva avuto in casa le blatte ed aveva risolto il problema facendo installare delle zanzariere. Immediatamente facemmo yesoro del suggerimento e provvedemmo anche noi ad installare ad ogni finestra una zanzariera (600 euro) e fortunatamente non trovammo più blatte in casa. Intanto la caldaia del riscaldamento, che abbiamo in un piccolo locale nel giardino, si rompe (1600 euro, la sostituzione). Per controllare i lavori di sostituzione della caldaia dovevamo tenere aperta la zanzariera dell’infisso che dà sul giardino. Risultato: per tre ore con la zanzariera aperta, abbiamo ritrovato di nuovo “‘e scarrafune dint ‘a casa”. Avviliti, ci guardammo, mia moglie ed io, senza parlare. Avevamo perso ancora una volta la battaglia e la guerra cu ‘o scarrafone e avevamo speso anche circa 4.000 euro...
(Novembre 2024)
QUANDO NACQUE MIO FRATELLO
Di Luigi Rezzuti
Da tempo volevo raccontare gli avvenimenti che si susseguirono il giorno in cui nacque mio fratello, lunedì 4 febbraio del 1944. Mia madre, già all’inizio della giornata, lamentava dolori all’addome e, in base alla sua esperienza già percepiva che, da lì alle prossime ore avrebbe portato a termine la sua quinta gravidanza. Difatti subito mandò a chiamare l’ostetrica allora volgarmente chiamata “’a levatrice” o, ancora peggio, “’a Vammana”. Quindi incominciarono i preparativi per il parto, rigorosamente in casa, come si usava all’epoca, e, soprattutto, senza conoscere il sesso del nascituro. Noi abitavamo al primo piano del palazzo e appena si seppe della situazione di mia madre incominciarono a venire amiche e conoscenti per offrire il proprio aiuto, come si era sempre fatto in situazioni analoghe e allo stesso modo si era prodigata anche mia madre. Si incominciò a far bollire dell’acqua, preparare dei panni che, all’occorrenza erano necessari e non bastavano mai, a fare un pò di caffè e quant’altro fosse servito. Tra i vari preparativi si fecero quasi le 11.00, venne l’ostetrica, iniziò il suo lavoro e ci tenne a dire che non mancava molto all’avvenimento che, però, si presentava abbastanza complicato. A queste parole tutte ammutolirono. Il silenzio, poi, si tramutò in una serie di domande da parte di tutte le donne presenti che l’ostetrica, in un primo momento, con dovute spiegazioni, rassicurò. Però, dopo aver fatto un ulteriore controllo, decise di far intervenire il chirurgo. Dopo una mezzora dall’arrivo del chirurgo e di lavoro congiunto con l’ostetrica, al di sopra delle grida di mia madre si sentì la voce del chirurgo dire: “Ci siamo! Ci siamo! È maschio! è maschio!” Allo stesso tempo mio fratello Carmine venne alla luce e ci fu un’acclamazione da parte di tutte le donne presenti che, in seguito, lo ribattezzarono con il vezzeggiativo di “Carmeniello”. Poi il chirurgo, che già conosceva mia madre, prima di andar via le disse: “Signora, adesso cerchiamo di finirla con queste gravidanze, visto che quest’ultima è stata abbastanza complicata”. Mia madre aveva 45 anni. Dopo aver ringraziato sia lui che l’ostetrica, disse: “Dottore, mi fermo”. Durante le precedenti gravidanze a chi le chiedeva: “Sei di nuovo incinta?” mia madre rispondeva: “Alla prossima mi fermo”. All’inizio di questo racconto ho parlato di avvenimenti. Dopo quello principale, che avete appena letto, passo al secondo che è improntato sulla figura di mio padre che quel giorno era di riposo settimanale, ma, per tutto il tempo del parto, non era uscito dal piccolo vano, adibito a cucina, per un ascesso ad un molare che gli procurava dei forti dolori. Per lenirli, faceva degli impacchi con la lattuga da cui, altre volte, aveva tratto giovamento e, tra il dolore e l’ansia, si disperava per non poter dare nemmeno un aiuto morale a mia madre, sapendo di essere anche di intralcio all’operato delle donne presenti. Terzo avvenimento, di per sè tragicomico: nel piccolo vano, adibito a cucina, oltre a mio padre, c’era anche mio fratello maggiore che aveva contratto l’infezione del morbillo, con tutte le conseguenze, sintomi e quant’altro può procurare la suddetta malattia. Mio fratello chiedeva continuatamente a mio padre il perché di tutte quelle urla di mia madre e, con parole appropriate, mio padre gli spiegava che stava per nascere un nuovo fratellino o, come si auspicava, una sorellina. Il quarto e ultimo avvenimento è quello che vissi in prima persona. Infatti, appena si capì dell’imminente parto di mia madre, mia sorella Marta mi condusse a fare una passeggiata per allontanarmi da casa per il tempo necessario all’ evento. Per comprensibili motivi, non potevo rimanere in casa. Mia sorella ed io ce ne scendemmo, sperando di ritornare a casa il più presto possibile perchè il mese di febbraio, che già porta la nomea di essere corto e amaro per il freddo, quell’anno rispecchiava alla lettera la sua fama. Da quel momento per me e per mia sorella iniziò un calvario vero e proprio, in quanto il tempo in cui rimanemmo fuori casa fu un periodo indefinito in virtù del difficile parto che stava avvenendo. Andammo avanti e indietro da casa fino a Piazza Carlo III. Non ricordo bene quante volte facemmo quel percorso. Ogni tanto tornavamo a casa e chiedevamo se potevamo salire, ma la risposta era sempre la stessa: “Non potete salire. Andate a fare un altro giro”.
