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INVECCHIARE   di Luigi Rezzuti   Il bello di invecchiare … Hai voglia a dire “la maturità raggiunta, una certa serenità, e poi le rughe sono segno di...
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Pensieri ad alta voce di Marisa Pumpo Pica   Lettera aperta al Presidente del Consiglio   Cara Giorgia, sono il direttore responsabile di questo...
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LA STORIA DEL CORONAVIRUS   di Luigi Rezzuti     Già a novembre e forse anche ad ottobre il coronavirus aveva iniziato a circolare in Cina, in...
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IL TEST DI MEDICINA   di Annamaria Riccio   Il test di medicina cambia ancora. Tante le novità di quest’anno: si torna alla vecchia prova nazionale...
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LA CANZONE NAPOLETANA     (Luglio 2023)
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SHARING ART 2021   Mercoledì, 7 luglio, alle ore 18, in Via Civita, 5 Pompei, si terrà la conferenza stampa di presentazione della rassegna SHARING...
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Ritrovare la memoria   di Gabriella Pagnotta   Giorni fa sono rimasta colpita da un articolo di Enzo Bianchi su uno dei mali del nostro tempo che...
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Miti napoletani di oggi.82 I LUOGHI COMUNI   di Sergio Zazzera   Male intendendo il significato della locuzione, nel cortile di un condominio, nei...
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 LA NAVE CHE AFFONDO’ IN UN MARE DI STRACCI   di Luigi Rezzuti   Quella lettera sembrava le bruciasse le dita. Assuntina, una popolana napoletana...
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            Dalla paura al coraggio

Come la scuola può diventare un luogo sicuro

di Maria Rosa Lanza

 

Tutto cominciò quando G., nel mezzo di un incontro con le Forze dell’Ordine – uno di quei momenti di formazione sulla legalità, organizzati per le classi quinte della primaria – trovò il coraggio di raccontare. Con voce incerta davanti a compagni e adulti, rivelò un abuso. A farlo soffrire era stato un vicino di casa, una persona che lui stesso chiamava “zio”. In tanti anni di insegnamento, mi sono trovata davanti a molte situazioni difficili, ma quella confessione mi fece gelare il sangue. In pochi secondi, la quotidianità di una mattina di scuola si era trasformata in qualcosa di profondamente diverso. La storia poi, prese la strada della giustizia, come è giusto che sia stato. Da quel momento, in noi insegnanti nacque una domanda che non ci ha più lasciato: come possiamo aiutare i bambini a conoscersi, proteggersi e capire i limiti dell’affetto? In quella scuola già da un po' si praticavano attività di rilassamento, giochi di ruolo, circle time, ma da quel momento, insieme a un gruppo di colleghe, decidemmo di iniziare dei laboratori di educazione all’affettività con i nostri alunni. Creammo, in maniera sistematica, dei veri e propri momenti di dialogo e di ascolto: gettammo le basi per imparare a dare un nome alle emozioni, a rispettare il prossimo nelle sue differenze, a riconoscere ciò che piace e ciò che fa male, a capire che il corpo è qualcosa di prezioso, che merita rispetto da parte nostra e degli altri. Con il passare dei mesi, quei laboratori diventarono un piccolo luogo sicuro dentro la scuola, dove i bambini cominciarono a parlare con maggiore libertà, ma anche i silenzi diventarono significativi perché sapevano di accoglienza e di accettazione. Non so se si possa già parlare di educazione sessuale, ma so che tutto dovrebbe cominciare molto presto: parlare di rispetto e/o di affettività, sin da piccoli, è importante, anzi necessario. Aiuta i bambini a conoscersi un po' alla volta, a capire chi sono e a guardare gli altri senza paura, con curiosità e gentilezza. Gentilezza, intesa come riconoscimento del valore dell’altro. Essere gentili significa imparare a non ferire con le parole, a non giudicare e a riconoscere la dignità della persona che abbiamo dinanzi. Solo così, crescendo, gli alunni potranno affrontare con serenità e consapevolezza anche argomenti più delicati, come l’identità di genere, l’autostima e il rispetto di sé. La scuola dovrebbe essere proprio questo: un luogo dove si cresce come persone e non solo dove si imparano nozioni. Oggi, ogni volta che entro in classe, porto con me la convinzione che educare all’affettività non significa proteggere. Significa dare ai bambini gli strumenti per conoscersi, per dire no alla violenza, per chiedere aiuto. A volte penso a G., che oggi è un adulto ed ha una famiglia. Penso a quella mattina in cui trovò la forza di parlare, e a tutti i bambini che, grazie a lui, hanno imparato che non sono soli. Penso anche a quelli che non hanno avuto la possibilità di esprimersi ed aprirsi, che hanno portato dentro un dolore silenzioso, diventato con gli anni un peso difficile da sciogliere. Talvolta anche un momento di ascolto, un piccolo gesto di fiducia o un intervento educativo al momento giusto, può cambiare, anche senza che se ne renda conto, la vita di una persona.

Novembre 2025

Scuola e società

Le mamme che chattano … che invenzione!

di Maria Rosa Lanza

 

Ormai è diventata una scena fissa: appena un bambino inizia qualcosa di nuovo, catechismo, calcetto, scuola, ecco!… subito nasce il gruppo WhatsApp delle mamme. E lì succede di tutto. Ci si dà una mano, ci si passa informazioni utili… ma spesso finisce che si parla anche di cose che, forse, i bambini potrebbero benissimo gestire da soli. Ce n’è per ogni attività: palestre, catechismo, sport.

