Rappresentare Eduardo De Filippo
di Luigi Rezzuti
È bello? È brutto? È il teatro. Ogni spettacolo una storia a sé. È l'unico modo in cui possa andare avanti questa forma d'arte. Vittorio Viviani non concedeva il permesso di mettere in scena i testi del padre, Raffaele, perché reputava che nessuno fosse in grado di eguagliare la sua bravura interpretativa. Il grande teatro di Viviani rischiava di restare chiuso ad invecchiare in copioni impolverati. Molière, Shakespeare e anche lo stesso teatro plautino sarebbero finiti con la fine degli autori/attori se non avessero avuto, ciascuno di essi, nuove vite interpretative. Eduardo ci ha lasciate queste portentose testimonianze in video, ed è un grande privilegio che abbiamo avuto in dono, ma è giusto che gli altri si confrontino col suo teatro, bene o male? È un discorso che compete alla critica. Ma è un bene che la drammaturgia eduardiana continui un suo percorso sganciata dall' Eduardo attore? Dovrebbe essere così. Molti noti attori hanno cercato di portare sul palco le commedie del grande Eduardo come i fratelli Giuffre, “Non ti pago”, Sergio Castellitto, “Le voci di dentro”, Massimiliano Gallo, “Napoli milionaria” e, ultimo, Vincenzo Salemme, “Natale in casa Cupiello”, hanno cercato di dare tutto il loro impegno artistico ma non sempre i risultati sono stati all’altezza. Il 26 dicembre Vincenzo Salemme e la sua compagnia, dall’Auditorium “Domenico Scarlatti” della sede Rai di Napoli, ha portato in scena la commedia di Eduardo De Filippo: “Natale in casa Cupiello”, è stata senz’altro una buona rappresentazione ma le pause, la mimica, l’espressione, il volto di Eduardo non di può interpretare. Vincenzo Salemme pur recitando alla grande ha recitato alla Salemme....
(Gennaio 2025)
LUISA RANIERI ATTRICE
A cura di Luigi Rezzuti
Luisa Ranieri la conosciamo per essere una famosa attrice italiana.
Si è fatta le ossa da solo con molti anni di sacrificio ed è stata la protagonista di numerosi film e serie Tv.
Era il dicembre del 1973 quando Luisa Ranieri nasce a Napoli.
In molte occasioni l’attrice ha raccontato di avere avuto un’infanzia e un’adolescenza molto difficile. I suoi genitori si sono separati quando aveva solo otto anni, era un’adolescente e ha dovuto affrontare un percorso da uno psicologo. A solo otto anni ha dovuto affrontare la triste realtà della separazione dei genitori. Un evento che l’ha segnata nel profondo e che ha vissuto come unn abbandono da parte del padre.
Luisa Ranieri non ha alcun legame di parentela con il cantante Massimo Ranieri che, tra le altre cose, usa uno pseudonimo, infatti il suo vero nome è Giovanni Calone.
Il suo papà biologico è morto quando aveva solo 24 anni e non lo aveva nemmeno conosciuto bene.
La carriera di Luisa Ranieri inizia intorno agli anni Duemila e nel corso di tutti questi anni non ha fatto altro che incassare un successo dietro l’altro.
La sua primissima apparizione ce l’ha al cinema nel 2001 in un filma di Pieraccioni intitolato “Il principe e il pirata”, in cui avrà un ruolo da protagonista. Subito dopo viene scelta da Antonioni per il film Eros nel capitolo intitolato “Il filo pericoloso delle cose” e nel 2007 la troviamo nella pellicola “SMS Sotto Smentite Spoglie” diretto da Vincenzo Salemme. Nel 2009, invece, sarà una delle protagoniste di “Gli amici del bar Margherita” di Pupi Avati.
Ma Luisa Ranieri non si accontenterà del grande schermo e lavora molto anche in televisione. Qui, avrà dei ruoli molto importanti soprattutto nelle fiction e serie Tv. Tra quelle più importanti troviamo “Cefalonia” del 2005, “Callas e Onassis” sempre nel 2005, “ O’ Professore” del 2008 e nello stesso anno compare in “Amiche Mie”.
Nel 2009 e 2010 tenta anche la strada del teatro e sarà la protagonista dello spettacolo “L’oro di Napoli”. Infine, nel 2021 la vediamo come figura principale della miniserie ”Le indagini di Lolita Lo Bosco”.
Luisa Ranieri è sposata con l’attore Luca Zingaretti, storico volto del Commissario Montalbano, con il quale è legata dal 2005- la coppia ha fatto il suo primo incontro sul set del film Cefalonia, quando l’attore stava uscendo dal suo divorzio con la prima moglie, Margherita D’Amico. I due attori si sono sposati in Sicilia, con rito civile, nel 2012 e hanno avuto due figlie.