(Ottobre 2024)
Weekend a Capri
di Luigi Rezzuti
Sono anni, forse decenni che in famiglia ci concediamo un tre-quattro giorni a Capri. Passeggiate, mare, relax in una relativa tranquillità. L’anno scorso già qualcosa era mutato, in peggio, ahimè. Ma quest’anno la situazione mi è parsa proprio nera (parlo di Capri, non di Anacapri che fortunatamente è un’altra storia) sia chiaro nulla contro il turismo di massa perché una vacanza è necessaria a tutti, indistintamente dal livello sociale e secondo le proprie possibilità. Quello che sta portando al tracollo l’isola è invece il turismo mordi e fuggi, cafonesco e un po' selvaggio, per cui da parte degli isolani non si avverte più la cura, l’esigenza e il desiderio di coccolarsi il turista per indurlo a tornare. In un ristorante rinomato abbiamo visto servizi igienici che dire disgustosi è dir poco, nei pressi dei luoghi di balneazione non esiste raccolta differenziata, a Marina Grande uno scolo di acque fecali: praticamente una fogna a cielo aperto nei pressi della spiaggia. A Marina Piccola l’attesa del pullman (che fino a un 4 o 5 anni fa si risolveva in una decina di minuti) è diventata di 40 minuti: e va pure bene, se c’è più gente così come funzionare. Ma non è detto che l’attesa, già snervante per il caldo, la si debba fare infestati da una puzza di fogna nauseabonda che ti si impregna talmente nelle narici da non mollarti neanche salito sul bus. La qualità del cibo è scesa in modo inversamente proporzionale ai prezzi. Ma la tassa di soggiorno non dovrebbe contribuire a garantire una qualità del servizio? Insomma, per parafrasare il titolo di un bel film di Martone, abbiamo assistito questo luglio a una Capri-involution.
(Settembre 2024)
UNA TRANQUILLA GIORNATA
di Luigi Rezzuti
La Pasqua è ormai passata da qualche mese. Sono seduto davanti al computer e cerco di scrivere un racconto. All’improvviso squilla il mio cellulare: “Ciao, come stai? Hai trascorso una buona Pasqua?” È Marika, una mia cara amica che, di tanto in tanto, partecipa come comparsa in qualche film. “Si, tutto bene, ero seduto al computer ma, in mancanza di fantasia, stavo per scendere ed andare a fare una passeggiata. Che ne pensi? Mi vuoi raggiungere e andiamo insieme?” Accetta ed usciamo. C’era molta gente in strada e, anche se il cielo era coperto, era abbastanza piacevole passeggiare con Marika. “Come è andata la tua gita fuori porta con gli amici?” Le chiedo. “Purtroppo è stata annullata perché il tempo minacciava pioggia, quindi sono rimasta a casa. Ti ho chiamato perché volevo proporti di andare a vedere uno spettacolo musicale per questo venerdì”. Ogni volta che io e Marika ci incontriamo è sempre un’esperienza gradevole, stravagante e travolgente. Non programmiamo mai nulla, ci lasciamo trasportare dal momento. “Ok, mi va di andare ad ascoltare un po' di musica insieme a te. Venerdì sera sono libero, passo a prenderti verso le 20,30 e poi decideremo cosa fare dopo lo spettacolo: ti accompagno a casa tua o andiamo a cena”. “Sembra fantastico! Non vedo l’ora di vederti. A presto!” La voce di Marika è piena di entusiasmo. Arrivo giusto in tempo, ci sono voluti solo pochi secondi prima di vederla camminare verso di me. È splendida, come sempre. Indossa un pantalone, una camicetta, un maglione nero e una giacca. Una borsetta e un paio di occhiali completano il look. Appena si avvicina, mi abbraccia e mi dà un bacio sulla guancia. Mentre ci incamminiamo, io e Marika parliamo delle nostre recenti avventure, approfondiamo i dettagli delle ultime imprese di Marika, discutendo degli attori e delle scene in cui ha lavorato di recente. Mi racconta della sua comparsa in un film e della conoscenza di una famosa attrice, durante le riprese. Sono le 23,30 precise e decidiamo di andare a fare una passeggiata, dopo lo spettacolo. Le strade sono deserte e ci sono solo poche auto in giro. Parcheggio vicino alla spiaggia e noto che tutti i ristoranti e gli stabilimenti balneari sono chiusi. Ovviamente è una situazione normale, visto che la stagione ancora non è iniziata e siamo a fine settimana. Inoltre, negli ultimi giorni, il tempo ha fatto le bizze e oggi il sole si è fatto vedere solo di tanti in