E poi, il più “impegnativo” è il gruppo della classe. Lì si discute di molto, si pianifica, a volte si critica pure la scuola, come se i genitori sapessero sempre più e meglio degli insegnanti. Tutto con le migliori intenzioni, per carità, “è per il loro bene”, “così sono più tranquilli”. Ma... il risultato? Bambini che si sentono sempre osservati, guidati, corretti. Io lo vedo tutti i giorni. I miei alunni me lo raccontano. La chat delle mamme è sempre aperta e attiva, pronta a creare problemi, spesso inutili, senza considerare che i bambini sono quelli che frequentano la scuola e hanno interagito direttamente con le insegnanti, non con  le mamme. E così, invece di lasciare spazio a loro, ai protagonisti, perché possano affrontare le loro esperienze e imparare dai propri errori, gli adulti intervengono continuamente, guidando e correggendo ad ogni passo. E alla fine i bambini crescono, pensando di non potersi permettere errori. L’errore diventa qualcosa da nascondere, non un’occasione per imparare. Invece, lo sappiamo, solo provando, cadendo, rialzandosi, si diventa autonomi. Se ogni piccolo successo viene subito celebrato nel gruppo, il messaggio che passa è che conta più l’applauso che l’impegno. E allora le cose più semplici, come ricordare di dovere svolgere un compito, mettere a posto i quaderni e il materiale scolastico, diventano faccende “da adulti”. Ma se questi bambini non provano mai la frustrazione di sbagliare, come impareranno a fidarsi di se stessi? Il rischio è che   crescano convinti che il mondo non  perdonerà loro  neanche una caduta. E, invece, cadere serve, eccome! Lasciamo che si “arrangino” un po', da soli. Per noi adulti non è facile fare un passo indietro, ma è l’unico modo per regalare loro quello che serve davvero: la libertà di imparare a crescere.

Ottobre 2025

La scuola sospesa

Ricordi di un anno senza abbracci

di Maria Rosa Lanza

 

Ci siamo! È settembre e, insieme al nuovo inizio, riaffiora il ricordo di un tempo che ha segnato tutti: l’anno del COVID. Un anno in cui la scuola ha cambiato volto, diventando qualcosa di diverso, quasi irriconoscibile. Allora le aule non erano più luoghi di incontro, ma spazi delimitati da distanze e regole. I bambini entravano a piccoli gruppi, con mascherine che nascondevano sorrisi e trattenevano lacrimoni silenziosi. Le loro voci arrivavano smorzate, i gesti ridotti, i banchi monoposto, trasformati in piccole isole separate da linee rosse sul pavimento. Nessuno poteva condividere una matita, un biscotto, un libro. Nessuno poteva ricevere una carezza. Era una scuola senza contatto, senza vicinanza. Ci avevano chiesto di fare scuola, ma quella non era scuola. Era un teatro dell’assenza. Eppure, in mezzo alla paura, ci fu spazio per un seme di speranza. Chiesi ai miei alunni di costruire una “scatola del tempo”: dentro vi misero una mascherina, una piccola boccetta di gel igienizzante, un paio di guanti in lattice e biglietti con i loro pensieri, scritti con mani incerte. Dissi loro di conservarla e di aprirla solo da grandi. Un giorno, forse, avrebbero ritrovato non solo i ricordi di quel tempo difficile, ma anche la forza con cui lo avevano attraversato. Il Natale arrivò anche quell’anno, diverso da tutti gli altri. Lo accogliemmo con i tradizionali canti natalizi, ma le voci dei bambini erano attutite dalle mascherine: sembravano cori soffocati, a metà tra un sussurro e un respiro trattenuto. C’era chi cantava con gli occhi lucidi, chi rideva per non piangere e chi stringeva forte il foglio con le parole del canto, come fosse un’ancora di normalità. Poi, tra un pianto nascosto e una risata improvvisa, i mesi scorsero lenti e pesanti. La primavera portò un po’ di sole, ma non riuscì a dissolvere le distanze che ci separavano. E, passo dopo passo, tra regole, linee rosse e mani trattenute, arrivammo a giugno. Fu allora che un bambino mi guardò con occhi grandi e mi chiese: «Maestra, ma il COVID quando passa? Perché non vedo l’ora di abbracciarti!» In quella frase c’era tutto: la stanchezza, il desiderio, la speranza. Era la voce di un’infanzia che reclamava i suoi diritti più autentici: l’amore, il contatto, la vicinanza. Oggi, a distanza di anni, so che pandemia, regole, mancanza di condivisione non hanno potuto spegnere quel bisogno profondo.

E quando, un giorno, quei bambini apriranno la loro scatola del tempo, spero che non ricordino solo la paura, ma anche la certezza che, nonostante tutto, siamo rimasti insieme.

Perché il COVID è passato. Ma l’amore, quello, non passerà mai.

