I CAMPI FLEGREI TREMANO
di Luigi Rezzuti
Negli ultimi mesi le scosse di bradisismo sono in aumento e preoccupano la popolazione residente. L’attenzione è massima e la situazione sismica è costantemente monitorata. I Campi Flegrei sono in allerta gialla da anni e sono in attività costante. Il prof: Mauro Antonio Di Vito direttore dell’Osservatorio Vesuviano, autore di diverse ricerche sulla geologia dei Campi Flegrei e del Vesuvio ha detto: “I Campi Flegrei sono un vulcano attivo con fenomeni bene avvertiti dalla popolazione. I segnali che registriamo sono molto più di quelli che si avvertono, addirittura c’è un arretramento della linea di costa che avviene con la velocità di quindici millimetri al mese. Le aree maggiormente interessate sono quelle di Rione Terra ed il lungomare di via Napoli”. Fortunatamente gli eventi sono di bassa energia e molto superficiali per cui sono amplificati dalla vicinanza e sono maggiormente avvertiti dalla popolazione. E’ una sismicità molto superficiale, alcuni fenomeni addirittura si verificano ad un centinaio di metri sotto le case. Nel biennio 1982/84 il suolo si alzò di un metro e ottanta in soli due anni, infatti fu necessaria una seconda banchina per l’attracco dei traghetti per le isole di Procida ed Ischia. Oggi i Campi Flegrei sono ad un livello di attenzione secondo il piano preparato dalla Protezione Civile di livello giallo, la Solfatara produce tremila tonnellate di anidride carbonica che è un dato molto prossimo ai vulcani a condotto aperto tipo Stromboli o Etna, quindi parliamo di un vulcano che può produrre fenomeni diversi. In generale, se dovesse essere prossima un’eruzione, si osserverebbero una serie di cambiamenti sostanziali, dichiarano alcuni vulcanologi, in primis, si sarebbero variazioni nella sismicità, ovvero “terremoti più frequenti e molto più forti. In secondo luogo, ci sarebbero delle variazioni importantissime nella deformazione del suolo, così come nel contenuto chimico delle emanazioni fumaroliche, nonché nella temperatura sia delle fumarole che del suolo, accompagnate da accelerazioni di gravità importanti. Ma questi sono dati monitorati costantemente, nessuna di queste condizioni si è verificata finora. I terremoti che siano grandi o piccoli, non si possono prevedere in nessun modo con la tecnologia e le conoscenze attuali.
(Ottobre 2023)
Pensieri ad alta voce
di Marisa Pumpo Pica
Matrigna Rai
Lottizzazione Repulisti Rottamazione o Epurazione?
Tanto rumore per nulla.
Per giorni e giorni, nei corridoi di Viale Mazzini, si è a lungo bisbigliato dei grandi cambiamenti ed innovazioni che avrebbero dato un diverso assetto al palinsesto, dopo il cambio di guardia con i nuovi vertici Rai. E, mentre i giorni passavano e le notizie si accavallavano, s’infittiva il mistero del nuovo palinsesto, dal quale sarebbero scomparsi nomi e programmi consueti, ma purtroppo ritenuti, forse, desueti, dal nuovo staff dirigenziale (Direttore generale, Amministratore delegato e company).
Il caso Fiorello
Su qualche testa già appariva certa la mannaia. Per qualcuno era probabile. Il destino di qualcun altro era in bilico, come nel caso di Fiorello
“Fiorello. Chi era costui?” si chiederebbe il povero Don Abbondio, timoroso perfino dei ciottoli che incontrava lungo il suo percorso. Figuriamoci dinanzi alle macerie di Mamma Rai, che lo avrebbero turbato ancor di più. Ma noi lo rassicuriamo subito. Rosario Fiorello appartiene, da anni, al mondo della Televisione. Uno bravo, sì, senza dubbio, ma, nessun timore, non è un Bravo, di manzoniana memoria, di quelli che con le loro minacce, le hanno procurato tanta paura. Un po’ di sicumera, un po’ di boria, un po’ di arroganza, come quelli, sì, ma sono piccoli difetti disseminati, anche questi un po’, dovunque nel nostro piccolo mondo e possiamo perdonarli a lui, come agli altri. Stia calmo, povero Don Abbondio. Non c’è ragione di temere. Sarebbero ben altre le cose da temere oggi.
“Ci sono state fughe dolorose” ha dichiarato, contrito, l’AD, Sergio Rossi. Un eufemismo? Un venticello di ipocrisia? Un autogoal, che nasconde la grande voglia dei nuovi vertici (Rai e governativi) di produrre una scossa di assestamento, di fare, insomma, piazza pulita (anche in Rai come a La 7?).
Sono fuggiti, è vero, alcuni volti storici della Rai, come Fabio Fazio, Luciana Littizzetto, Lucia Annunziata, Bianca Berlinguer, che hanno rassegnato le dimissioni. Ma lei lo sa bene, caro Don Abbondio, il coraggio uno non se lo può dare. Quando si ha paura, si fugge...E se poi la paura è quella di non poter lavorare né esprimersi in piena libertà, la fuga si trasforma in una ritirata a gambe levate. Ma non tutti sono andati via. Ci sono anche quelli che al trasloco non pensano affatto, conduttori inossidabili, come le poltrone, alle quali restano saldamente e tenacemente attaccati, paghi di assaporare, felici, qualunque vento, vecchio o nuovo, spiri intorno a loro. Tranquilli, però, cari telespettatori. Abbiate fede. Come annunzia l’AD, ci saranno tanti altri nuovi programmi, talk show, spettacoli e fiction e molti altri giovani talenti. Un nuovo fronte della gioventù per una Tv di informazione e di formazione? Avremmo voluto chiederlo, ma non eravamo presenti alla conferenza stampa per il nuovo palinsesto Rai. L’abbiamo seguita, tuttavia, dagli schermi televisivi, dove sono apparsi molti “confermati” e raccomandati, gongolanti per non aver subìto la rottamazione Tra questi, una scintillante Milly Carlucci che, anche per il prossimo anno, proporrà sicuramente il suo “Ballando con le stelle” con il groviglio di polemiche assordanti dei giurati, fra loro e con i concorrenti, magari con qualcosa in più, come nella stagione appena trascorsa, che ha segnato anche uno strascico giudiziario, relativo alla contestata validità dei conteggi finali, per l’elezione del vincitore della kermesse. Ma tant’è… D’altra parte “Ballando con le stelle” è suo in tutti i sensi perché pare, se ci hanno ben informati, che lei ne sia anche produttrice (con probabile rigonfiamento degli introiti, come per qualcun altro). Tra l’altro dovremo forse sorbirci anche quell’effimero e melenso “Cantante mascherato”, nonostante il forte calo di ascolti, registrato nella stagione che si è appena conclusa.
Nel nuovo palinsesto, come si è accennato, resta, invece, in bilico Fiorello, con il suo “Viva Rai 2”, da molti acclamato e pluripremiato quale migliore spettacolo televisivo dell’anno. Il programma si annunciò, prima ancora di partire, tra polemiche e lamentele, come un fulmine a ciel sereno per alcuni giornalisti dell’informazione che, considerata la fascia oraria, si vedevano scalzati da un programma che li avrebbe “surclassati”, anticipando i loro sevizi notizie. Nel clamore generale, lo prese in carico Rai 2.