tanto, dietro le nuvole. Fortunatamente, però, la temperatura è gradevole. Noto un gruppetto di ragazzi vicino ad un grosso camper dove si vendono panini. “Ti va un panino o una piadina o vuoi qualcosa di più sostanzioso? In questo caso dobbiamo riprendere l’auto e andare da qualche altra parte”. “No, tranquillo, va bene anche la piadina”. Ordiniamo le nostre piadine e ci sediamo su un muretto. La luna gioca a nascondino con le nuvole, io e Marika parliamo e ridiamo, godendo della reciproca compagnia e assaporando il semplice piacere di una piadina. Le piadine sono, come sempre, spettacolari e ogni boccone stimola sia le papille che i ricordi della passata stagione balneare. Tristemente le piadine finiscono velocemente, le abbiamo divorate e ora sono solo un bel ricordo. “Giorgio, ti va di andare a vedere il mare? Mi piacerebbe fare una passeggiata a piedi scalzi sulla sabbia”, propone ed accetto con piacere. La sabbia è fredda e umida sotto i piedi, l’acqua è ancora gelida, anche se ogni tanto i piedini di Marika la cercano. I nostri cellulari diventano delle macchine fotografiche che immortalano ogni nostra espressione, ritraendoci felici del luogo e della nostra compagnia. Fotografiamo, camminiamo, fino a che mi rendo conto che siamo arrivati al limite della zona, consentita per l’accesso, prima della riserva naturale, interdetta alle persone per la nidificazione delle specie protette. “Dai, non c’è nessuno in giro!” continuiamo a camminare, in realtà un piccolo gruppo di ragazzi sta confabulando, ma nessuno fa caso a noi. Cerco la mano di Marika che subito si intreccia alla mia e iniziamo ad addentrarci nella zona proibita con il brivido dell’avventura. La fresca brezza marina ci inonda e l’odore salmastro del mare penetra nelle narici. Le nostre mani si separano per una foto al panorama e alla mia amica, unico oggetto della foto. “Avvicinati, voglio fare una foto con te”, mi dice sorridendo. “Non mi faccio pregare, mi avvicino a lei e, con la mano sinistra, le avvolgo il braccio intorno alla vita. Con la mano destra, invece, alzo il cellulare per scattare un selfie. Il “suono” delle onde che si infrangono sulla riva e il richiamo dei gabbiani in lontananza contribuiscono a rendere romantica la notte, ma la paura di essere scoperti aumenta. Ci diamo un piccolo bacio, il sapore di fragola della sigaretta elettronica che Marika ha fumato pochi minuti prima, entra nella mia bocca. Ci baciamo come due ragazzini, poi cerco di convincerla a lasciare la spiaggia per un posto più tranquillo. Fortunatamente anche lei è d’accordo. “Allora, cosa vuoi fare adesso?”, mi chiede guardandomi. “Forse la migliore cosa è quella di andare a casa mia, ho bisogno di fare una doccia, ho della sabbia anche nei vestiti, vuoi venire a casa?”. “Certo, nessun problema, ma, per dopo la doccia hai qualche programma? Vuoi fare qualcos’altro?” “Se non ti dispiace, vorrei riposare, soprattutto perché domattina devo andare presto in ufficio”. “Assolutamente si, anch’io sono in disordine e ho un mezzo appuntamento con il regista domani, verso le tredici”. La casa di Marika è a pochi minuti dalla mia, quindi la saluto e l’accompagno. “Grazie per la serata, spero che ti sia piaciuta.” Ritorno a casa e mi addormento. Domani sarò di nuovo al computer, vorrei finalmente scrivere un racconto. Non sono uno scrittore professionista. Le mie storie sono basate sulle mie esperienze e si possono considerare dei semplici resoconti, che arricchisco, di tanto in tanto, con un po' di fantasia, per renderli più accattivanti. Domenica prossima, dovrei uscire insieme a Marika con nuovi amici. Mi piace uscire con altre persone per cimentarmi in esperienze diverse. Sono alla ricerca di una donna con la quale scrivere un racconto di avventura a quattro mani.
(Luglio 2024)
Un rinnovato equilibrio
di Gilda Rezzuti
Sulla terra il cielo era terso, in una tiepida mattina dell’anno 3789. I mandorli iniziavano a fiorire, sui monti si scioglieva la neve e le prime giovani foglioline, come un manto di velluto verde, coprivano i prati. Ancora una volta si osservavano i segni della primavera che incalzava e che, con il suo arrivo, annunciava anche la nascita di una nuova era.