 

Settembre 2025

Il patto educativo

 

di Gilda Rezzuti

 

Tra le istituzioni Italiane, che meriterebbero un’efficiente riforma, la scuola è sicuramente ai primi posti. Infatti, la nostra scuola pubblica ha fallito la sua missione educativa. Malgrado le infinite modifiche, operate dai tanti governi susseguitisi negli ultimi quarant’anni, purtroppo, ancora oggi, nell’era della digitalizzazione e dell’intelligenza artificiale, rimane inadeguata, presentando non poche lacune, soprattutto dal punto di vista educativo e pratico. La scuola moderna per essere idonea, dovrebbe insegnare un sapere per la vita, inteso non esclusivamente come trasmissione di teorie e nozioni, seguendo caparbiamente programmi ministeriali superati e tralasciando gli aspetti emotivi. Il sacro tempio della formazione, come ho affermato in un altro recente articolo, non può più continuare a sacrificare sull’altare del sapere, la parte umana più sensibile. Infatti, promuovere una vera cultura, adesso deve significare includere nel contenitore scolastico una maggiore integrazione di elementi globali. Risulta urgente acquisire una diversa visione, per andare al passo con i cambiamenti epocali, rinnovarsi dal vecchiume di un modello educativo e formativo obsoleto, ormai fuori contesto. La società cambia, è in continua evoluzione, viviamo in un tempo veloce e fluido che, necessariamente, ci pone di fronte a nuove sfide anche in campo educativo. La responsabilità del mondo adulto e dei professionisti del settore, che a maggior titolo si trovano ad interagire con le nuove generazioni, impone un impegno per molti aspetti finora trascurato. La sfida, adesso, è racchiusa nel riuscire ad assicurare ai futuri adulti di domani, l’acquisizione di una pluralità di elementi utili a determinare un’armonica crescita, capace di motivare e far diventare i discenti, oltre che persone istruite, soprattutto bravi cittadini. A questo punto il compito della scuola risulta fondamentale: deve farsi carico dei concreti bisogni degli alunni, aiutandoli prevalentemente a crescere in modo sano, facendoli sentire accolti, ascoltati, compresi, rendendoli protagonisti attivi nel contesto scolastico. La scuola ha il dovere di promuovere, incentivare, sostenere, potenziare, espandere, mettere in rete, e gli insegnanti, singolarmente, quello di rappresentare, per ciascun allievo, un valido punto di riferimento, una guida, un consulente autorevole, in grado di agire sul piano socio-psico-pedagogico, fornendo le giuste risorse per un apprendimento esteso e produttivo. Attualmente i concetti di cultura e istruzione non indicano più soltanto conoscere e sapere, ma imparare ad elaborare, sviluppare, dare nuovi contenuti e nuova forma a ciò che si è appreso così che la mente possa volgersi verso più ampie prospettive.

Forse per ottenere tutto questo, l’istituzione scolastica dovrebbe iniziare ad aprire le sue porte per interagire con diversi soggetti sociali, stipulando un patto tra educatori. Un progetto integrato tra le varie agenzie educative, dove ciascuno, nel rispetto del proprio ruolo, mediante un costante e capillare lavoro, possa, con esperienza, metodo ed attenzione, guidare i ragazzi nella conquista graduale di compiti di crescente responsabilità. Partendo dal nucleo familiare, in collaborazione con una scuola rinnovata, si potrebbe cercare di estendere il raggio d’azione a tutto l’universo, che gravita intorno all’individuo in età evolutiva, per ottenere una più globale crescita equilibrata. Infatti, mediante l’esempio più che con l’imposizione, sicuramente si svilupperanno nei giovani abilità critiche e analitiche, che faranno da bussola per orientarli meglio nelle complesse scelte della vita.

(Febbraio 2025)

CONSIGLI PER PREVENIRE L’INFLUENZA STAGIONALE

 

di Annamaria Riccio

 

 L’influenza stagionale ha importanti conseguenze in primis sulle famiglie con figli a carico, oltre che sul sistema sanitario nazionale: le assenze scolastiche rappresentano un problema economico per i genitori italiani costretti a perdere giorni di lavoro per restare a casa con i bambini o a investire nel babysitting. In questo contesto la prevenzione risulta fondamentale, considerando anche le previsioni epidemiologiche che quest’anno indicano un aumento di casi.

Con l’arrivo dell’autunno e il calo delle temperature, torna puntualmente il tema dell’influenza stagionale, che ogni anno colpisce decine di milioni di persone in tutto il mondo, causando sintomi che vanno da un semplice malessere a complicazioni più gravi, soprattutto tra le categorie di persone più fragili. In particolare, quest’anno si prevede un impatto significativo non solo sulla salute, ma anche sulla vita quotidiana delle famiglie italiane. Secondo i dati diffusi da Assosalute, si stima che, solo in Italia, oltre 14 milioni di persone potrebbero essere colpite da virus respiratori e altre infezioni stagionali. Questo dato preoccupa particolarmente i 6 milioni di famiglie italiane con figli a carico, poiché, come si è appena detto, le assenze da scuola possono generare importanti problematiche economiche per i genitori. Quindi la prevenzione risulta cruciale non solo per ridurre la diffusione del virus e proteggere la propria salute, ma anche per limitare le possibili conseguenze sociali del dilagare del contagio. Come riportato dall’istituto di ricerca dell’Humanitas, l'influenza stagionale ha un decorso di 5-7 giorni che, per i bambini colpiti, si tramutano in assenze scolastiche e, per i genitori, in  giorni di congedo dal lavoro o nel ricorso a servizi di babysitting, che comportano costi aggiuntivi non trascurabili.

In Italia si prevede, infatti, un inverno più impegnativo dal punto di vista influenzale rispetto all’anno scorso, anche perché, oltre ai virus influenzali, è attesa una intensa co-circolazione di molte altre e diverse specie virali, mai da sottovalutare,che  possono sfociare in complicazioni a volte serie e tali da   condurre all’ospedalizzazione. La prevenzione è, dunque, uno strumento fondamentale per mantenere il benessere. Adottare uno stile di vita sano, sostenere le proprie difese immunitarie e intervenire tempestivamente appena si presentano i primi sintomi, sono le tre regole fondamentali per proteggere la propria salute. A queste, se ne aggiungono altre più specifiche quali detergere spesso le mani, riparare bocca e naso quando si tossisce e starnutisce, non toccare occhi naso e bocca che sono vie d’accesso per il virus, evitare il fumo sia attivo che passivo, seguire un regime alimentare sano a base prevalentemente di prodotti vitaminici, rimanere a casa quando si manifestano i primi sintomi influenzali.