Dunque “Viva Rai 2” nasceva in un orario scomodo, alle 7 e mezza del mattino, in Via Asiago e tuttavia quegli elementi, che sembravano di segno negativo, ne decretarono, invece, il successo. Noi lo abbiamo seguito nella replica serale su Rai 1 e ci sentiamo di dire che non ci è apparso di quel livello tanto esaltato da tutti. Vi abbiamo ritrovato il Fiorello di sempre, con la sua arguzia e la sua ironia, alimentate, più che in altre occasioni, da urla, suoni e schiamazzi mattutini. E qui veniamo al punto, ovvero alle ragioni per le quali non figura nel nuovo palinsesto, nonostante la dichiarazione dei Dirigenti di volerlo “a tutti i costi”. I condomini di Via Asiago si sono ribellati protestando vivacemente ed invocando pulizia per la loro strada e quiete per le loro giornate. Si è bisbigliato, nei corridoi e negli uffici Rai, di un indennizzo per ridurre al silenzio i condomini agguerriti. Quando si vuole si può...ma qui proprio non si poteva... La Rai è un servizio pubblico e non si possono prevedere indennizzi ai privati con i soldi pubblici. Fiorello voleva a tutti i costi Via Asiago e nessuna diversa location, ma, dinanzi alle reiterate proteste del Comitato “Liberiamo Via Asiago” ha dovuto cedere, accettando, se si farà, un’altra sede e i vertici Rai stanno pensando già ad un’altra strada o piazza. Il tutto si è concluso con le sue scuse ai condomini di Via Asiago.
Ma, caro Fiorello, tu, che sei un fiore del nuovo campo verde della Rai, perché non ti fai assegnare uno studio bello e confortevole, come quello che hanno riservato a Nunzia De Girolamo per il suo “Ciao maschio”, uno studio che, ad ogni nuova stagione, si amplia e si arricchisce? E perché non farti riservare, anche tu, come gli altri “confermati” che si rispettano, una bella poltrona con borchie inossidabili? Ed ora un suggerimento. Il programma, per ripetere il successo, potrebbe intitolarsi “Viva Matrigna Rai”.
In ultimo, un consiglio. Le strade, le piazze lasciale a quelli che vogliono protestare, se ne sentono il bisogno, per le cose che non vanno.
Tanto rumore per nulla, caro Don Abbondio, ma forse per nulla proprio no. Siamo dinanzi ad una rivoluzione. È morta Mamma Rai. L’hanno sepolta in questi giorni e si è insediata Matrigna Rai e, come nelle vecchie favole, la Matrigna, spocchiosa ed arrogante, vuole che non si parli più della vecchia Mamma Rai né dei suoi protagonisti. C’è stata troppa lottizzazione. In suo luogo sarà opportuna una buona rottamazione. Un repulisti, come qualcuno ha sottolineato. Una epurazione? Forse sì. Lasciamo scegliere al lettore il termine giusto. Come sempre. Per una buona pulizia bisogna ripulire ogni angolo, diceva una vecchia domestica. Ma non lo diceva anche Stalin?
Un’osservazione conclusiva, non senza amarezza, non possiamo non farla.
I libri, oggi, si scrivono in gran quantità, ma si vendono molto poco e si leggono ancor meno. Anche i giornali si vendono molto poco e si leggono ancor meno. In compenso alcuni giornalisti, per fortuna non tutti, si lasciano vendere e comprare. Altri vanno via in “fughe dolorose”. Tutto rientra nei piani di Matrigna Rai.
(Luglio 2023)
Pensieri ad alta voce
di Marisa Pumpo Pica
Ci sono momenti, nella nostra vita, che lasciano il segno. Alcuni sono particolarmente gioiosi, altri di profonda sofferenza. Su uno di essi ci soffermiamo, oggi, in questi nostri “Pensieri ad alta voce”, attraverso i quali siamo soliti dialogare con noi stessi e con gli altri
Una morte apparente
Era come risvegliarsi da un coma profondo… Entrò nel suo studio con passo titubante e, di colpo, si trovò immersa - o sommersa? - fra le sue carte di sempre: libri, inviti a meeting, manifestazioni culturali, concerti, restling, locandine per mostre d’arte, recensioni, bozze di libri, suoi e di altri. E poi, targhe, medaglie, guidoncini dei Lyons e di altre Associazioni e Fondazioni, pergamene, ninnoli… Un mare ondeggiante dinanzi ai suoi occhi. Possibile che avesse raccolto, senza quasi accorgersene, tanto materiale? Utile, inutile? Caro, prezioso, insignificante? Superfluo? Era tutto lì, di colpo, dinanzi ai suoi occhi. Ora, dopo quel lungo periodo di stasi, forse, avrebbe potuto ordinarlo o prenderne le distanze o - perché no? - disfarsene, così, su due piedi. Farlo scomparire, dissiparlo in una nuvola, come di certo sarebbe avvenuto ad opera di altri, se lei fosse scomparsa improvvisamente. Ma tutto quel materiale era sempre lì. Ed anche lei era ancora lì, in quel caos organizzato e razionalizzato, nello studio come nella mente, Era ancora lì, in quello studio, magico nel suo disordine. Un non luogo perché luogo dell’anima, luogo del cuore, palpitante di ricordi, di illusioni, di sogni, di rimpianti...
Quel lungo periodo, popolato di sofferenze, di mali, di affanni, di preoccupazioni, l’aveva cambiata. L’aveva resa un’altra, nuova anche a se stessa. Diversa. Migliore? Peggiore? Chi poteva dirlo? C’era da chiederselo, ma non c’era risposta. Almeno non ora, non in quel momento, nel quale usciva da quel limbo di solitudine e di silenzio. Si era sentita d’improvviso privata di affetti, di amici, di calore umano. I suoi familiari, sì, c’erano e ci sarebbero stati sempre. Lo sapeva. Lo sentiva in ogni sfumatura del loro amore, ma anch’essi sembravano come emergere dal vuoto, da un vuoto, in cui erano scomparsi i suoi affetti, gli amici di sempre. Dove erano finiti? Ad eccezione di pochi, si erano tutti dileguati. Non udiva più voci intorno a sé.
Eppure non c’era sofferenza nel constatare di essere uscita, viva, dal mondo. Ma da quale mondo? Forse, quello in cui aveva creduto non era stato mai un mondo o, di certo, non il suo mondo, quello nel quale si era illusa, pensando di vivere circondata di affetto e simpatia. Il mondo amico ora lo vedeva con altri occhi: era un villaggio piccolo piccolo, con delle mura di cartapesta, come quelli di alcune favole che soleva raccontare alla sua dolcissima nipotina. Le amava le favole, la piccola. E le aveva sempre amate anche lei. Da bambina e da adulta. Aveva anche creduto alle favole, come a quella della bella addormentata che si risvegliava all’improvviso per ritrovare il suo principe… Aveva creduto alla favola dell’amicizia che dura in eterno, mai scalfita da nulla e nemmeno logorata dal tempo, alla favola della stima e della simpatia che permangono e perdurano, anche quando non fai nulla per nessuno e nessuno deve ricambiare alcunché. La favola ora si era conclusa con lunghi giorni di solitudine e silenzio. Sì, una solitudine, sorella del silenzio, che però le era parsa anche bella. Non le aveva dato noia. Non le aveva procurato dolore, ma quasi un senso di sollievo, di nuova libertà, di nuova vita. La solitudine si era illuminata di silenzio, laddove il silenzio si faceva voce del cuore, soffio dell’anima e aveva offerto linfa alla poesia. Quanti versi erano nati in quel silenzio, in quella solitudine! Versi vergati in fretta, scritti di getto, in qualsiasi ora del giorno o della notte, e tuttavia lasciati lì, abbandonati, ancora in bozza, sulla sua scrivania, in mezzo a tutto il resto.
Rientrando dopo tanto tempo nel suo studio, si era sentita quasi un’accumulatrice seriale, ma non solo di libri e di oggetti, come pensavano i suoi, che glielo ripetevano spesso, a volte con il sorriso, altre con espressione più seria. Ebbene, era vero. Nulla da replicare. Era un’accumulatrice seriale, non solo di libri, di ninnoli, di oggetti, ma anche di sentimenti, di ricordi, di illusioni, di rimpianti Un turbinìo di emozioni che, alla vista di quegli oggetti, le gonfiavano il cuore.