Da sempre il ciclo delle stagioni non aveva subito nessun arresto, malgrado il danno evidente, verificatosi nell’ecosistema. Intorno, però, tutto l’ambiente era alterato: nell’aria c’era uno strano odore e l’acqua aveva un ignoto colore. L’unica cosa immutata rimaneva il susseguirsi delle stagioni, ma questa volta il processo si ripeteva in un panorama insolito, in un luogo nuovo. Infatti, lo scenario si presentava silenzioso e spettrale. Inquietante la contraddizione tra la primavera, simbolo di rinascita, che prepotentemente affermava la vita, e la quiete sinistra, intorno alla quale imperava la morte. Gli esseri umani e le altre creature viventi si erano estinti, l’habitat naturale, gravemente logorato, non era più adatto ad accoglierli. Unico responsabile della situazione era stato l’uomo. Animale razionale e creativo, con il potere di edificare e demolire, con la sua avidità, sete di controllo e dominio, aveva, invece, danneggiato irreversibilmente la sua “casa”. Si era spinto troppo in là, senza più la possibilità di tornare indietro e correggere il tiro. Era salito sempre più in alto su una scala barcollante, che inevitabilmente lo aveva fatto precipitare, disperdendone i pezzi distrutti, come avviene a fantocci di creta. Ora si potevano osservare, sulla superficie terrestre, solo le tracce di una civiltà scomparsa, i segni di un mondo vuoto, congelato, fermo come in una bolla, un regno sbiadito, che in un tempo lontano era stato colorata dimora dell’umanità.
In natura, però, nulla si distrugge ma tutto si trasforma e, ancora una volta, la generosa potenza generatrice offrì un’altra possibilità al pianeta. Un giorno, infatti, la terra, aiutata da energie sconosciute, poté darsi un nuovo assetto. Un’aura luminosa, intorno a corpi immateriali, delimitava il perimetro dell’essere e dell’essenza, apparteneva ad un esercito alieno che avanzava da ogni parte sul continente. L’originale e più consapevole intelligenza avrebbe fatto del territorio un luogo incontaminato, adatto ad ospitare una nuova progenie, più misurata ed evoluta.
Ebbe così inizio un’epoca diversa, in cui non esisteva più il tempo, né la memoria, ma solo la visione di un amore universale.
(Maggio 2024)
LA FRITTATA
di Luigi Rezzuti
Da ragazzo Arturo abitava in una traversa del Corso Garibaldi che congiungeva il corso con il Borgo di Sant’Antonio Abate. La sua casa era in una palazzina di tre piani, loro erano al primo piano. Di fronte c’era una famiglia di persone anziane, al secondo piano, abitava una giovane vedova che tutte le mattine, verso le otto, andava a lavorare in una dattilografia, in un ufficio del Tribunale di Napoli. Al secondo piano c’era la casa della nonna, dove, la sera, andavano a dormire le sue sorelle. La loro era una famiglia numerosa: suo padre, sua madre e cinque figli. Al terzo piano abitava un’insegnante con due gatti e, di fronte, una famiglia che aveva un negozio a Porta Capuana. Un giorno la figlia della giovane vedova ritornò a casa, aveva vissuto tutta La sua infanzia in un Istituto di Suore. Era una bella ragazza, aveva da poco compiuto diciotto anni, bruna, occhi scuri, un bel sorriso, alta, un bel fisico, si chiamava Andrea. Arturo la notò subito e subito si fece notare iniziando a farle la corte. Oltre a piacergli gli incuriosiva molto il fatto che fosse stata in un Istituto di Suore. Pensava che era una ragazza di sani principi morali, religiosa, senza grilli per la testa, insomma una brava ragazza. Non ci mise molto a conoscerla e frequentarla. Infatti tutte le mattine, quando la mamma usciva per andare al lavoro, egli subito saliva al secondo piano, trovava la porta socchiusa, entrava e lì trovava Andrea sempre in sottoveste e subito iniziavano a baciarsi e ad abbracciarsi. Fu un amore platonico, non andarono mai oltre ad un semplice bacio. Una mattina, come al solito, la mamma uscì per andare al lavoro ed Arturo salì di corsa a casa di Andrea. Purtroppo, dopo qualche minuto, ritornò la mamma, aveva dimenticato dei documenti e li colse in flagrante. Arturo scappò di corsa, mentre la mamma diede un paio di schiaffi alla figlia. Poi scese a casa di Arturo, bussò alla porta, aprì la madre e lei, moltt preoccupata, le chiese di controllare suo figlio per evitare che salisse in sua assenza, tutte le mattine, dalla figlia. La madre di Arturo cercò di rassicurarla dicendole che erano due giovani ingenui e di buona famiglia. Lei rispose: “Signora, so bene che suo figlio è un bravo ragazzo, ma ho paura che, proprio perché sono tutti e due ingenui, possono fare la “frittata”. Per un attimo Arturo non capì cosa volesse dire “possono fare la frittata”, poi immediatamente dopo, capì e sorrise. Da quel giorno i due ragazzi si frequentavano solo in presenza della mamma di lei, uscivano per andare a fare una passeggiata o a vedere qualche film. Il controllo diventò severo, non si potevano più scambiare nemmeno un bacio ed allora decisero di riprendere gli incontri mattutini a casa della nonna di Arturo che, essendo molto anziana, era sempre a letto a riposare.