(Marzo 2023 - Gli articoli vengono riprodotti quali ci sono pervenuti)
LUCIA CASSINI
di Luigi Rezzuti
Lucia Cassini è nata il 4 maggio del 1951. Ha avuto un grande successo negli anni ’70. Molte le sue popolari collaborazioni, fra le altre ricordiamo quelle con Carlo Dapporto, Walter Chiari, Leo Gullotta.
Guidata da Angelo Fusco, Dino Verde, Castellacci e Pigngitore, ha girato più di 30 film, varie serie TV e Fction.
Lucia è detta anche la Totò in gonnella, ha ricevuto premi e riconoscimenti fino al “tormentone” degli anni ’80 “Balla Concetta”.
È una napoletana doc, una napoletana verace, nata a piazza del Gesù.
Si racconta così: Ero una bambina molto curiosa e dal balconcino di casa osservavo il passeggio e imitavo le persone, da quella esperienza è nata la mia passione per il teatro.
Mio nonno, che era la prima tromba del San Carlo e anche procuratore generale del Banco di,Roma, mi portava a via Toledo a comprare i giocattoli però io volevo gli strumenti musicali. A otto anni cantavo al Bar “Caprice” (caffetteria storica di Napoli) e come ricompensa avevo un babà. Cantavo le canzoni di Nino Taranto e facevo indigestione del mio amato dolce. A 9 anni divenni “Enfant Prodige” in Rai, dove fui scelta per esibirmi nella trasmissione “Piccolo Mondo” condotta da Silvio Noto. Al pianoforte c’era il grande Roberto De Simone, che ci ha cresciuti un po' tutti. A 12 anni incominciai a fare i Concerti dal vivo, le famose “piazze”, cantavo in napoletano, in francese, in spagnolo, in inglese. Ho fatto l’avanspettacolo e a 14 anni sono stata a Castrocaro con Ravera, ho inciso molti dischi, insomma ho fatto tanta gavetta prima di diventare “Lucia Cassini”. Ho nostalgia di Fellini, con il quale ho lavorato, mi mancano Oreste Lionello e Gianfranco D’Angelo, con i quali ho fatto “Il Bagaglino”, poi Pingitore, che mi ha diretto, Nino Taranto e Totò, Vittorio De Sica, col quale ho girato uno dei miei primi film, Massimo Troisi, Riccardo Pazzaglia e, Marcello Mastroianni con cui ho fatto un film. Ho nostalgia anche degli attori di oggi con i quali, a causa della pandemia, ho momentaneamente interrotto le collaborazioni, come Enzo De Caro, Tullio De Piscopo, Giacomo Rizzo, Gino Rivieccio. Qualche anno fa (nel 2018) ho subito un’operazione e nel percorso ospedaliero ho ideato un romanzo che ho chiamato “Ischia forever” da cui è nata una Fiction che ho momentaneamente interrotta per il covid. Intanto ne ho tratto un libro che ho dedicato a Carlo Croccolo che nella fiction faceva mio padre. Appena possibile riprendo le presentazioni a cui ho legato uno spettacolo che porterò nei teatri italiani, finirò la fiction e mi dedicherò ad un altro spettacolo dal titolo “Da Sanremo canta Napoli”, dove lancerò tanti giovani. In questi giorni sto ricevendo tanti premi alla Carriera e sto scrivendo anche un nuovo libro in preparazione alla grande festa per i miei 50 anni di carriera dove ricorderò Enzo Cannavale, Mario Merola, Pietro De Vico e tanti altri che voglio far conoscere soprattutto ai giovani per promuovere la nostra Arte napoletana”.ualche anno fa 8Nel
Tanti auguri, cara amica, ancora oggi nel mio cuore.
(Ottobre 2021)
EDUARDO DOPO EDUARDO
di Sergio Zazzera
Durante la sua vita, Eduardo de Filippo concesse i diritti di rappresentazione dei suoi testi teatrali soltanto a compagnie amatoriali e questa sua politica fu fatta proseguire dal figlio Luca: evidentemente, in questo modo si intendeva evitare diversi rischi, da quello di una modalità di recitazione che potesse competere, in qualche modo, con quella del Maestro, fino a quella di forme prevaricatorie di regìa.