(Novembre 2024)

IL TEMPIO DEL SAPERE

 

di Gilda Rezzuti 

 

Marco frequentava il primo anno di scuola superiore. L’edificio scolastico, dopo il terremoto dell’Ottanta in Irpinia, subì dei danni importanti, anche se fu dichiarato, comunque, agibile da parte dei tecni. Presentava evidenti lesioni che, come arterie, si distendevano ramificate sulle pareti e sul soffitto. L’intonaco veniva via come pelle d’uovo.

L’impianto di riscaldamento era guasto e, durante l’inverno, si faceva lezione imbacuccati. Gli alunni prestavano poca attenzione in aula, ognuno assorto nel suo mondo di sogni e di conflitti. L’interesse maggiore era per l’altro sesso, nascevano i primi turbamenti. Un’altra passione era organizzare scioperi, spesso non per difendere un’ideologia politica o sociale, ma solo per sottrarsi a qualche giorno di lezione. Gli insegnanti erano personaggi stravaganti, nettamente deludenti, rispetto al loro ruolo. A lavoro tutti scostanti e distratti, scarsamente empatici e diseducativi. L’insegnante di matematica era sempre concentrato sulla lettura del suo quotidiano, fino al suono della campanella, mentre quello di lettere, severo e antidemocratico, era un omone con scarsa memoria, che confondeva volti e nomi, non accettava nessun confronto e puniva chiunque non la pensasse come lui. Infine, la professoressa di storia dell’arte, un po’ attempata, non distingueva uno scarabocchio da un Kandinskij e sosteneva che Picasso fosse un futurista.

Il preside della scuola, soprannominato dagli alunni “fantasma”, per le sue assenze, era un noto architetto, che dedicava più tempo ai suoi interessi professionali che al  ruolo ufficiale che rivestiva. Per fortuna c’era Leo, il bidello, uomo di vera cultura, si potrebbe dire, con la capacità di trasmettere lezioni di vita e, soprattutto, in possesso della rara virtù di saper ascoltare. Era il mentore e il consigliere, l’essenziale, per gli adolescenti, in quella realtà inutile.

Marco notò che, in questo luogo, nessuno era al posto giusto e ben presto capì come sarebbe stata ingiusta la vita. Il ragazzo, timido ma molto profondo, disapprovava la scuola pubblica ritenendola un’istituzione superata, che necessitava di una riforma immediata e capillare, non sopportava di essere indottrinato al pensiero comune. Avrebbe preferito frequentare un rinnovato centro di cultura, in grado di stimolare l’analisi e il pensiero critico. Era un giovane dalle mille curiosità che amava leggere e si chiedeva sempre il senso delle cose. Un giorno durante un viaggio, trovò un libro sul sedile di un treno, la sua attenzione ne fu catturata, qualcuno lo aveva dimenticato. Timidamente se ne impadronì, lesse il titolo: “Les fleurs du mal” di Charles Baudelaire. Rimase affascinato dalla lettura di quei versi crudi, le dense parole di quelle poesie gli scossero l’anima e iniziò a trovare risposte ai suoi tanti perché, anche se lontano e fuori dal “tempio del sapere”.

(Ottobre 2024)

IL TEST DI MEDICINA

 

di Annamaria Riccio

 

Il test di medicina cambia ancora.

Tante le novità di quest’anno: si torna alla vecchia prova nazionale con 60 quesiti a risposta multipla (quattro di competenze di lettura e conoscenze acquisite negli studi, cinque di ragionamento logico e problemi, 23 di biologia, 15 di chimica e 13 di fisica e matematica) e 100 minuti a disposizione dei candidati per rispondere. Ciascuna risposta esatta varrà 1,5 punti; - 0,4 punti quelle errate e zero le omesse. Per essere ammessi in graduatoria bisognerà aver conseguito almeno 20 punti. Graduatoria che arriverà il 10 settembre.

Cambiano le sessioni per l’accesso che si raddoppiano, fissate per il 28 maggio e il 30 luglio, e una banca dati con 7mila quesiti che saranno messe online a partire, rispettivamente, dall'8 maggio e dal 10 luglio.

Nel decreto definitivo si terrà poi conto anche delle nuove attivazioni di Medicina: sono sei quelle vidimate nei giorni scorsi dal Consiglio universitario nazionale e in attesa del "bollino" dell'Anvur e del ministero. Se confermate, salirebbero a 95 le sediche ospitano un corso in Medicina e Chirurgia, nelle sue diverse forme. Nel giro di un decennio, i luoghi di formazione dei futuri camici bianchi sono aumentati di oltre un terzo. Nel 2013 erano 60 e, dopo una breve discesa a 58 nel 2014 e a 59 nel biennio successivo, dal 2017 è iniziata una risalita sempre più sensibile. Fino alle 89 dell'anno scorso. Un trend che ha cambiato profondamente la conformazione accademica di alcuni territori.

Con uno sguardo anche alla riforma complessiva del numero chiuso annunciata peril 2025.

Un ritorno al passato scandito dal clamore suscitato dagli oltre tremila ricorsi dello scorso anno che riportavano anomalie riscontrate con le modalità TOLC MED gestite dalla piattaforma Cisia.