Trascorsero alcuni anni indimenticabili, poi arrivò il giorno che tra un bacio e l’altro, tra un abbraccio e l’altro, fecero la “frittata”. Erano troppo giovani e ingenui, seguirono giorni di ansia, di terrore, di preoccupazione, Andrea ebbe un ritardo di quindici giorni, poi fortunatamente qualche “santo” li perdonò, ma da quel giorno divennero molto più attenti. Poi, come capita, ogni cosa bella, purtroppo, ha una fine. Un giorno Andrea gli disse che la mamma aveva un compagno ed aveva deciso di trasferirsi a casa di lui, in un paesino in provincia di Napoli. Furono giorni tristi, erano due giovani perdutamente innamorati e non volevano accettare di separarsi. Il giorno dell’addio, ancora oggi, a distanza di alcune decine di anni, Arturo lo ricorda come una pugnalata al cuore. Era finito per sempre un gran bell’amore tra due adolescenti. Non si videro più, né si sentirono, all’epoca non esistevano i cellulari, ma ancora oggi Arturo ricorda di aver vissuto, in un periodo della sua gioventù, un amore indimenticabile.
(Aprile 2024)
In campeggio ad Ischia
di Luigi Rezzuti
Avevo diciotto anni e da diciassette, ogni anno, durante l’estate, andavo a villeggiare ad Ischia con la mia famiglia. Quell’anno chiesi ai miei genitori il permesso di andarvi, in campeggio,c on un mio amico. Entrambi, pieni di entusiasmo, andammo subito al mercato e comprammo una tenda canadese, chiodi per il fissaggio, due materassini gonfiabili, una grossa torcia e delle aste per montare la tenda. L’ultimo giorno di luglio, sotto un sole cocente, ci imbarcammo dal porto di Napoli e sbarcammo sull’isola con due zaini pesanti sulle spalle. Essi contenevano quanto ci occorreva, ovvero la tenda, magliette varie, due costumi da mare e calzoncini corti. Ci recammo in un campeggio attrezzato ma, quando chiedemmo il prezzo per occupare uno spazio, scappammo via delusi. Avevamo portato con noi quindicimila lire per ciascuno e buona parte del nostro gruzzoletto sarebbe servito solo per il fitto del posto in campeggio. Non ci perdemmo d’animo e ci incamminammo verso la spiaggia degli Inglesi, pensando di montare la tenda in un angolino. Mentre raggiungevamo la spiaggia, vedemmo un vigneto ed un contadino che raccoglieva grossi grappoli d’una. Ci fermammo e chiedemmo se potevamo occupare un posticino per montare la tenda, per quindici giorni. Ci chiese, per il fitto, cinquemila lire, con la possibilità di poter mangiare quanta uva volevamo. In un batter d’occhi iniziammo a montare la tenda, poi raggiungemmo la spiaggia e qui, tutte le mattine, andavamo a lavarci in quanto non avevamo acqua nel vigneto. Pagando cinquemila lire per il fitto, ci rimanevano mille e seicento lire al giorno per la colazione, il pranzo, la cena, le sigarette e qualche svago. Ci rendemmo subito conto che quei soldi non sarebbero bastati per tutta la durata del nostro campeggio. Sulla spiaggia degli Inglesi c’era un lido balneare, con bar e ristorante, gestito da una famiglia, composta da padre, mamma e due giovani figlie. Iniziammo immediatamente a fare amicizia con le figlie del gestore. Erano due ragazze carine, della nostra età, forse anche un po' più giovani. Nel giro di due giorni eravamo fidanzati e questo fidanzamento, molto “interessato”, fu la nostra salvezza. La mattina andavamo sul lido e facevamo colazione gratis. A pranzo, se non un primo piatto caldo, ci portavano un’ insalatona e delle fette di pane. I genitori delle due ragazze erano sempre molto impegnati e non si accorsero che non pagavamo mai. Purtroppo mi venne in mente un’idea che compromise tutto. Proposi alle due ragazze di scappare di casa insieme a noi. Prendemmo appuntamento per la mezzanotte e, con grande meraviglia, si presentarono puntuali. Avevano con loro un gruzzoletto di danaro e qualche oggettino d’oro ma, quando capirono che era uno scherzo, la “pacchia” di mangiare gratis finì. Per i restanti giorni, al mattino, mangiavamo qualche grappolo d’uva e compravamo due sfilatini di pane al giorno che riempivamo, a pranzo, di pomodori e per cena di fichi, che ci procuravamo da una campagna vicina. Una sera decidemmo di andare in un locale da ballo. Il mio amico, però, non era d’accordo perché, giustamente, diceva: “Ma, senza ragazze, cosa facciamo, balliamo io e te da soli?” Lo convinsi dicendogli che avremmo sicuramente trovato qualche ragazza libera nel locale. Erano le 21.00, entrammo nel locale da ballo quasi vuoto, data l’ora. Sedemmo ad un tavolino e ordinammo due birre. Qualche metro distante da noi c’erano due donne sole, avevano, forse, una cinquantina d’anni, mi alzai e andai al loro tavolo, proponendo di unirci tutti e quattro ad un solo tavolino. Le due anzianotte accettarono sorridendo, il