Forse era meglio uscire da quello studio dove, per tanto tempo, non era più rientrata. Aveva vissuto un’altra vita, in un’altra dimensione dello spazio e del tempo. Ed ora tutto riprendeva… Doveva riprendere. Come prima: le telefonate, le conversazioni, gli amici, il giornale, la routine di ogni giorno. Tutto come sempre. Ma non identico a sempre. Ora aveva capito tante cose in più della vita che non aveva appreso quando aveva vissuto prodigandosi per gli altri, dando ogni giorno qualcosa, senza mai aspettarsi di ricevere qualcos’altro, in restituzione. Aveva capito che, nella dimensione esistenziale e banale del quotidiano, non esistevano cambi, ricambi o restituzioni. Tutto andava avanti così, un po’ a caso, e chi poteva o voleva prendeva. Prendeva semplicemente, senza porsi domande su quel che gli veniva offerto ed anche senza porsi limiti. Ora si rendeva conto che doveva pensare un po’ più a se stessa, a coltivare il proprio io, il proprio ego, come facevano ed avevano fatto tanti conoscenti ed amici. No. Meglio conservare un io piccolo piccolo, semplice, umile, modesto, ma soprattutto pago della propria finitudine. Il piccolo io può sfidare se stesso ed accrescere le sue potenzialità, nella molteplicità delle proprie aspirazioni. Il grande ego, gonfio di vanità, pieno di boria e di arroganza, diventa smisurato e nulla più lo appaga, nella smania di un falso Infinito.
Riordinare lo studio? Liberarsi di qualcosa, di molte cose? Si poteva, ma… “Ci penserò domani”, disse fra sè, come aveva annunciato la protagonista di quel romanzo “Via col vento”, laRossella O’ Hara, che l’aveva incantata negli anni giovanili.
Ancora uno sguardo smarrito alla scrivania, gremita di bozze da portare a termine per tanti lavori, lasciati incompiuti.
Ricordò improvvisamente le belle parole di Papa Francesco di qualche domenica precedente, quando, all’Angelus, nel commentare il Vangelo di Lazzaro, che esce dal sepolcro al richiamo del Signore, per rinascere a nuova vita, esplicitava il senso profondo di tale miracolo, sottolineando che ognuno di noi può avere momenti difficili e sentirsi oppresso dal dolore, dai mali. Quell’Angelus si era chiuso con la sua accorata esortazione a “non chiudersi in se stessi, nel sarcofago delle proprie sofferenze, a non cedere al pessimismo”.
Quelle parole del Papa le apparvero quanto mai calzanti.
Era di nuovo viva, anche lei, finalmente.
Era stata una morte apparente...
(Maggio 2023 - Gli articoli vengono riprodotti quali ci sono pervenuti)
NAPOLI CAMPIONE D’ITALIA
di Luigi Rezzuti
Il primo scudetto del Napoli fu vinto nell’era Maradona, che giocò nel Napoli dal 1984 al 1991. In quella stagione l’allenatore era Ottavio Bianchi. La squadra si classificò prima davanti al Milan, Inter e Juventus. Nel secondo scudetto (1989 – 1990) il Napoli si classificò primo davanti alla Juventus, Inter, Verona e Milan, in panchina sedeva l’allenatore Alberto Bigon. In entrambe le stagioni scudettate il presidente proprietario del Napoli era Corrado Ferlaino. In quella stagione nel Napoli giocavano: Giuliani, Ferrara, Renica, De Napoli, Corradini, Crippa e in attacco Maradona, Careca e Carnevale. Ma il Napoli nella sua storia calcistica ha vinto anche 6 Coppe Italia, 2 Super Coppe italiane, 1 Coppa Uefa e sfiorato varie volte la conquista dello scudetto, che purtroppo per episodi non chiari… non riuscì a vincere. Sia nel primo che nel secondo scudetto la città diede vita ad una grande festa a cielo aperto: piazze, strade, vicoli, quartieri interi si colorarono con striscioni, bandiere, cortei di auto che sbandieravano lo stemma dello scudetto. Era il 10 maggio, festa della mamma, ma quel giorno fu la festa dei napoletani.
Oggi, a distanza di 34 anni, con il campionato ancora in corso (2022-2023), il Napoli di Luciano Spalletti, presidente Aurelio De Laurentiis, si è aggiudicato il terzo scudetto della storia, disputando una stagione semplicemente straordinaria e distanziando, con un grosso margine di punti, squadre come: Lazio, Inter, Juventus e Milan. Tra i vicoli del capoluogo partenopeo l’entusiasmo è alle stelle per un trionfo ormai annunciato. I quartieri si sono riempiti di tricolori e di immagini dei calciatori di Spalletti. Bando alla scaramanzia, in barba alla matematica, per giorni e giorni, Napoli si è truccata a festa per lo scudetto che mancava dai tempi di Maradona. Si sono colorati i vicoli e le scalinate, scegliendo l’azzurro con bandiere, magliette e lunghe strisce di plastica, sono state tappezzate le strade più eleganti della città e dei quartieri più popolari con scritte e scudetti. Anche se la fine del campionato è ancora lontana, i preparativi sono partiti già da qualche mese e tra i quartieri c’è una vera e propria gara per l’installazione più originale.
La “febbre” è talmente alta che gli abitanti deivari rioni si sono persino autotassati per collaborare agli allestimenti e annunciare feste a sorpresa; uno degli ultimi interventi è stato realizzato su una scalinata di un vicolo dei quartieri Spagnoli dove decine di bandiere fanno da sipario a una scalinata azzurra su cui è stato dipinto un grande scudetto. Una scalinata che non poteva chiamarsi che “Salita Paradiso”. Ma le immagini col tricolore e il TRE, numero degli scudetti azzurri, hanno fatto capolino un po' dovunque, in tutta la città partenopea. I ritratti dei giocatori di Luciano Spalletti tappezzano ormai l’intera città. In attesa spasmodica solo della matematica che consegnasse un trionfo che mancava dai tempi di Maradona, Il Napoli già da tempo iniziava a intravedere il traguardo dello scudetto numero Tre. Il successo con la Juventus ha avvicinato ulteriormente i partenopei verso lo scudetto: verso la matematica vittoria del titolo di Campioni d’Italia. Con un margine di punti così importante, i partenopei hanno iniziato a festeggiare la vittoria del terzo scudetto della storia, dopo i due vinti nel 1987 e nel 1990. Il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, insieme al sindaco del capoluogo campano, Gaetano Manfredi, hanno lavorato ai preparativi della festa scudetto che prevede mille ospiti a bordo di una nave da crociera. Manca poco alla fine della serie A, il Napoli è primo, segue la Lazio, la Juventus, la Roma e il Milan.
La città è già esplosa in una festa memorabile, però la festa scudetto ufficiale, con annessa premiazione della squadra, si svolgerà nell’ultima giornata di campionato, in programma domenica 4 giugno. La società con il comune e il Prefetto lavora al piano per la festa: due giorni di celebrazioni, il 3 e il 4 giugno, il primo giorno di festa allo stadio Maradona, dove sarà installata una piattaforma rotante (14 X 14 metri): i calciatori saliranno per essere premiati individualmente. Ma non finisce qui. Saranno, inoltre, montati sei maxi schermi per mostrare ogni dettaglio della celebrazione agli spettatori. Nel secondo giorno la logistica resta la stessa: sede centrale a Piazza Plebiscito, mentre le piazze di supporto saranno Piazza Giovanni e Paolo II a Scampia, Piazza Mercato e l’ex Nato di Bagnoli. I palchi saranno, invece, montati alla Cassa Armonica di Castellammare di Stabia, Piazza San Ciro a Portici, Piazza d’Armi a Nola, la Villa Comunale di Pomigliano d’Arco, il mercato ortofrutticolo a Giugliano e Piazza della Repubblica a Pozzuoli.
(Maggio 2023)
Filo diretto con i lettori
Ringrazio tutti coloro che hanno fatto pervenire un commento al mio recente articolo “Quale giornalismo oggi?” (marzo 2023). Per comprensibili motivi di spazio, pubblichiamo soltanto i primi tre che ci sono pervenuti.
Un grazie di cuore agli autori di questi tre interventi non tanto per le lodi, che mi sembrano eccessive, ma che, peraltro, so essere sincere e, per ciò appunto, danno gioia, quanto per le acute osservazioni sull’attuale crisi del giornalismo che ci auguriamo possa essere non “inarrestabile”, ma soltanto temporanea.