Ci auguriamo un sistema di reclutamento corretto e un adeguato criterio di scelta per la futura professione sanitaria. Il covid ha lasciato una triste storia di esigua presenza in base alla ingente richiesta di personale, che vedeva fortemente penalizzati i medici impegnati in turni massacranti. Nonostante la pandemia si sia gradualmente affievolita, non possiamo non considerare il crescente bisogno che ancora non trova ricambio di una generazione ormai in via di pensionamento. Ci avviamo verso un futuro di persone sempre più anziane e con una necessità che richiede molta attenzione nel settore sanitario.

(Aprile 2024)

LA COSTITUZIONE APERTA A TUTTI

Al centro dell’incontro il tema dell’Inclusione

 

di ANNAMARIA RICCIO

 

Realizzata da Giuffrè Francis Lefebvre insieme al Ministero dell’Istruzione e del Merito e all’Università Roma Tre, l’iniziativa promuove la cultura giuridica fra i giovani e una consapevole partecipazione democratica con un ciclo di appuntamenti in tutta Italia.

 

Martedì 20 febbraio si è svolta a Napoli presso l’Istituto Penale per Minorenni di Nisida, la quinta e ultima tappa de “La Costituzione aperta a tutti”, il ciclo di incontri itinerante organizzato dalla casa editrice Giuffrè Francis Lefebvre, insieme al Ministero dell’Istruzione e del Merito e all’Università Roma Tre, con l’obiettivo di promuovere la cultura giuridica fra i giovani di tutta Italia e contribuire a rendere il diritto sempre più accessibile.

Dopo la grande partecipazione registrata nelle precedenti tappe di Roma, Campobasso, Milano e Ancona, la prima edizione itinerante de “La Costituzione aperta a tutti” ha avuto il suo epilogo a Napoli con un appuntamento speciale, dedicato al tema dell’“Inclusione”, come obiettivo costituzionale. Diversi gli ambiti analizzati, nei quali l’esigenza della promozione di inclusione diventa particolarmente stringente. Le situazioni di marginalità, di presunta “diversità”, costituiscono l’oggetto di una riflessione rivolta a far emergere le implicazioni essenziali dell’impegno della Repubblica nella lotta alle diseguaglianze.

All’incontro hanno partecipato Gianluca Guida, Direttore IPM Nisida, Antonio Delfino, Direttore relazioni istituzionali Giuffrè Francis Lefebvre, Marco Ruotolo, Università Roma Tre e Alberto Lucarelli, Università Federico II di Napoli.


“La Costituzione aperta a tutti” nasce con l’obiettivo di esplorare, insieme a studenti, cittadini ed esperti giuridici, i legami tra conoscenza, cultura, libertà e società, attraverso una serie di incontri itineranti in tutta Italia, dedicati alla Costituzione.

Per promuovere ancora di più la cultura giuridica nelle scuole, i momenti in presenza previsti dal progetto “La Costituzione aperta a tutti” si affiancano all’omonimo laboratorio didattico permanente online sulla piattaforma del Ministero dell’Istruzione

Educazione Digitale (https://www.educazionedigitale.it/lacostituzioneapertaatutti/).

Qui i docenti di ogni scuola e grado possono attingere alle registrazioni degli eventi e ad altri numerosi materiali online. A questo scopo, Giuffrè Francis Lefebvre ha anche prodotto per l'occasione un eBook gratuito, a cura di Marco Ruotolo e Marta Caredda, disponibile per il download da parte di tutte le scuole italiane, oltre che in versione cartacea.

Il volume intende proporsi come un’opera corale e in divenire, che ha l’ambizione di essere letta e consultata in tutti quei luoghi in cui si avverta l’esigenza di approfondire tematiche di educazione civica e di cultura della legalità, a partire naturalmente dalle scuole e dalle università, per dialogare sugli elementi fondanti della democrazia, sui diritti e doveri dei cittadini, dei quali la nostra Carta costituzionale si fa garante, concretandone la salvaguardia e la divulgazione. Un invito a non rifugiarsi nell’indifferenza, a far vivere la Costituzione repubblicana riscoprendo la profondità e l’attualità delle sue parole, a settantacinque anni dall’entrata in vigore.

La prossima edizione de “La Costituzione aperta a tutti” prenderà il via in autunno con un evento speciale inaugurale a Torino, dedicato al tema della “laicità”.

(Febbraio 2024)

Iscrizioni Scuola - Orientamento e Scelte

 

Per 8 studenti su 10 il diploma può bastare a trovare un buon lavoro

Ma poi è fondamentale la specializzazione

 

di Annamaria Riccio

 

La maggior parte dei prossimi alunni della scuola secondaria di primo grado sembra rivalutare il “semplice” diploma di maturità, meglio se in combinata con ulteriori percorsi formativi, anche diversi dalla laurea. Ciononostante, si continuano a preferire in blocco i licei, più proiettati verso l’università. Un approccio dietro il quale ci sono problematiche da migliorare nell’orientamento scolastico. Ma anche la poca conoscenza del mercato del lavoro. A disegnare questo scenario, una ricerca condotta da Skuola.net nell’ambito del progetto “Che ci faccio col diploma?”, promosso da Unioncamere che rileva quanto il diploma, per la maggior parte degli studenti, possa aprire un futuro soddisfacente nell’ambito lavorativo, pur ammettendo la necessità di percorsi formativi specializzati.

Solo una parte esigua dei ragazzi ritiene indispensabile una laurea per far carriera. Nonostante questa visione, anche quest’anno l’opzione licei dovrebbe essere predominante al termine delle iscrizioni scolastiche. La scuola dovrebbe contribuire sempre di più ad aprire gli orizzonti alle ragazze e ai ragazzi, aiutandoli a conoscere meglio le proprie attitudini, con le diverse opportunità, offerte dai percorsi formativi e dal mondo del lavoro. 