Poco per volta, i cordoni di questa politica si allargarono e i risultati furono, per lo più, positivi: Questi fantasmi, Non ti pago e Sabato, domenica e lunedì, messi in scena, rispettivamente, da Carlo Giuffrè, Tullio del Matto e Toni Servillo, furono rappresentati con un rispetto del testo pari a quello che Eduardo imponeva a sé stesso e pretendeva dai suoi attori.
Con l’avvento della terza generazione (o quarta, se consideriamo anche Eduardo Scarpetta), poi, le commedie di Eduardo sono approdate anche alla cinematografia (ma c’era già stato Matrimonio all’italiana – da Filumena Marturano – di Vittorio de Sica, nel 1964). Negli ultimi tempi, in particolare, sono state trasposte in linguaggio cinematografico Il sindaco del rione Sanità e Natale in casa Cupiello, per la regìa, rispettivamente, di Mario Martone e di Edoardo de Angelis; ed è proprio su queste due realizzazioni che vorrei intrattenermi brevemente.
Ho letto, infatti, critiche esaltanti, rivolte al primo di tali lavori, e, viceversa, svilenti, relativamente al secondo; critiche che (da spettatore, beninteso, non da critico) non condivido.
Martone, infatti, ha trasposto il testo eduardiano dall’originaria Napoli dei guappi – quella della prima metà del secolo scorso: la commedia è del 1960 – a quella odierna della criminalità organizzata di tipo camorristico. È vero, si tratta di due modalità diverse di configurazione del medesimo fenomeno-camorra, ma il loro rispettivo modo di esprimersi è differente: la violenza costituiva per il primo una manifestazione soltanto episodicamente estrema e limitata per lo più al proprio interno, mentre per il secondo essa è divenuta la regola e si esprime con pari frequenza e intensità anche all’esterno. Dunque, stridono le battute dell’Antonio Barracano-prima maniera, dure ma, tutto sommato, bonarie, sulla bocca di un vero e proprio capo di criminalità organizzata, qual è l’Antonio Barracano-seconda maniera.
Del lavoro di de Angelis, poi, è stata criticata la scelta per la parte di Luca di Sergio Castellitto, non napoletano; una scelta, tuttavia, che credo possa essere perdonata (pronuncia del napoletano a parte), a fronte del rispetto del testo, che ha fatto aleggiare anche qui l’aura eduardiana.
In definitiva e sempre dall’ottica dello spettatore: credo che, nella messa in scena di lavori teatrali, cinematografici, lirici e quant’altro, il regista debba essere consapevole che il suo ruolo dev’essere quello di coordinare l’impegno delle varie componenti in scena, nei loro rispettivi ruoli, verso la rappresentazione di ciò che l’autore ha inteso offrire al pubblico. Altrimenti, ci toccherà continuare ad assistere a spettacoli sancarliani, come la Cavalleria rusticana, funestata dalla presenza costante sulla scena del regista, impegnato ad andare avanti e indietro o, addirittura, a gettare manciate di petali agli spettatori, o come la Luisa Miller in forma di sceneggiata, alla maniera di Isso, essa e ‘o malamente, con tanto di protagonista pistolero. E che il cielo ce la mandi buona.
(Dicembre 2020)
IL TEATRO A NAPOLI
a cura di Luigi Rezzuti
Napoli è una città che trova svariati modi di esprimersi, dalla poesia alla musica, dal teatro al cinema.
Fin dall’antichità, l’arte ha rivelato al mondo il cuore di Napoli, partendo proprio dalle sue strade.
Le prime tracce del teatro napoletano risalgono a Jacopo Sannazaro e a Pier Antonio Caracciolo. Jacopo Sannazaro, con l’opera dal titolo “Arcadia” e qualche anno dopo, il Caracciolo con due opere, dal titolo “La farsa de lo cito” e “Magico”.
Entrambi ebbero il merito di diffondere la cultura teatrale tra i ceti minori della popolazione.
Il teatro napoletano è stato sostanzialmente legato alla maschera di Pulcinella.
Pulcinella è un personaggio che rappresenta da sempre il modo tutto napoletano di vedere il mondo, grazie alla sua furbizia e alla sua arte di destreggiarsi in qualsiasi situazione
Altri autori di teatro, molto più vicini a noi, sono stati Raffaele Viviani ed Eduardo De Filippo. L’opera di Viviani si differenzia notevolmente da quella di Eduardo De Filippo. Mentre Eduardo ci presenta la borghesia napoletana, con i suoi problemi e la sua crisi di valori, Viviani mette in scena la plebe, i mendicanti, i venditori ambulanti.
Il suo fu un teatro diverso, anomalo, sconvolgente, con l’uso del dialetto, caratterizzato anche dall’ostilità e dal silenzio della critica e della stampa.
