Il Vomero greco-romano
di Antonio La Gala
Un luogo comune che riguarda il Vomero è che la collina vomerese sia un luogo “senza storia” e che, prima dell’edificazione di fine Ottocento, “non c’era niente”.
Il Vomero, invece, fa parte di quelle antiche località periferiche, poi inglobate nella città di Napoli, che hanno vissuto, in modi diversi, la storia della città assieme a vicende di storia propria, di cui conservano, bene o male, testimonianze.
Per molti può destare sorpresa sapere che il Vomero può vantare una storia più che bimillenaria, un suo “periodo greco-romano”. Infatti è ragionevole ipotizzare che sulle colline napoletane la storia si affacci con i Greci, come per il resto della città.
Ai primi marinai greci che si addentrarono nel golfo di Napoli, il profilo delle colline appariva come un susseguirsi di pareti, molto più impervie e accidentate di quanto ci appaiano oggi, in un’alternanza di tufo giallo e di verde brullo, da cui scendevano irruenti acque piovane.
Una volta sbarcati nella nuova terra, come usavano fare quando occupavano un nuovo sito, essi dettero ai luoghi nomi che ricordavano la loro patria. La boscosa altura dei Camaldoli la dedicarono ad Hera (la dea dei boschi); l’altura di San Martino la riservarono a Zeus. Già erano interessati al Vomero, magari in un primo tempo da lontano, ma lo elessero subito come il loro nuovo Olimpo.
La Neapolis greca, pur avendo funzione di centro commerciale e di smistamento dei prodotti dell’entroterra campano, rimase entro la cerchia delle mura.
Che rapporti ebbero i Greci di Neapolis con i Greci collinari “fuori le mura”? Quando? Noi, almeno documentatamente, non sappiamo niente.
Per la scarsissima densità abitativa della collina, i greco-vomeresi non ci hanno lasciato ricordi, ma sappiamo che il Vomero, trovandosi situato fra gli insediamenti greci dell’area flegrea e la greca Neapolis, era per sua natura zona di transito fra Greci, divisi dall’altura di Posillipo, i quali attraversavano la collina lungo primitivi percorsi per via di terra, creati dal continuo calpestio, alternativi a quelli per via di mare, percorsi che i Romani in epoca imperiale unificarono e sistemarono in una solida strada, molto importante perché collegava, per via di terra, il gruppo di strade che, da Roma, si avviavano verso Napoli, facenti capo a Pozzuoli, con la città già urbanizzata, Neapolis.
Chiamarono questa strada “Via Puteolis-Neapolim per colles” (via da Pozzuoli a Napoli attraverso le colline), una comunicazione che è stata determinante per lo sviluppo insediativo del Vomero, perché ha propiziato lungo il suo percorso, nei punti in cui avvenivano scambi oppure i viandanti si fermavano, la nascita di aggregati abitativi (esempio: Antignano), che costituiranno il tessuto storico del quartiere collinare: la matrice degli insediamenti della collina.
I Romani, subentrati ai Greci nel 326 a.C., chiamarono la collina vomerese Paturcium, nome che, secondo Ovidio, deriva da Patulcius, un soprannome del dio Giano: fatto scendere dal Vomero Giove, vi fecero salire Giano.
In questa nuova realtà in cui Neapolis entrava in rapporto più stretto con i suoi dintorni, la collina vomerese, per la sua posizione rispetto alla città, si trovava a svolgere una doppia funzione: ancora quella di zona di collegamento con l’area flegrea e inoltre quella di area di apertura verso le campagne a nord della città.
Come si presentava la collina in periodo romano?
Nella campagna al di fuori del centro abitato, cioè nell’ager prossimo alla città (quindi anche sulle colline), dove la popolazione viveva di agricoltura, limitata alle esigenze dell’autoconsumo (orti, colture di cereali, vite), i Romani stabilirono i Praedia, case suburbane che combinavano abitazione di campagna e fattoria, entità autosufficienti, più vicine alle masserie che a ville.
Il Vomero era un sito panoramico, come Posillipo, ma non vi abbiamo rinvenuto tracce o notizie documentate di sontuose ville come quelle di Posillipo.
Nei secoli di presenza romana l’atmosfera generale della collina e la vita quotidiana dei suoi abitanti non doveva essere molto diversa da quella contadina. L’alimentazione era quella del proprio orto, che forse offriva ai contadini qualcosa in più del pasto abituale dei poveri che vivevano nella città, per i quali consisteva in una brodaglia di cereali, conditi con aglio e cipolla.
Per la scarsissima densità abitativa anche il vomerese “romano” non ci racconta molto di sé, se non qualche traccia lungo la via per colles.
In definitiva Greci e Romani, comunque, ci hanno lasciato quanto basta per contraddire il luogo comune che il Vomero è un luogo “senza storia”.
(Ottobre 2020)