Tra gli studenti che tra pochi giorni dovranno scegliere la scuola superiore, ben 8 su 10 si discostano, infatti, dal luogo comune che vede l’università come l’unica strada in grado di garantire un futuro soddisfacente, a cui rimane legato il 19%. La nuovissima generazione, la cosiddetta Alpha, sembra dunque differenziarsi da quella precedente, ossia la Zeta, per una visione del periodo post-diploma in cui l’università è solo una delle tante opportunità per completare la propria formazione e inserirsi nel mondo del lavoro.

Ma, allo stesso tempo, la maggior parte dei ragazzi che rivalutano la “spendibilità” di un buon diploma è consapevole che non ci si possa certo fermare al termine delle scuole superiori: il 52%, perciò, immagina che per aumentare le proprie chance occupazionali, prima di candidarsi per un lavoro qualificato, un diplomato debba comunque passare per una delle tante opportunità di specializzazione professionalizzante disponibili oggi (ITS Academy, lauree o corsi professionalizzanti, tirocini aziendali, ecc.), mentre un più esiguo 29% crede che per farcela siano sufficienti volontà e determinazione.

In prospettiva, questo, è sicuramente un buon segnale, visto che in base agli ultimi indicatori forniti dalla stessa Unioncamere il 29% dei contratti di lavoro programmati dalle imprese dei settori industriali e dei servizi nel 2023 ha riguardato diplomati e nei prossimi 5 anni la previsione è che tale quota supererà il 31%. Peccato che i diplomati più richiesti spesso non siano sufficienti a soddisfare il fabbisogno delle imprese, che in molti casi cercano invano profili “introvabili”, in possesso di un titolo di tipo tecnico o professionale: Unioncamere stima che nei prossimi 5 anni potrebbero mancarne addirittura più di 200 mila.

Su questo aspetto, a giudicare dai risultati del sondaggio, sembra tuttavia che gli studenti della scuola secondaria di primo grado di oggi continuino a guardare in massa in direzione dei licei. Alla vigilia dell’apertura delle iscrizioni, circa 6 su 10 stanno valutando soprattutto questi indirizzi. Un dato in linea con quanto rilevato in passato dall’Osservatorio e soprattutto con le scelte effettive degli studenti, registrate negli ultimi anni.

Purtroppo, però, sappiamo che questa “licealizzazione” di massa porta con sé alcuni effetti collaterali. A causa di un orientamento errato alcuni di loro finiscono per spostarsi, durante il quinquennio, sull’istruzione tecnico-pratica o, peggio ancora, abbandonano in corso d’opera. Oppure, quasi costretti a iscriversi all’università dopo la Maturità, non riescono a completare il percorso accademico. Riscontrando così grandi difficoltà a trovare un’occupazione a elevata qualifica (e retribuzione).

Alla base di un paradosso del genere potrebbero esserci varie motivazioni. Una di queste è sicuramente la visione che i ragazzi hanno del mondo del lavoro, con la contemporanea assenza di una conoscenza reale dei mestieri che trainano oggi il mercato. Ci si rende conto di questa percezione chiedendo loro cosa vorrebbero fare da adulti. Le occupazioni più gettonate restano, ad esempio, l’insegnante, il medico, l’ingegnere, lo psicologo, anche se i sondaggi attestano richieste di “tecnici” o comunque di risorse con abilità pratiche. Un punto importante è lo snodo relativo al passaggio dalle scuole secondarie di primo grado a quelle di secondo grado, laddove emerge che, nonostante l’orientamento, tale attività non ha aiutato a chiarire agli studenti un’adeguata scelta per l’istituto superiore.

Ma la principale leva da attivare per superare questo disallineamento tra le idee e le intenzioni è proprio quella dell’orientamento, per evitare di fare delle scelte quasi “al buio”. Un problema che i recenti interventi del Ministero dell’Istruzione e del Merito (MIM) intendono risolvere. E i risultati di questa azione sembrano già iniziare a vedersi: rispetto a un anno fa. Infatti, si sgonfia leggermente la quota dei “licenziandi”.

La situazione, però, dovrebbe migliorare nei prossimi anni, visto che il PNRR ha portato con sé una riforma dell’orientamento scolastico, che impone lo svolgimento di almeno 30 ore specifiche all’anno, a partire dalla prima media.

A tal proposito, sta crescendo anche il contributo specifico di Unioncamere - l’Unione italiana delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura - che si sta impegnando per rendere disponibili gli strumenti del Sistema Informativo Excelsior a studenti, genitori e docenti: dalla piattaforma Excelsiorienta - un innovativo tool per l'orientamento, proposto in modalità gaming - all’integrazione dei dati occupazionali con la piattaforma Unica, dove il MIM da quest’anno ha fatto atterrare le procedure di iscrizione on line.

Infine, proprio in questi giorni arriva il progetto di divulgazione Che ci faccio col diploma?, realizzato in collaborazione con Skuola.net, con lo scopo di sensibilizzare alunni e genitori sul valore professionale dei vari diplomi di scuola superiore.