mio amico ironicamente mi disse che così avremmo ballato con le “nonne”. Gli risposi: “Meglio queste che niente” Iniziai a corteggiare una di loro e fui subito seguito dal mio amico con l’altra donna. Forse erano in cerca di avventure perché accettarono volentieri il nostro corteggiamento. Ballammo tutta la sera, fino a tarda notte e furono le due donne milanesi, in cerca di avventure, a pagare le consumazioni. Eravamo capitati proprio bene! In fondo avevano anche un bel corpo, l’unico problema per noi è che erano anzianotte, ma a quel punto importava poco. Diventammo, per forza di cose, anzi per fame… i loro “gigolò”. Tutte le sere ci incontravamo al locale da ballo e, immancabilmente, pagavano sempre loro, sia le consumazioni che le sigarette. Che bello! Era tutto gratis, ma in cambio offrivamo prestazioni amorose da ragazzi, se pur già smaliziati ed esperti. Purtroppo, le due milanesi ci salutarono. La loro vacanza era finita ed era finita anche per noi, economicamente parlando. Un pomeriggio, non avendo nulla da fare, andammo a passeggiare lungo il corso principale di Ischia Porto, lo percorremmo avanti e indietro per più di due ore, poi, stanchi, decidemmo di acquistare due birre per andare a berle in pineta. Strada facendo, incontrammo due ragazze e le invitammo a bere con noi. Erano due commesse della Standa (di Napoli) ed erano venute per un giorno ad Ischia. Avevano l’ultimo traghetto alle 19,30 per fare ritorno a casa, ma tra una birra e l’altra, tra una barzelletta e l’altra e chiacchierando, riuscimmo a far perdere loro l’ultimo traghetto. Le ragazze erano preoccupatissime, non sapevano come avvertire i genitori della mancata partenza. Cercammo di calmarle consigliando loro di telefonare a qualche collega, che avrebbe potuto avvertire i genitori, rassicurandoli e comunicando che, comunque, le ragazze avrebbero pernottato a casa di un’amica che era in villeggiatura ad Ischia. Fu una serata, anzi, una notte, indimenticabile. Altro che le due anzianotte milanesi. Erano due belle ragazze, di qualche anno più grandi di noi, simpatiche, divertenti, allegre e forse anche un po' birichine … Sotto la tenda canadese c’era lo spazio solo per due persone, quella notte eravamo in quattro. Ci stendemmo sui materassini gonfiabili, usati da noi come lettini, ma, tra un movimento e l’altro… e per il poco spazio, si sgonfiarono tra l’ilarità di tutti. Per giunta si spense anche la torcia, forse ormai si era scaricata… e rimanemmo completamente al buio finché none uscimmo... a riveder le stelle… Che notte quella notte… Finita la nostra indimenticabile vacanza, tornammo a Napoli e andammo a fare una buona “mangiata” in una trattoria a piazza Municipio. Ne avevamo proprio bisogno.
(Marzo 2024)
NEL MEZZO DEL CAMMIN DI NOSTRA VITA
MI RITROVAI IN UNA SELVA OSCURA
di Luigi Rezzuti
Una sera d’estate, quelle sere calde, dove veramente l’afa ti riduce ad essere senza voglie ed interessi, oppresso dalla canicola decido di andare a fare un giro in auto, tanto per rimanere un po' di tempo con l’aria condizionata e riprendermi un attimino. Dove vado, dove non vado, sono bastati due spifferi di aria fresca per farmi decidere di andare in un boschetto dove non ero mai andato perché troppo lontano dalla mia abitazione, quindi decido di andarci. Guido per quasi mezz’ora pensando se il mio abbigliamento fosse adeguato al posto. Ho nel baule dell’auto dei calzoncini corti, mi fermo in un piazzale dal quale parte un sentiero che finisce in un boschetto adiacente, la zona è molto tranquilla c’è qualche auto posteggiata ma nessun movimento di esseri umani. Rimango in auto per qualche minuto, arriva un’auto, scende una donna molto alta e magra, indossa una minigonna, ha i capelli a caschetto neri, si guarda un po’ intorno, poi si dirige sicura verso il sentiero scomparendo nel bischetto. Un’altra auto passa vicino alla mia guardando dentro, si ferma un po' più in là, scende un uomo molto grasso, avrà sui cinquant’anni, si accende una sigaretta, fa due tiri, la butta, la spegne schiacciandola col piede e si incammina nel bosco. Qualcuno esce dal bosco, risale in auto e se ne va. Arriva un Suv di lusso, scendono un uomo in giacca e cravatta, sui cinquant’anni e una donna molto elegante e piacente, almeno così sembra, poco più di quarant’anni, ridono e scherzano ad alta voce, sembrano molto a loro agio. Restano vicino all’auto alcuni minuti e poi anche loro si inoltrano chiacchierando nel boschetto. A questo punto, attendo ancora un minuto poi prendo a camminare nel buio della notte tra i rami e i cespugli, cammino senza trovare traccia di alcun essere vivente, ad un cero punto sento un vociare provenire da poco lontano, risate