Grazie anche per averci fornito l’occasione di avviare, in modo inatteso, un filo diretto con i lettori.
Sul giornalismo
Romano Rizzo
Con immenso piacere ho letto l’interessante articolo che la nostra Marisa Pumpo ha regalato a tutti i lettori de ilvomerese.com. Finalmente una ventata di aria pura ed un corretto argomentare hanno rotto quella nube di timida ovvietà ed acquiescenza che caratterizza troppa stampa.
Niente ha addolcito e nessuna reticenza ha avuto nella denuncia dei troppi mali che affliggono l’informazione in tutte le sue forme.
Mi ritrovo con lei, come già in moltissime altre occasioni, in perfetta sintonia, forse perché io sono stato, in gioventù, un accanito lettore di libri, giornali e riviste, anche se un po’ troppo severo. Basti dire che, tra i giornali, le mie preferenze andavano solo alla Stampa ed al Corriere della sera, per il valore degli articolisti e per la cura e la giusta ricercatezza delle espressioni usate. Il mio tempo era dedicato, in quegli anni, alla lettura delle Riviste Settimanali come Epoca, Panorama, L’Europeo, L’Espresso, Oggi, Settimo giorno e la Settimana Incom, Tempo, Visto, che ritenevo, per motivi diversi, degni della mia attenzione e che, in effetti, non mi deludevano mai.
Oggi parecchie di queste riviste non ci sono più e le poche che restano seguono le linee editoriali imposte da nuovi proprietari che nulla avevano avuto a che fare col giornalismo di un tempo.
L’Espresso, ora, è di proprietà di Jervolino e non sembra più quello di Scalfari. Perfino il Corriere della sera, gloriosa testata della famiglia Crespi, oggi rientra tra le pubblicazioni di Cairo (l’inventore di quei settimanali di spot e gossip, con molte foto e brevi didascalie, che quasi non si differenziano tra loro ma hanno il grande pregio di costare poco e di rendere molto!) E’ da considerare poi che, con l’avvento di pc, Internet e social, la informazione dei quotidiani non riesce a competere e si può affermare che la stampa tutta soffra, come, peraltro, la canzone e l’arte classica, una sempre più difficile presa sulle nuove generazioni.
Cosa aggiungere? O tempora o mores! - direbbero gli antichi - ma io mi convinco sempre più che a noi benpensanti tocca di cercare, se non di fermare, almeno di rallentare questo inarrestabile processo.
A noi altri tocca, inoltre, l’onere di far conoscere e divulgare i pensieri e le considerazioni della nostra cara, grande Marisa, dopo averne celebrato, in maniera adeguata, il tanto atteso ritorno.
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Maria Rosaria Petrungaro
Che articoli giornalistici!!!… Tutto vero quello che avete pubblicato e che pubblicherete sul vostro giornale Il Vomerese… Siete Grande… come Grande è l’impegno per la vostra associazione culturale, “Cosmopolis”, che diventa sempre di più uno sprone interiore per noi cittadini, spingendoci a considerare che vita vogliamo vivere e in qual modo viverla. Speriamo solo che i social e le informazioni che ci arrivano tramite la TV non peggiorino il modo di pensare dei cittadini... Grazie e serena e gioiosa giornata… Affettuosamente.
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Emilia Menini
Complimenti per aver ripreso in mano la tua più bella attitudine, il giornalismo, grazie al quale la tua penna si esprime attraverso la verità.
(Aprile 2023)
Pensieri ad alta voce
di Marisa Pumpo Pica
Il giornalismo oggi
Dove eravamo rimasti?
Dunque… Dove eravamo rimasti?
Fu la celebre frase, pronunziata da Enzo Tortora, alla ripresa della fortunatissima rubrica Portobello.
Grande l’emozione del conduttore nel rientrare negli studi televisivi della Rai, tra le ovazioni del suo pubblico, dopo aver subìto un lungo, iniquo processo.
Anche noi riprendiamo, non senza emozione, la nostra rubrica e, con essa, il dialogo ideale con quei nostri tre o quattro lettori, di manzoniana memoria, dopo aver superato l’iniqua sorte, presentatasi sotto le spoglie di difficili vicende personali e familiari.
Dunque… ritorniamo, oggi, interrompendo un lungo silenzio, ai nostri Pensieri ad alta voce che ci portano a parlare di giornalismo. Un tasto dolente. Un tema che ci sta molto a cuore. Lo abbiamo affrontato da sempre, in anni lontani ed in tempi più vicini a noi, in circostanze e forme diverse, attraverso conferenze, dibattiti, convegni, articoli, recensioni.
“Quale giornalismo oggi?” ci chiedevamo in anni lontani, insieme a giornalisti di rango, alcuni dei quali, ormai, non più tra noi, come Ernesto Filoso e Giampaolo Pansa, …. tanto per citarne alcuni. Eravamo scettici e pessimisti, allora. Lo siamo ancor più, oggi, Ed a ragion veduta.
Ci occupavamo, allora, soprattutto del giornalismo su carta stampata.
Oggi il discorso si fa più duro ed amaro, nel constatare quale tipo di giornalismo trionfa in TV.
Conduttori televisivi, sempre pronti a salire sul carro del vincitore, ad organizzare dibattiti, in cui poco si concede alle voci critiche e molto, invece, all’assordante schiamazzo corale, per giungere alla fine, alla felice conclusione che, per fortuna, tutto va bene, oggi, ed andrà, ancor meglio, domani.
Dibattiti televisivi nei quali poco si dibatte e molto si afferma, per offrire un quadro, talvolta addirittura esaltante, della nostra attuale realtà culturale, sociale, politica.
Tavole rotonde in cui dominano atteggiamenti sempre più aggressivi e sfrontatamente pilotati, molto simili a quei questionari, apparentemente a risposta aperta e multipla, nei quali, invece, la risposta è già implicita nella domanda.
Un giornalismo, sempre più spesso falso e retorico, in cui il conduttore non conduce, ma prende a prestito il mestiere dal doppiatore e, come negli sketches comici più riusciti, fa da spalla al politico di turno, per evitargli lunghi discorsi programmatici e risparmiargli, soprattutto, la fatica di doversi promuovere da solo o, da solo, poter difendersi dalle accuse degli avversari.
E se poi il conduttore non ce la fa, in tale impresa, chiede aiuto all’opinionista, che ancora non si sa bene chi sia diventato oggi: figura a mezza strada tra la voce critica della cosiddetta società civile e l’esponente più seguito sui social, l’influencer con la sua lunga schiera di followers, destinato ad avere sempre l’ultima parola, nel passaggio da un’emittente all’altra, da un programma all’altro, fra ampi giri di parole e di poltrone.
Un tempo lo avresti detto capobanda o, con un simpatico dialettismo, capintesta.
Per non parlare, poi, di come vengono presentati i fatti di cronaca e gli eventi, che rimbalzano, a ritmo incessante (anche questi) da un’emittente all’altra, da un programma all’altro, con commenti e servizi che sembrano usciti da una fotocopiatrice.
Dove sono più quelle gloriose Scuole di giornalismo, tenute, non da cattedratici che insegnano digitalizzazione, formattazione e quant’altro, come avviene oggi, ma da vecchi giornalisti che insegnavano ai loro giovani colleghi, impegnati nel praticantato, come occorre cogliere il fatto nel suo stesso accadere, pura cronaca, su cui, ovviamente, non possono essere esclusi commenti nè approfondimenti.
Il giornalismo, oggi, è spesso solo un copia e incolla, maldestro e farraginoso o, per i più quotati, reso con più attenzione, a malapena più attendibile, ma sempre gloriosa fotocopia, che rimbalza, abbondantemente pubblicizzato/a, da una testata all’altra, da un telegiornale all’altro, da un talk show all’altro, in radio o in tv.