(Gennaio 2024)

IL REBUS DELLA SCELTA POST MATURITA’

 

di ANNAMARIA RICCIO

 

Orientamento scolastico last minute, se non inesistente: un terzo dei maturandi dice di essere stato "orientato" dalla scuola solo durante l'ultimo anno. Sempre meglio di quel 26% che non ha proprio svolto alcuna attività mirata. Ma anche quando l'orientamento c’è stato, oltre la metà dei partecipanti lo ha trovato poco utile per scegliere la propria strada. Le iniziative vengono percepite troppo teoriche e distaccate dalle reali esigenze del mercato. Meno di 3 su 10 conoscono le alternative ai percorsi di laurea

 Ora che ho il diploma, che ci faccio? Un quesito che si è sicuramente posto 1 maturando su 3, ovvero quanti non hanno avuto la minima idea di quali strade poter intraprendere. A evidenziarlo è stata la seconda edizione dell’osservatorio “Giovani e Orientamento”, un'indagine condotta da Skuola.net in collaborazione con Gi Group – prima agenzia per il lavoro a capitale italiano - su un campione di 3.000 ragazze e ragazzi delle scuole secondarie superiori, tra cui 1.000 maturandi intercettati nel corso degli esami di Stato.

 Uno scenario, quello appena descritto, che appare ancora meno rassicurante se si considera anche che solo 1 maturando su 5 sostiene di sapere perfettamente quale “porta” aprire. Mentre la restante metà del campione (46%), pur avendo in mente delle opzioni di scelta, ha ancora qualche incertezza su come muoversi. Confermando come il problema dell’orientamento e dell’efficacia delle attività deputate a farlo sia purtroppo diventato strutturale: una ricerca simile svolta lo scorso anno proponeva un quadro praticamente identico.

 In un contesto del genere, non è escluso che si finisca per sbagliare strada e, talvolta, di andare a ingrossare la già troppo corposa schiera dei NEET (giovani inattivi). I neodiplomati sono perfettamente consapevoli di ciò e lo mettono in preventivo: quasi 6 su 10 già oggi temono di entrare a far parte di quei “giovani che non studiano né lavorano”. Circa la metà di questi, addirittura, ne è quasi certa. Un numero, il loro, che in soli dodici mesi è ulteriormente cresciuto: nel 2022 gli “spaventati” erano poco più del cinquanta per cento del totale.

 Quanto basta per intervenire. Per gli studenti in uscita dal sistema scolastico si può fare poco - ad aiutarli ci dovranno pensare i professionisti che si occupano di formazione terziaria e inserimento nel mondo del lavoro - ma per quelli che ancora sono tra i banchi qualcosa ci si può inventare, lavorando soprattutto sull’orientamento che, a quanto pare, sembra essere il vero anello debole della catena. Basti pensare che, secondo le recenti indagini sui maturandi, oltre un quarto (26%) pare non abbia svolto attività di rilievo lungo l’intero quinquennio delle superiori. E circa un terzo (33%) ha iniziato solamente durante l’ultimo anno. Appena 1 su 10 ha preso i primi contatti col domani perlomeno dal terzo anno in poi, ovvero quando sarebbe più indicato, avendo davanti un tempo ragionevole per pensare, interrogarsi, informarsi e sperimentare.

 Ma non è solo questo il problema. Le attività di orientamento, oltre che scarse quantitativamente, sono giudicate anche qualitativamente poco efficaci. Tra chi ha avuto la fortuna di svolgerle, ben oltre la metà (59%) si sente di bocciarle: il 42% le ha trovate poco utili, mentre il 17% le stronca senza appello. Il motivo? Un approccio eccessivamente teorico all’argomento che le rende noiose (così per il 57% degli scontenti) e un tendenziale distacco dalla realtà (per il 32%).

 E poi c’è il tema della focalizzazione, da parte degli orientatori, soltanto su un tema: l’università. Oltre 3 studenti su 4 (76%) hanno ascoltato soprattutto “televendite” di atenei e corsi di laurea. Al contrario, di percorsi formativo-professionali post-diploma ha sentito parlare solo il 28%. Meno di 1 su 4 ha ricevuto una panoramica sugli ITS, gli Istituti Tecnologici Superiori (24%), su concorsi e selezioni nel settore pubblico o privato (23%) o sui passaggi principali per “fare impresa” (20%). Una sparuta minoranza (14%) ha sentito parlare dei percorsi IFTS, che in meno di un anno preparano ad alcune tra le professioni più richieste e ricercate dal mondo del lavoro.

 Forse per questo, almeno sulla carta, i neodiplomati sembrano essere intenzionati ad aspirare in massa al titolo accademico. Almeno fra le ragazze questa è parsa essere una scelta quasi obbligata: il 74% delle maturande, nel campione intervistato, puntava alla laurea; tra i maturandi ci si fermava al 46%. Ciò significa che, se le statistiche non mentono, molti di loro rischiano seriamente di rimanere delusi, visto che in Italia la quota di giovani laureati stenta a superare il 30% della popolazione di riferimento.

Diversamente, i maschi si dimostrano più aperti verso le alternative all’università: le percentuali di coloro che sono intenzionati a entrare subito nel mondo del lavoro oppure a provare la via del pubblico impiego (Forze armate e di Polizia incluse) o a frequentare un corso tipo ITS/IFTS sono doppie rispetto a quanto registrato tra le coetanee. Non mancano però quelli - sono 1 su 5 tra i ragazzi e 1 su 10 tra le ragazze - che probabilmente si fermeranno per un anno oppure tenteranno la fortuna all’estero.

 Che, dunque, serva - e ci sarà il prossimo anno - una profonda riforma delle attività di orientamento, a cui tutti possono avere accesso, sembra cosa ovvia. Si spera che, all’atto pratico, le nuove figure dei docenti orientatori facciano tesoro dei suggerimenti degli stessi ragazzi. E questi ultimi qualche idea per cambiare le cose ce l’hanno. Loro, infatti, vorrebbero “sporcarsi le mani”, entrare di più nel vivo del mondo del lavoro già negli anni della scuola: stage e tirocini formativi, più concreti dei PCTO che si svolgono oggi, sono la priorità per un terzo degli alunni delle superiori (31%).