I fratelli De Filippo, Eduardo, Peppino e Titina, i tre più celebri fratelli del teatro italiano, figli illegittimi di Scarpetta (per essere nati da una relazione di Scarpetta con Luisa De Filippo, nipote della moglie di Scarpetta, Rosa De Filippo) iniziarono giovanissimi a calcare le scene, dopo aver formato una loro autonoma compagnia teatrale ed esordirono insieme con l’atto unico “Natale in casa Cupiello”.
L’ultimo e forse il più grande interprete di Pulcinella, fu Antonio Petito che lo trasformò da servo furbo e burlesco, in maschera napoletana, modernizzandolo e permettendone così la trasformazione ad opera di Eduardo Scarpetta.
Scritturato da Petito, all’età di quindici anni, Eduardo Scarpetta ebbe il compito di impersonare nella compagnia di Petito il personaggio di Felice Sciosciammocca, sostenitore comico e “spalla” di Pulcinella.
Alla morte di Petito, e alla scomparsa del personaggio di Pulcinella, Scarpetta si fece interprete del cambiamento di gusti nel pubblico napoletano.
Eliminò, quindi, definitivamente quella maschera, ormai obsoleta, introducendo personaggi della borghesia cittadina, che mantenessero, però, immutati i caratteri farseschi della tradizione.
Le sue commedie su Felice Sciosciammocca, come “Il medico dei pazzi” o “Miseria e nobiltà” ottennero un enorme successo a Napoli e aprirono la strada del successo ai fratelli De Filippo.
Sarà solo nel dopoguerra che il successo di De Filippo giungerà agli storici livelli di commedie quali “Napoli Milionaria” e “Filumena Marturano” ambientate in una Napoli disillusa, in pieno dopoguerra.
I De Filippo s’imposero per la loro verve interpretativa, le intense espressioni, la spontaneità e la vitalità dei personaggi, rappresentati sempre a metà tra la commedia e il dramma.
Peppino, abbandonando, per vari screzi, il fratello Eduardo, si lanciò nel cinema, spesso in compagnia di Totò, in memorabili commedie, giungendo persino sul punto di fondare una propria compagnia di prosa “La compagnia teatrale italiana”.
Negli anni Sessanta, poi, nella trasmissione televisiva “Scala reale”, interpretò il personaggio “Pappagone”, che divenne quasi una maschera del teatro napoletano.
Titina, invece, rimasta col fratello Eduardo, si affermò nel ruolo di Filumena Marturano nell’, opera omonima, di Eduardo, rimasta ormai nella storia del teatro.
La personalità di Antonio de Curtis, in arte Totò, s’impose, invece, nel cinema ma egli raccolse i suoi primi successi sulle scene dei teatri periferici e dei quartieri più poveri.
Quella di Totò era anch’essa una maschera buffa, un’autentica maschera, che apparve sempre più malinconicamente grottesca.
Era la maschera di un piccolo “gigante”: il più comico e il più napoletano.
Per suscitare le risate, non aveva bisogno di ricorrere alle battute scherzose: in teatro ad esempio, bastava che apparisse in scena, senza pronunciare ancora nessuna frase, e giù gli spettatori a ridere.
Gli era sufficiente una smorfia, un gesto, un semplice ammiccamento e poteva fare a meno del copione. Bastava un canovaccio di poche parole. Al resto pensava lui, improvvisando mimica e dialogo, prolungando un breve sketch anche di quindici o venti minuti, specie se avvertiva, immediato, il calore del pubblico.
Memorabile fu il suo ritorno sulla scena, quasi sessantenne e quasi cieco, quando apparve in una rivista “A prescindere”, l’ultima sua passerella da gran finale Elettrizzò gli spettatori in un’esplosione pirotecnica. Sembrava che davvero i fuochi d’artificio, che riproduceva, attraverso una mimica inimitabile, si moltiplicassero attorno a lui.
Il varietà, poi, così come l’avanspettacolo, nasce a Napoli verso fine Ottocento, più semplicemente chiamato Cafè – chantant. Era il periodo della “Belle Epoque”, in cui Napoli e Parigi erano le capitali culturali d’Europa.
Lo spettacolo era suddiviso in due tempi e vari quadri, a seconda delle esibizioni. Nel primo si esibivano ballerine e cantanti, nel secondo le vedette più attese le sciantose e soprattutto “le macchiette”, ovvero attori che cantavano in modo caricaturale.
L’epoca d’oro del Cafè Chantant a Napoli coincise con i grandi successi delle più spigliate canzonettiste, tra cui Elvira Donnarumma e Gilda Mignonette.