Qualche esempio più recente? Il caso del piccolo Ryan, ridotto quasi in fin di vita, il femminicidio dell’avvocatessa Martina Scialdone, l’arresto del latitante Matteo Messina Denaro, la morte di Gina Lollobrigida.
La Lollo tra gossip e contenzioso giudiziario
La figura della diva, un mito del cinema italiano ed internazionale, vivisezionata fin nelle pieghe più riposte dell’anima e della vita.
Qui il giornalismo ha raggiunto davvero il suo apice. Un giornalismo malevolo, intrigante pettegolo, in cui, in molti, come insaziabili predatori, si sono dati da fare per spolpare l’osso fino in fondo, pizzicando qua e là sui fatti e nel quotidiano della diva. Tutto per dovere di cronaca, per far chiarezza, come è stato più volte ribadito. Ci si è infilati di diritto nelle controverse vicende personali e familiari dell’attrice, al punto tale da sviscerare i rapporti tra madre, figlio, il presunto marito spagnolo, Javier Rigau, ed un’altra strana figura, al centro del dibattito e, per ciò, appunto discussa e discutibile, il giovane Andrea Piazzolla, definito da ciascuno, di volta in volta, in vario modo, ma sempre a pieno titolo, factotum, tuttofare, figlioccio, “amato da lei e a lei dedito come e più di un figlio”. Uno spionaggiodal bucodella serratura, in perfetto stile Sherlock Holmes, fino a ricostruire l’entità del patrimonio e cercare di scoprire se e quanti testamenti fossero stati depositati.
Schieramenti fra i sostenitori dei diversi aspiranti ai beni della defunta, testimonianze di amici storici, o presunti tali, di sedicenti amiche della diva che dichiarano di avere avuto a lungo, rapporti sinceri ed affettuosi con lei, per oltre 12, 14, 20 anni e più, di avere condiviso gioie, dolori, feste e viaggi. Testimonianze e liti in diretta TV, con paradossali forme di snobismo, protagonismo ed affermazioni esasperate dell’ego.
Questo ci è toccato di vedere mentre, per nostra buona sorte, si susseguivano le immagini, bellissime, di una diva che ha segnato un’intera generazione, dando prestigio al cinema italiano del Novecento. E solo di questo avremmo voluto sentir parlare dai nostri giornalisti. Il resto poteva essere tranquillamente lasciato in pasto ai giornaletti di gossip!
A nessuno è venuto in mente di ricordare che la Morte segna la parola fine sulle vicende umane e sullo squallore di queste vicende, se dovesse esserci.
A nessuno è venuto in mente che esistono parole come riguardo, decoro e riservatezza. Sempre. E, soprattutto, dinanzi alla morte.
Non a caso ed opportunamente, in chiesa, il celebrante del rito funebre ha invitato al silenzio i presenti.
Maledetto ingranaggio, questa nostra TV, macchina infernale dell’Informazione che, quando ti agguanta, ti fa suo prigioniero e non ti lascia più. Come un dannato vampiro, si nutre del sangue e del dolore dei protagonisti dei fatti narrati, da cui, invece, bisognerebbe saper prendere le distanze.
È quanto basta per il giornalismo del servizio pubblico!
Gli alienati del copia e incolla
Che dire di quella moda, oggi trionfante, del giornalismo copia e incolla, a cui abbiamo più sopra accennato? Pseudo giornalismo, stracquo e ripetitivo, nel quale si copia di tutto e di più. Basta sedersi a tavolino, accedere ai vari motori di ricerca del pc, il che significa per molti copiare di sana pianta, di qua e di là, tutto quello che si trova sullo stesso argomento che si vuole trattare, congiungere pezzi e strafalcioni e il gioco del copia e incolla è bello e fatto. Si copia dappertutto: dai quotidiani e dalle testate scientifiche, nella migliore delle ipotesi e per i più dotati. Spesso, sconcertante sorpresa! perfino dai “bugiardini”, che accompagnano i medicinali, dai comunicati, dalle locandine per le mostre … e chi ne ha più ne metta. Ma di preferenza e soprattutto, per i meno capaci, si copia dal web, dai social che, con i loro followers, sono diventati i giornali odierni, grazie ai quali si registrano, e non solo fra i giovani, esasperate dipendenze, sempre più difficili da superare. Si copiano fake news e cavolate varie, fatte passare come le ultime scoperte, gli ultimi ritrovati della Scienza, attraverso like e condivisioni a catena.
Si sviluppa, di qui, l’ascetica, apostolica convinzione di trasmettere un Vangelo, da affidare ai posteri come lascito testamentario per le future generazioni, che ben volentieri seguiranno, forse, le orme dei Padri.
Dove sono quei vecchi direttori di una volta che, nelle riunioni di redazione del giornale, ai giovani che aspiravano a fare praticantato con loro ricordavano, per prima cosa, che la professione del giornalista era dura e non andava presa sotto gamba. E, con bonaria severità, ripetevano: “Scarpinate giovani, scarpinate.” Un verbo molto significativo con cui si ribadiva la difficoltà di una professione, per esercitare la quale, bisognava andare per le vie, le stradine, i vicoli, le piazze della città e della regione, per cogliere, in ogni dove, idee, spunti, fatti, mentre accadevano, mentre si manifestavano.
On-line, tutto si fa per Te e con Te! È il nuovo inno dei nostri giorni. È il nuovo modo di intendere quella che era una gloriosa, gratificante professione. Altro che il faticoso scarpinare, raccomandato dai direttori delle vecchie testate giornalistiche. Oggi un programma televisivo viene costruito col ricorso a stralci di immagini, clip, spezzoni di interviste, di programmi e di talk show. Il tutto proposto e riprodotto all’infinito, fino allo sfinimento dello spettatore.
Non la intendevamo così, un tempo, quella bella ma anche impegnativa e scomoda professione, che ti chiedeva di mettere le ali all’ingegno e alla creatività, con cura artigianale, come per i vecchi mestieri, che vanno scomparendo anch’essi…
(Marzo 2023)
Spigolature
di Luciano Scateni
Voglia di tregua
Scoppia la pace. L’Italia, il mondo intero, nelle piazze dei cinque continenti, si veste di arcobaleno. Si astengono dallo “stop Putin, stop war”, la Cina, perché motivata dalla crescente incompatibilità con gli Stati Uniti e pronta a replicare l’espansionismo neocolonialista della Russia con l’annessione di Taiwan, delle sue ricchezze naturali. Si associano l’India, economicamente dipendente dalla Russia, dalla Cina e la Corea del Nord, succursale di Putin, ma anche alcune oasi territoriali africane. Votano contro, virtualmente, esplicitamente, frange italiche di filo putinismo. La straordinaria mobilitazione di questi giorni è, insieme, tardiva e incalzante. Si fa strada la consapevolezza di retroscena che poco o nulla hanno a che fare con la follia della guerra fratricida, spacciata per rivendicazioni nazionaliste da Putin e Zelensky. L’obiettivo dei due belligeranti è palese: appropriarsi di territori gratificati dalla natura con preziose risorse naturali. Su questa disputa hanno rapidamente speculato i ‘signori delle armi’, i despoti che monopolizzano le risorse energetiche, la politica.
L’incontestabile presupposto dell’aggressione russa a un Paese sovrano ha spento, sul nascere, le istanze del pacifismo, l’impegno alla neutralità attiva, dettata in Italia, e purtroppo non altrove, dalla Costituzione per scongiurare una nuova tragedia, dopo settantacinque anni di quiete mondiale, con alcune eccezioni. A tappe, tutt’altro che forzate, l’idea di una guerra dissennata, non dichiarata, tra Stati Uniti, Europa e grandi potenze dell’Est ha provato a irrobustirsi per contrapporre motivazioni umanitarie alla ignominia di vittime innocenti, città rase al suolo, milioni di Ucraini in fuga dalla loro terra, di vite brutalmente spezzate. Il mondo ha finto di mediare, di collocare Putin e Zelensky uno di fronte all’altro per un risolutivo regolamento di conti. Altrettanti bluff.