sguaiate, schiamazzi di gente che sembra stia divertendosi. Cammino in direzione della festicciola, ormai ci sono, tra la vegetazione abbastanza fitta c’è uno spiazzo dove l’erba è e schiacciata dal continuo transitare di chi si avventura nella selva, la donna, col vestito rosso, ride sguaiata attorniata da un gruppetto di uomini e donne mentre l’uomo che l’accompagnava guarda appoggiato ad un albero. Guardo ma preferisco proseguire nel mio esplorare questo posto. Mi inoltro ancora di più nella boscaglia e qualche metro più in là noto quella donna con la minigonna. Mi sembra che amoreggia con il grassone. Vado oltre e mi inoltro ulteriormente nel bosco che sembra farsi più fitto, curioso di vedere cosa mi riserva ancora questo posto. Cammino per qualche minuto ma non trovo nulla di nuovo, sto quasi per tornare indietro quando vengo preso dalla strana sensazione di essere seguito. Mi fermo e volutamente volto le spalle nella direzione in cui potrebbe giungere il mio inseguitore, anzi faccio di più, mi fermo, non devo aspettare troppo tempo che un uomo alto, con pochi capelli, mi sorride per rassicurarmi e prosegue il suo cammino. Mi sono inoltrato parecchio bel bosco, sono molto lontano dal parcheggio, dopo un aio di minuti rallento e riprendo normalmente a camminare verso l’uscita dal bosco, nessuno mi sta seguendo e non incontro nessuno. Sono quasi al parcheggio che nel frattempo si è quasi svuotato, quando a pochi passi dall’auto mi accorgo di non avere con me il marsupio con le chiavi dell’auto. E adesso cosa faccio? devo averlo smarrito nel bosco, torno sui miei passi guardando per terra per quello che si poteva vedere con il buio pesto che era sceso dopo che la luna era stata coperta da una nuvola. Con qualche difficoltà ritrovo finalmente il mio marsupio con le chiavi dall’auto e rivedo il grassone e la donna con la minigonna che fanno ritorno verso il parcheggio. Il grassone mi saluta: “Ciao! Cosa fai qui tutto solo?” gli spiego il perché sono tornato indietro e che probabilmente non ci tornerò più perché per me è un posto molto scomodo da raggiungere. All’improvviso il grassone tira fuori un coltello a serramanico e mi obbliga a dargli il mio portafogli se voglio fare ritorno a casa, gli consegno il portafogli e mi lascia andare. Mi incammino ancora tutto impaurito verso il parcheggio, ho fortunatamente il mio marsupio e le chiavi dell’auto, il cielo si sta già schiarendo, sembra quasi albeggiare, ma che ora si sarà fatta?
(Settembre 2023)
IN UN PAESINO SPERDUTO DI MONTAGNA
di Luigi Rezzuti
Quello che sto per raccontare non esce da una bella penna di un autore di storie romantiche, ma dalla realtà, che, in fatto di storie, sa come superare di gran lunga ogni più fervida fantasia. Tanti anni fa, in un paesino sperduto sulle montagne dell’Avellinese, una ragazzina, appena adolescente, sta vivendo i primi batticuori per un ragazzo di poco più grande di lei. I due si conoscono appena, egli la segue in bici quando lei, accompagnata dalla madre e dalle sorelle, ogni giorno raggiunge la sarta da cui prende lezioni di cucito. Si guardano, nulla di più è concesso a quel controllo serrato e severo. Egli, da ragazzo innamorato, cerca, come può, di catturare immagini di lei e impressionarli su fotografie, su cui, poi. appone dei pensieri in libertà. Lo stesso fa su fogli di carta che conserva gelosamente e su di essi scioglie tutta la poesia di un amore puro e dolce, che trattiene dentro di sé. Ma intanto qualcuno coglie i segni di quel sentimento appena nato e il padre di lei gli intima di abbandonare immediatamente ogni aspettativa. La loro è una famiglia troppo povera per pensare di dare la ragazza in moglie a uno che non se la passa certamente meglio. E così lei, col cuore infranto, dirà a quel ragazzo che continua a seguirla ogni giorno, di dimenticarla per sempre, se non vuole che suo padre intervenga più duramente. Lui obbedisce, perché l’unica cosa che non vorrebbe è farle del male, e parte. Va a cercare lavoro a Milano. Lì troverà una donna che diventerà sua moglie e madre dei suoi figli. Lei, dopo qualche tempo, sposerà un uomo con cui vivrà un’intera vita di felicità ed amore. Passano gli anni, alcune decine, sessanta, per la precisione, quando lui, da vedovo, torna al paese. Chiede di lei, non l’ha dimenticata, scopre che è rimasta vedova da poco, e allora chiede il suo numero di telefono e un giorno, domato il cuore che batte forte, la chiama. Lei è titubante, forse all’inizio neppure se ne ricorda e, comunque si fa coraggio e accetta di incontrarlo. Il tempo ha trasformato i loro corpi, ha inciso rughe sui loro volti, ne ha scolorito i capelli, ha appesantito gli sguardi, ma ha lasciato intatta