Nello stesso periodo, nella compagnia dei de Filippo, venne alla ribalta un’attrice, Tina Pica, figlia d’arte, suo padre Giuseppe fu interprete del personaggio di “Don Anselmo Tartaglia”.
La naturalezza interpretativa della Pica non la costringeva a recitare un copione, in quanto lei stessa si considerava ed era semplicemente “Il personaggio”.
A cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta, iniziò a diffondersi l’usanza, per intere famiglie, di dedicarsi al teatro di avanspettacolo, con il ruolo, per ciascuno dei componenti, di capo-comico, di soubrette, di macchiettista e così via.
Spesso erano costretti tutti, loro malgrado, ad accettare miserevoli scritture, dallo scarso compenso economico.
Tra queste vi era la famiglia Maggio: Enzo, Beniamino, Dante, Icadio, Pupella, Rosalia e Margherita.
Beniamino era il più popolare dei fratelli Maggio, tanto che la critica lo considerò una delle più grandi macchiette del teatro napoletano.
Però la stessa critica considerava Dante il più bravo dei fratelli. Egli possedeva le doti del ritmo, delle pause, dei tempi giusti, della mimica e di una voce ben modulata.
Tra le sorelle la più zelante fu certamente Pupella, che si affermò soprattutto come attrice di prosa, Rosalia, invece, era la più attraente.
Successivamente giunsero alla ribalta caratteristi come: Pietro De Vico, Ugo D’Alessio, Carlo e Aldo Giuffrè, ma su tutti questi spicca il nome del più grande in questo genere: Nino Taranto, interprete di macchiette, con la tipica paglietta a tre punte.
Taranto, nel , divenne capo-comico dedicandosi soprattutto alla rivista per quasi vent’anni, prima di passare al teatro di prosa.
Il suo cavallo di battaglia fu la celebre canzone “Ciccio formaggio”.
Al suo fianco vi era sempre l’inseparabile fratello minore Carlo, entrambi spesso affiancati da grandi caratteriste, quali Tecla Scarano e Dolores Palumbo.
La sua ultima compagna di “lavoro” fu Luisa Conte, nelle sue celebri interpretazioni al teatro Sannazaro, negli anni Ottanta.
A cavallo delle due guerre nacque, poi, nel 1919, e si concluse nel 1940, salvo un ritorno negli anni Settanta, la sceneggiata. tratta da una canzone e, talvolta, anche da una poesia.
Vi si cimentarono artisti, quali Pasquariello, Gill. la Mignonette ed altri .
In un primo periodo la sceneggiata, come si è appena detto, era tratta da una canzone e, talvolta, anche da una poesia, molte volte caratterizzata da risvolti drammatici, ambientata nei bassi, nei vicoli, nei quartieri più poveri e malfamati.
In un secondo momento, invece, negli anni Settanta-e Ottanta è stata anch’essa improntata a versi e canzoni, ma, mentre nell’antica sceneggiata si raccontavano le miserie della povera gente, con toni sia drammatici che comici, in questa, più moderna, si ritrovava spesso la figura del “mammasantissima”, il cosiddetto “guappo buono”come Mario Merola interprete della canzone “Zappatore”, in “Lacreme napulitane.”
Con la riapertura del Teatro Trianon, Nino D’Angelo ha riproposto nuove edizioni dell’antica sceneggiata, rivalutando gli aspetti artistici ed anche culturali di questo genere, attraverso una nuova cultura della strada, intesa non come malavita, quanto piuttosto come binomio, ovvero, contrasto tra due realtà, irriducibili l’una all’altra: miseria e sopraffazione.
Un posto a parte occupa l’autore e regista Roberto De Simone, grande innovatore e ricercatore del patrimonio culturale, teatrale e musicale, della tradizione popolare partenopea, andando alla scoperta di tracce di “Villanelle, laudi e strambotti” laddove la tradizione sarebbe andata, malauguratamente, perduta.
Nel 1967 Roberto De Simone fondò la Nuova Compagnia di Canto Popolare, di cui fu animatore, ricercatore e rielaboratore.
Dopo l’attività musicale accentuò progressivamente la ricerca teatrale e, grazie a lui, si possono ammirare opere come “La cantata dei pastori”.
Nel 1976 arrivò un altro grande successo, la favola in musica, “La gatta cenerentola”.
Purtroppo questi “grandi” del teatro napoletano ci hanno lasciato e oggi ci dobbiamo accontentare di rivivere quelle emozioni solo attraverso il piccolo schermo quando la TV, di tanto in tanto, ci delizia con opere indimenticabili del passato.
(Gennaio 2020)