A imbavagliare le speranze hanno concorso l’evidente timidezza dei movimenti pacifisti, le indecisioni onnicomprensive di pro Zelensky e pro Putin, il pensiero unico a difesa dell’indipendenza ucraina senza se o ma e, sul fronte opposto, il diritto ad annettere l’Ucraina per impedire l’espansione dell’Europa e della Nato ai confini diretti con la Russia.
Se il mondo si mobilita, se l’Italia fa altrettanto, dopo un anno intero di accettazione quasi passiva della guerra, di forte disagio sociale, di contrapposizioni politiche sterili e ora risponde “presente” alle manifestazioni per la pace, sollecitate dall’accorato appello di Papa Francesco, è forse meno impossibile la missione di far tacere le armi, di sanare il vulnus di un conflitto crudele, di porre fine ai crimini contro l’umanità.
Conforta che Wellington (Nuova Zelanda), New York (Stati Uniti) e, in Europa, Roma, Milano, Napoli, città dove risiedono cittadini russi e profughi ucraini sensibilizzino il mondo sulla tragedia della guerra.
(Marzo 2023)
REPORTAGE DALL’UCRAINA
“Viaggio tra la gente scampata dalle bombe e i feriti ricoverati in ospedale”
A cura di Luigi Rezzuti
Giovanni e Daniele due reporter di una emittente televisiva italiana sono a Dnipro, dove il russo è la lingua corrente ma nessuno vuole diventare russo.
I due reporter si immergono completamente nella realtà della guerra nelle sue storie di sofferenza.
Visitano le strutture di accoglimento dei profughi e l’ospedale dove arrivano decine e decine d feriti.
Sono passati nove mesi dall’invasione cominciata con una colonna di chilometri di carri armati russi che puntavano verso Kyev.
Nove mesi durante i quali sono morte migliaia di persone, soldati e civili, sono state ritrovate fosse comuni lasciate sul campo dai militari dell’esercito russo, ci sono state deportazioni forzate di cittadino ucraino dalle zone occupate verso la Russia e poi violenze e soprusi.
E la pace? Sembra lontana anche se la controffensiva sul campo delle truppe di Zelenski, che ha permesso di riconquistare decine di villaggi e 3.000 chilometri quadrati di territorio e l’azione congiunta di sanzioni e invio delle armi da parte delle Nazioni occidentali., stanno mettendo in grande difficoltà gli invasori.
Alcune persone del posto accompagnano Giovanni e Daniele a vedere con i propri occhi tutte le atrocità, i crimini di guerra del dittatore Putin.
E’un’immersione completa nella realtà della guerra e nelle sue storie di sofferenza.
Giovanni e Daniele vanno a visitare le strutture di accoglienza dei profughi, incontrano Sarhili, 23 anni, ha subito l’amputazione di un piede, spappolato sun una mina; Elena proveniente da Pokrovsk, cittadina della regione del Donetsk, che racconta: “Sono stata prima picchiata più volte e poi violentata dai militari russi”.
Nella stessa stanza dell’spedale Luba, 14 anni, e a sorella Valeria di 10 scampate dalla stessa città, sotto le bombe, ora vivono qui con la mamma.
Oxana, 12 anni, va incontro a Giovanni e Daniele sfoderando il suo inglese e mostra contenta un suo gattino. E’scappata dal suo villaggio con la mamma, la sorella Milana si intristisce e si emoziona quando incominci a raccontare le loro disavventure di guerra.
Yulia, con l’anziana madre e il figlio piccolo ha lasciato Lysychansk, una città di 100.000 abitanti nella regione di Lagansk e racconta la sua storia che è quella di tanti altri: “Era impossibile vivere lì, la nostra casa è stata completamente distrutta. Oggi li non ci sono elettricità, gas, acqua corrente, la gente cucina sul fuoco per strada o nei cortili. Abbiamo contatti sporadici tramite amici, sappiamo che i russi hanno fatto un referendum anche li. Che senso ha, la popolazione è scappata in Europa, chi è rimasto è perché non c’è l’ha fatta ad andarsene. Nessuno vuole diventare russo, quei pochi che sono in Russia li hanno deportati”.
Kostia, 32 anni, minatore di carbone, viene da Vugledar, nella regione del Donetsk, la città e il suo ospedale sono stati bombardati dai russi e racconta: “I bombardamenti erano quotidiani, ci siamo rintanati nei rifugi sotterranei, i russi hanno sferrato un grande attacco, io e un amico siamo stati colpiti da un colpo di mortaio, lui ha perso una gamba e un braccio, io sono stato ferito gravemente alle mani, allora non ho potuto fare altro che scappare, aiutato dai soldati ucraini”.
Nel racconto Kostia diviene un fiume in piena: “i russi devono essere isolati dalla società civile con sanzioni, altro che liberazione, quello che stanno facendo è un genocidio, se qualcuno pensa che noi dobbiamo smettere di combattere, dovrebbe venire qui. Se noi smettessimo, perderemmo la nostra libertà e anche la nostra vita”.
Nella stessa struttura di accoglienza vi sono persone disabili e famiglie numerose che non hanno potuto ancora trovare una sistemazione o che, semplicemente, non vogliono saperne di andarsene lontani, in un paese che è di loro, rimangono vicini alla loro terra.
Uno di loro racconta: “quando è cominciata la guerra a Kharkiv era difficile capire cosa stesse succedendo, ci siamo rifugiati nei tunnel della metropolitana, come quasi tutti quelli che non hanno potuto scappare. Siamo stati svegliati dalle bombe russe all’alba, poi Kharkiv è stata bombardata molte volte al giorno e anche di notte. Abbiamo passato quattro mesi così, poi siamo venuti qui e ora aiutiamo gli altri profughi. Ora a Kharkiv si vive meglio, perché i nostri soldati hanno spinto via i maledetti”.
Nella stessa struttura si trovano molti anziani, anche loro partecipano alla difesa del paese producendo reti mimetiche e quant’altro di utile riescono a fare per i soldati ucraini.
Giovanni e Daniele si recano all’ospedale principale della città, è l’ospedale di riferimento per i soldati feriti che arrivano dalla prima linea, decine ogni giorno.
Medici e infermieri lavorano e operano giorno e notte, molte sono le amputazioni, Oleksi e Olexandr hanno studiato assieme all’università, ora il primo è il primario del reparto di traumatologia ortopedica e il secondo è chirurgo vascolare nel reparto politraumatizzati.
Hanno appena terminato di operare e anche se stanchi parlano volentieri del loro lavoro: “Non mancano risorse umane e competenze professionali di ottimo livello, c’è grande bisogno invece di strumenti diagnostici moderni”.
In una stanza trovano in quattro letti i soldati feriti, non sembrano stare male, anche loro non hanno remore a parlare di quello che gli è accaduto.
Vladimirio e il suo compagno di stanza hanno subito le operazioni per la riduzione di importanti fratture e anche loro hanno voglia di parlare: “vogliamo tornare al fronte appena sarà possibile, siamo motivati, vinceremo di sicuro, ma non abbiamo abbastanza armi moderne. Dateci più veicoli blindati per il trasporto dei soldati, voi italiani ne avete di buoni e molto apprezzati in Ucraina. Finiremo prima la guerra”.
L’Ucraina che Giovanni e Daniele hanno incontrato e visto di persona oggi è un paese unito dalla sofferenza, dall’orgoglio e dalla volontà di vincere.