quell’emozione che, molti e molti anni prima, era stata bruscamente interrotta. E, in più, per lei il tempo aveva in serbo una sorpresa del tutto inaspettata: un pacchetto di scatti che la ritraevano ancora così giovane e bella e, sul retro, le parole che lui non aveva potuto rivolgerle, i sentimenti che non aveva potuto esprimerle. Le aveva custodite gelosamente, perché, nel più profondo del suo cuore, non aveva mai smesso di pensare a lei. Preso atto del fatto che questa volta non avevano nessun valido motivo per opporre un diniego né di attendere ancora così tanto a lungo, dopo che ognuno aveva attraversato un’intera vita, fatta di mille altre cose. La difficoltà adesso diventa quella di superare il senso del pudore che di per sè non contemplerebbe che, alla soglia degli ottant’anni, si torni a vivere le passioni di un’adolescenza. Lui, nonostante tutto, mostrava ancora la pazienza di aspettare che in lei maturasse la scelta di seguirlo in un paesino poco distante da quello in cui ha vissuto in questi anni, per sperare di poter percorrere assieme tutti i passi che la vita intende ancora concedere loro. Pochi, rispetto a quelli che in realtà avrebbe desiderato, ma per sempre meglio di niente. E’ premuroso e la raggiunge spesso, la porta a cena fuori e l’accudisce come può. Pare addirittura che, quando lei è stata operata alle cataratte, anziché con il convenzionale e scontato mazzo di fiori, lui si sia presentato al suo capezzale con un cesto ricco di tutte le prelibatezze del suo orto, coltivate con la stessa dedizione che ancora rivolge a lei. Ormai in paese tutti conoscono la loro storia e anche il figlio di lei sarebbe felice di saperla in compagnia di un uomo che la ama profondamente, solo che, per ora, quel senso di pudore è più forte e le impedisce di cedere alla tentazione di raggiungerlo. Ma è felice: chi la conosce giura di leggerle sul suo volto un guizzo di rinnovata allegria e di vitalità che solo un amore impermeabile al tempo e allo spazio poteva restituire. Ed è tutta qui la magia di questa storia nella luce, bella e radiosa, che infonde ai suoi ottuagenari protagonisti. L’emozione di sapere che da qualche parte, neppure troppo lontano, si stia consumando una storia così romantica, a dispetto di tutte quelle in cui il senso vero dell’amore viene quotidianamente mortificato e svilito.
(Luglio 2023)
UN RICORDO INDIMENTICABILE
di Luigi Rezzuti
Questo non è un racconto d’amore, ma solo un ricordo che porterò per sempre nel mio cuore.
Avevo 18 anni quando, per la prima volta, vidi lei, bella, impossibile, solare, aveva un sorriso stupendo.
Da quel primo giorno, non l’ho più dimenticata. Pomeriggi interi a spiarla, per ore ed ore, ad aspettarla davanti a quel vicolo dove si riuniva con le amiche. Ogni volta che arrivava i miei occhi si illuminavano, diventavano lucidi per la gioia, il cuore impazziva e andava a mille, ma lei non si accorgeva di niente e a me andava bene così, mi bastava vederla ogni sabato, mentre entrava in pizzeria dove io e i miei amici ci riunivamo.
La guardavo, senza farmi notare. Era bella, forse troppo bella per me.
Ricordo ancora ogni sabato in lacrime perché volevo andare a dirle tutto, ma non ci riuscivo anche se i miei amici mi davano coraggio, mi rassicuravano, mi spronavano. Io, come al solito, non riuscivo nemmeno a dirle: “Ciao”. Forse questa è l’unica cosa che rimpiangerò per tutta la vita, rimpiangerò quel maledetto giorno in cui la vidi entrare per l’ultima volta nella pizzeria con il suo stupendo sorriso ed io, troppo imbarazzato, scappai via.
Dopo tante promesse, fatte anche con i miei amici, ci fu il momento di avvicinarmi e provare a conoscerla.
Beh… scappai via, ero ingenuo, stupido, timido, ma forse era solo destino.
Fu così che quella stessa sera lei perse la vita in un incidente col motorino.
Quello è stato il giorno più brutto della mia vita. Oggi, dopo una cinquantina di anni circa, il mio cuore batte ancora per lei, batte ancora quado passo davanti a quel vicolo dove, però, non riesco a girarmi perché so che non la rivedrò mai più, sorridente come sempre.
Ora sto bene, non sono triste perché so che lei è qui con me, ogni giorno le parlo, so che lei mi guarda, ancora sorridente, di lassù.
E vorrei dirle solo una cosa che non le ho mai detto o, forse, non ho mai avuto il coraggio di dirle: “Antonella, sei stata il mio primo colpo di fulmine. Non ti dimenticherò mai, non dimenticherò mai la gioia che provavo vedendoti sorridere, rimarrai sempre con me Non costa niente sognare, no? Non ti dico addio perché un giorno, forse ci rincontreremo. Quindi, ciao, Antonella. Un bacio. Tuo per sempre”.
(Maggio 2023 - Gli articoli vengono riprodotti quali ci sono pervenuti)