 Tanti altri, consapevoli delle difficoltà di dialogo tra il mondo della scuola e le imprese, si accontenterebbero di visite in contesti lavorativi o di incontri con personaggi provenienti dalle aziende: così per il 23%. Una fetta importante (12%) spingerebbe sui colloqui individuali, per avere, ciascuno, dei consigli quanto più personalizzati: attualmente, solo 1 su 5 viene orientato in questo modo. Molto utili, infine, vengono considerate le testimonianze di giovani lavoratori, che sino a pochi anni prima si trovavano nelle stesse condizioni di quanti ora vivono nel più totale (o quasi) disorientamento: le introdurrebbe stabilmente l’11%. Solo una minoranza (4%) continuerebbe a puntare sulle “spiegazioni” di gruppo.

 “In Italia - sostiene Zoltan Daghero, Amministratore Delegato di Gi Group - c’è un grosso tema di NEET, di giovani inattivi e di mismatch tra domanda e offerta, che inizia proprio dalle nuove generazioni. Nel passaggio scuola-lavoro sono fondamentali l’orientamento, l’attivazione di percorsi formativi mirati e il coinvolgimento anche delle famiglie e dei docenti. In questo sta il nostro ruolo: fare da ponte tra questi mondi e permettere alle ragazze e ai ragazzi di conoscere tutte le strade e le opportunità che hanno davanti per esprimere il proprio talento e costruire il proprio futuro. Da un lato valorizzando la formazione duale, a partire da ITS e IFTS, dall'altro facendo conoscere l'evoluzione del mercato del lavoro e delle professionalità, superando stereotipi di genere ancora troppo radicati nella nostra cultura. Per noi questi sono temi cruciali e proprio per questo motivo siamo impegnati nell’avvicinarci ai luoghi reali e virtuali più frequentati dai giovani e a formulare iniziative e proposte che parlano i linguaggi delle nuove generazioni”.

 “L’orientamento a scuola - sottolinea Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net - viene spesso approcciato in maniera tardiva o è addirittura assente. E anche quando le attività vengono proposte, queste non contribuiscono a risolvere i dubbi degli studenti. Le testimonianze dei ragazzi sono impietose in questo senso, così come anche gli esiti: un terzo dei maturandi, dopo tredici anni passati tra i banchi di scuola, ha ben poche idee in merito a cosa fare con il diploma che ha in mano. E sorprende fino a un certo punto anche il fatto che quasi il 60% di loro abbia paura di diventare un NEET. In un Paese che, però, paradossalmente offre lavoro a decine di migliaia di giovani in posizioni nelle quali è impossibile o quasi trovarli. Per modificare un po’ la rotta potrebbe, forse, bastare che qualcuno raccontasse di queste opportunità; magari il mismatch (condizione di disequilibrio tra domanda e offerta) sarebbe minore”.

(Ottobre 2023)

I 40 ANNI DEL MELARANCIO, UN RICORDO CHE FA PENSARE (26/04/1983 – 26/04/2023)

 

di Annamaria Riccio

 

Tanto è il tempo trascorso da quel tragico giorno, 40 anni. Non voglio ricordare i fatti di quel terribile incidente. E non voglio nemmeno rimarcare quelle che furono le mie sensazioni, i miei pensieri nell’apprendere l’accaduto mentre mi trovavo in sala professori di una delle prime scuole nelle quali prestai il mio lavoro di supplente (ne parlai già anni fa in un articolo simile). Ciò che risveglia la mia sensibilità, e ancor di più la mia ottica di persona matura nel considerare gli eventi oltre le dinamiche dei fatti, è una considerazione della vita come elemento prezioso, ma anche e soprattutto come dono da tutelare.

Gli allegri adolescenti che, seduti in quel comodo pullman all’ingresso della galleria del Melarancio verso Firenze, assaporavano per la prima volta la gioia e la responsabilità di un viaggio che li avrebbe resi più grandi, più maturi nel loro percorso di crescita, mai potevano aspettarsi una tale catastrofe. Mai potevano pensare che oggi avremmo commemorato 40 anni di vita negati alla loro fresca esistenza.

Così come potrebbero essere le aspettative dei giovanissimi ammalati oncologici che, ahimè, riempiono i nosocomi pediatrici. E così come sono state negate le aspettative delle giovani vite spezzate da azioni criminali o indotte da comportamenti che denotano infamia e cattiveria nel temperamento di chi le attua. Mi riferisco ai tanti episodi di bullismo che scavano e alterano la mente di indifesi fanciulli fino all’incitamento a gesti estremi.

 Gli “11 Fiori del Melarancio” sarebbero stati felici di raccontare ai propri figli un epilogo di quel viaggio del tutto diverso e, tuttavia, la fatalità ha avuto la meglio. Le malattie sorgono inaspettate, ma anche in questo caso, l’uomo è scevro da ogni colpa? Pensiamoci. Ci affidiamo al destino, eppure il fato va aiutato. Va accompagnato ad un comportamento responsabile che faccia riflettere, prima di qualunque azione. E questo vale sia per l’autista dell’altro pullman che viaggiava in senso inverso, sia per i discutibili personaggi che consentono di avvelenare l’atmosfera colpendo il genere umano, sia per i giovani che credono di risolvere i loro problemi creandone agli altri, sia per i tanti, troppi delitti che mietono giovani vittime.

(Aprile 2023)

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