(Novembre 2022)
SPIGOLATURE
di Luciano Scateni
La speranza? Il dissenso
Lituania, match di basket Zalgiris, squadra locale contro i russi della Stella Rossa. Prima del pallone alzato tra i due pivot i giocatori dello Zalgiris espongono un lungo striscione con la scritta ‘NO WAR’ e sul fondo i colori della pace. La squadra russa, fischiatissima rifiuta di partecipare e non regge il panno. Per fortuna è un episodio senza repliche. L’opposto: sul palco del San Carlo, a Napoli artisti russi e ucraini cantano uno accanto all’altro e si abbracciano. Nessuna esultanza di Aleksej Miranchuk, giocatore russo dell’Atalanta, dopo il gol segnato alla Sampdoria, dove milita l’ucraino Malinovskji. Sono tanti gli atleti russi che dissentono dall’invasione ordinata da Putin. Partecipano solidali all’inferno dei fratelli ucraini, specialmente di quelli in armi per difendere il loro Paese: Yevhen Malyshev, non ancora ventenne, della nazionale giovanile di biathlon, ucciso in combattimento, l’ex campione di ciclismo Andrei Tchmil, il fuoriclasse del nuoto Mykhaylo Romanchuk, Yuliia Dzhima, oro olimpico nella staffetta del biathlon a Sochi, il collega biatleta Dmytro Pidruchnyi, campione del mondo dell’inseguimento a Oestersund 2019, Dmytro Mazurtsjuk, in gara per le Olimpiadi di Pechino nella combinata nordica, i pugili Vasyl Lomachenko, campione olimpico dei pesi leggeri e del mondo in tre diverse categorie, Oleksandr Usyk, campione del mondo dei pesi massimi, i fratelli Klitschko. In tuta mimetica anche il tennista Stakhovsky, vincitore di Roger Federer a Wimbledon nel 2013. Il commento di Pessina, compagno italiano di squadra: “Il calcio unisce ciò che la follia umana prova a dividere”.
Putin deve rispondere anche dell’esclusione di squadre e atleti russi e ucraini da molti eventi internazionali. Per esempio i campionissimi del tennis Medvedev e Rublev, Wkaterrina Gamova, una delle più grandi pallavoliste di sempre: “Questa pagina vergognosa rimarrà per sempre nella storia del mio Paese”.
Il Levada Center, che in Russia compie sondaggi, al pari del nostro Pagnoncelli, si definisce organizzazione indipendente e non governativa. Da crederci? In Russia esiste l’indipendenza? Fosse vero il dato di Putin popolare all’83 percento, dello stesso zar candidato al processo per crimini contro l’umanità, la scelta di ragionarci su sarebbe confinata nei limiti del ‘non abbiamo capito niente dell’aggressione in Ucraina’, o ‘del popolo russo con il cervello in standby’, che offuscato dalla propaganda ossessiva di regime subisce il condizionamento noto alla psicanalisi come subordinazione di un popolo all’uomo ‘forte’ o che si auto rappresenta come tale in tempi di emergenza. La terza via è una forma misteriosa di masochismo, che ignora le dure conseguenze delle sanzioni, che non crede alla strage di innocenti raccontata da immagini terrificanti, emotivamente inguardabili. La stranezza è evidentissima: secondo Levada Center il consenso per quello che il mondo condanna come criminale sarebbe balzato in su. Ma allora, è invenzione dei cattivi nemici di Putin il numero crescente di dissidenti russi di ogni categoria sociale? Molti i esperti, lo sottolinea il Wall Street Journal, invitano alla cautela sull'affidabilità dei sondaggi in Russia nel momento in cui i principali media indipendenti sono stati messi al bando e quindi la popolazione, in particolare quella dei centri urbani minori lontani da Mosca e San Pietroburgo, è informata sulla guerra solo dai media di Stato con la loro propaganda. La controprova è nei mille volti dei dissidenti: intellettuali, artisti, religiosi, sport, cinema, scienza.
La dissidenza si muove e si sta ampliando un fronte interno di opposizione.
Tra i fermati il sociologo Grigory Yudin, Maria Alyokina delle Pussy Riot, il vicepresidente della sezione di Mosca del partito d’opposizione Yabloko, Kirill Goncharov. Alekseij Navalny ha fatto un appello attraverso i social ai russi perché non diventino “vigliacchi che fingono di non notare la guerra aggressiva scatenata dal nostro folle zar contro l’Ucraina”, la giornalista di Kommersant Yelena Chernenko, espulsa dal pool di giornalisti del ministero degli Affari Esteri. Il direttore artistico del Teatro statale di Mosca è stato licenziato per un post critico su Facebook. La direttrice del Centro Elena Kovalskaya si è dimessa per protesta contro la guerra con l’Ucraina. Sospeso anche il direttore d’orchestra dell’Opera di Novgorod Ivan Velikanov per un breve discorso di ripudio della guerra e l’esecuzione dell’Inno alla gioia di Beethoven. Contro la guerra, anche il regista teatrale Lev Dodin, l’attrice e conduttrice televisiva Julia Menshova, Anatoly Bely e Sergey Lazarev, l’attrice Elizaveta Boyarskaya, la cantante lirica Anna Netrebko”. Appello alla riconciliazione e alla fine della guerra di alcuni sacerdoti della Chiesa ortodossa russa. Putin all’83 per cento?
(Aprile 2022)
Spigolature
di Luciano Scateni
Habemus papam
e che papa!
L’intero pianeta dell’informazione si è giustamente appropriato di un evento inaspettato, di altissimo profilo giornalistico, di un ‘caso’ che chiarisce e coincide perfettamente con il significato di ‘scoop’, che ogni direttore di quotidiani e settimanali vorrebbe esibire: lunga, intensa, affascinante presenza di Papa Francesco nello spazio televisivo di ‘Che tempo che fa’. Per non perdere neppure una virgola del colloquio a distanza di Bergoglio con Fazio, non c’è che leggere i resoconti pubblicati dai media o recuperare il filmato su Rai Play. In poche righe si può solo proporre un campionario parziale di termini e tentare di definire la statura universale di Bergoglio: saggezza, solidarietà, lungimiranza, cultura, bontà, pacifismo, serenità, ottimismo, simpatia, empatia, tolleranza, accoglienza, sensibilità, umiltà, amore, altruismo, rispetto, comunicatività, elegante umorismo, fascino...
Buona, confortante, la notizia del Covid che sembra perdere virulenza e mutare in forme ‘più umane’ e che potrebbe presto ridimensionarsi a patologia stagionale, simile all’influenza. L’ottimismo ha una sua ragione perché nasce nel cuore dell’inverno, stagione potenzialmente soggetta a pericolose impennate di diffusione del virus. Di qui le previsioni della scienza di un auspicato recupero della normalità per la prossima primavera. E che dire^ Se son rose, fioriranno.
La classe non è acqua, tanto meno lo charme dell’avvocato Agnelli che ne ha lasciato a iosa in eredità. La prova ieri sera, sul tardi: in vista di osservare spazio e commenti Rai del Tg2 Sport dedicati al 2 a 0 del Napoli in trasferta a Venezia, abbiamo atteso, con infinita e non rassegnata pazienza, il the end di conduttori e ospiti soggiogati dal fascino indiscreto della Juventus, che ha monopolizzato la rubrica sportiva della televisione pubblica per una buona mezz’ora. I poveri protagonisti del meticoloso, dettagliato, pignolo racconto del 2 a 0 della vittoria juventina sul modesto Verona, hanno vissuto, con evidente disagio, l’onere di aggrapparsi a ogni minimo spunto per giustificare il tg sport a tinte uniche, in bianconero. Nel tentativo di ingannare i tempi di attesa abbiamo intuito che, nel rispetto del bon ton ereditato dall’Avvocato, i successori si sono imposti di non pubblicizzare l’estensione dell’impero mediatico della Fiat (giornali, Tv, radio) al segmento di informazione sportiva della Rai. La scoperta ha sollecitato un ovvio raffronto con le testate del gruppo Gedi. Nessuna sorpresa: per dire della ‘strabiliante’ vittoria della Juventus sui poveri veneti, il quotidiano confindustriale, comprato dagli Agnelli, ha usato il massimo carattere tipografico e il titolone domina il paginone di ‘Repubblica
(Febbraio 2022)
SPIGOLATURE
di Luciano Scateni
L’invito. Rai 3 “Generazione Bellezza”
Sarebbe interessante affidare al responso dei sondaggi il quesito: “Quanti followers del conduttore televisivo che il gossip classifica come il più sexy e che gli utenti Rai assolvono a pieni voti per la lettura condivisa-contestata di ‘Stanotte a Napoli’, hanno pari empatia per
Emilio Casalini, autore e conduttore di “Generazione Bellezza”, che precede “Un posto al sole” e racconta di qui al 9 gennaio un’Italia ‘altra’, ovvero storie di coraggio e creatività di persone e luoghi da Nord a Sud, non di Venezia, Roma, Napoli, Firenze, ma di piccole isole del miracolo italiano, ignorate dai sontuosi programmi che Alberto Angela e Corrado Augias propongono, anticipati e seguiti dal tam tam di ripetuti spot promozionali. Casalini e il suo percorso professionale, ricco, intenso, ben oltre i curricula di giornalisti più famosi e meno impegnati a raccontare realtà drammatiche o, nel caso di ‘Generazione bellezza’, realtà stupefacenti ma ignorate, ritenute poco idonee ai grandi ascolti televisivi. Dunque Casalini: premi giornalistici (‘Ilaria Alpi’, e il ‘Baldoni’ sulla condizione dei ragazzi iraniani), laurea in Relazioni internazionali, fotoreporter di settimanali, autore di documentari sull’Europa orientale, dell’inchiesta “Invisibili siete voi” sul lavoro minorile, collaboratore di Rai News (campi profughi in Albania), autore del programma “Dagli Appennini alle Ande” (sfruttamento petrolifero della Guinea), inviato di ‘Report’ (sull’ambiente), di Rai Educational, autore di Crash (caporalato in Puglia), inviato in Iran, sua l’indagine sui rifiuti tossici italiani provenienti dalla Cina, collaboratore del Corriere della Sera.
“Generazione Bellezza” esemplifica come poco altro delle reti pubbliche e commerciali un possibile modello alternativo alla ‘paccottiglia’ imposta da interessi commerciali (pubblicità) che infliggono ai telespettatori un ignobile mix di banalità, volgarità, superficialità, di valori opposti all’etica, dosi massicce di pettegolume, con poche eccezioni di televisione ‘no trash’, per merito di isole d’alto profilo come appunto “Generazione bellezza”, alla sua seconda stagione. In 15 puntate, Casalini propone progetti, storie di persone e comunità, che disegnano il loro destino con intelligenza creativa, intraprendenza e valorizzano l’identità dei territori, generano bellezza, economia sostenibile, condivisa. Il viaggio sosta dentro luoghi e visioni dell’Italia orgogliosa di se stessa, che non si lamenta e crea spazi dove vivere bene ed essere felici. Mostra paesaggi, tradizioni, agricoltura, archeologia, artigianato, architettura, enogastronomia, arte, cultura, natura, connessioni tra le persone, i saperi e i patrimoni disponibili di persone comuni, replicabili ovunque, che lavorano per realizzare sé stesse e la terra in cui vivono.
Le puntate di questa seconda serie hanno narrato “Il sogno di una comunità”, quella di Sciacca, in Sicilia, che vince la crisi con la decisione di diventare coesa, competente e consapevole del valore di ciò che la circonda, che crea un turismo di comunità sostenibile, duraturo nel tempo. “Il teatro di Andromeda” è la visione di un pastore che dà voce alla sua anima di artista e con le sue mani costruisce un teatro di pietra in cima ad una montagna nel centro della Sicilia, strumento perfetto per godere la sontuosità del paesaggio circostante. “Le panchine della felicità”, idea geniale di Chris Bangle, famoso designer di auto che ha scelto l’Italia e inventa le ‘panchine giganti’, collocate opportunamente per godere i suggestivi panorami delle Langhe e attrarre migliaia di turisti. “Va’ zapp, vai a zappare” dice di Giuseppe Savino, contadino foggiano dal coraggio visionario, che introduce la bellezza nella campagna, con la consulenza di architetti della sua terra che la ridisegnano per un’agricoltura delle relazioni, un profitto giusto e la sconfitta del caporalato, dello sfruttamento del lavoro. Da non perdere “Il sindaco”, racconto del coraggio di Angelo Vassallo, sindaco di Pollica, che ha protetto la sua terra dall’abusivismo edilizio e oggi ha lasciato il suo comune come un modello di sviluppo sostenibile, dove anche un bambino di 6 anni, da grande vuole fare il sindaco. Insomma visioni di territori in recuperata armonia. Parlarne, come fa questa nota, è lontano anni luce dalla qualità, dall’unicità, dall’impegno civile di ‘Generazione Bellezza’ che la Rai farebbe bene a promuovere come esempio di buona, buonissima televisione e a pubblicizzare quanto, se non di più, di programmi simili, ma non di pari “Bellezza”.
(Gennaio 2022)
Spigolature
di Luciano Scateni
“Soy Giorgia, soy mujer…alalà”
La Treccani, Corte Suprema che tutela la ricchezza della lingua italiana, a proposito di ‘Repulisti’ sentenzia che, in senso figurato, vuol dire “allontanamento di persone corrotte o sgradite. È quanto il Paese chiede per essere liberato dai rigurgiti di nazifascismo”. Piazza pulita non è solo il format che ha chiamato in causa i vertici di Lega e Fratelli d’Italia, collusi con il marcio dei nazifascisti che gravitano nella loro orbita. È anche il titolo della consapevolezza, finalmente acquisita, della minaccia alla democrazia italiana che si ritrova alle prese con possibili riedizioni del maledetto Ventennio, testimoniate da innumerevoli episodi di violenza e di aperta apologia. Certo, l’urgenza è spazzare via il pericolo con lo scioglimento e la successiva, permanente attenzione, perché non si ricostituisca con altre sigle e identica ideologia. Un auspicio: che già da domenica prossima con i ballottaggi, l’Italia nata dalla Resistenza dimostri di riconoscersi indissolubilmente democratica ed elegga i sindaci del centrosinistra. In particolare sarebbe significativa la bocciatura del candidato della destra per Trieste, il sindaco uscente Di Piazza, sorpreso a dire ‘presente’ a un congresso di Forza Nuova. E poi, fossi Lamorgese, il capo della polizia, il generale comandante l’Arma dei Carabinieri, il premier Draghi, un alto magistrato, un inviato di Fan Page, testata che ha smascherato le complicità della destra con i neofascisti, mi porrei l’obiettivo (e mi dannerei per risolverlo) di accertare senza margini di dubbio un responsabile No Vax che ha infettato una vittima del Covid, per processarlo e condannarlo esemplarmente. Pensate che sia esaustiva la decisione di sospendere tale Nunzia Schilirò, vicequestore Schilirò, protagonista di un comizio contro il green pass? Errore, è da licenziamento in tronco.
Il rifiuto di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia di rispondere con la loro presenza alla mobilitazione democratica contro l’attentato fascista alla Costituzione, l’assalto alla sede della Cgil devastata, la violenza che ha sconvolto Roma, conferma il filo doppio della destra italiana con il neofascismo che si fa strada in aree non marginali del mondo.
La borgatara Meloni, durante un comizio fascista di Vox a Madrid ha esportato, urlando come un’assatanata, il gingle da fuori di testa “Soy Giorgia, soy mujer, soy madre, soy italiana, soy cristiana e nessuno me lo può togliere”. Mentre veniva assaltata la sede della Cgil, e la Capitale era scossa dalle violenze di gruppi neofascisti, dallo stesso palco ha parlato sì di violenza, ma aggiungendo “non so di che matrice”. Ora che l’Italia si mobilita per delegittimare l’eversione fascista, cominciando da Forza Nuova, la ‘soy Giorgia’ accusa il Pd di volerla cancellare dallo scenario politico italiano e mente, lo scioglimento si riferisce solo a Forza Nuova.
La richiesta impegna il Governo “a dare seguito al dettato costituzionale in materia di divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista e alla conseguente normativa vigente adottando i provvedimenti di sua competenza per procedere allo scioglimento di Forza Nuova e di tutti i movimenti politici di chiara ispirazione neofascista artefici di condotte punibili ai sensi delle leggi attuative della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione repubblicana”.
(Ottobre 2021)