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Sulla battigia

 

di Alfredo Imperatore

 

Luciana dell’Angelica, a più di un lustro dalla menopausa, conservava, nella perfezione delle sue forme snelle e armonicamente modellate, nell’epidermide bruna, soffice e vellutata, nel volto senza rughe e negli occhi neri, tutta la freschezza della ormai lontana pubertà.

Quando la sua piccola mano nervosa fendeva, con moti brevi e incisivi, l’aria davanti a sé, nel fervore della sua oratoria calda e stringata, non si sapeva se ammirare di più la dialettica martellante o la musicalità tonale della voce appassionata.

Si era soggiogati, avvinti e costretti senz’altro ad assentire alle conclusioni delle sue tesi, che, con novità di perfette sillogistiche argomentazioni, sviluppava sull’orditura robusta della sua chiara intelligenza e della sua enciclopedica cultura.

Le sue liriche, nate dall’animo sereno, nella sua norma di concezione, materiatesi poi in una regola di vita, unitesi inconsapevolmente così da formare un’entità sola: l’essenza, la sostanza e le sensazioni della sua individualità psico-fisica; insieme cantavano non sui metri fissi della prosodia, ma sulla libera e immensa orchestra delle infinite vibrazioni del suo animo musicale.

Tutta la gioia di vivere la sua vita, microcosmo inconfondibile nel cosmo universale: gli astrali misteri, i palpiti di ogni creatura, l’acqua e la terra stessa, in un susseguirsi di rivelazioni e d’interpretazioni, proiettavano nel suo pensiero verità nuove che, nelle sue parole e nei suoi scritti, si offrivano all’attonita ammirazione degli uomini, con una chiarità solare.

In Luciana dell’Angelica, donna vera nella materialità corporea, si erano spenti, se pure erano mai vissuti, gli impulsi del sesso. Era sempre stata pura, ma senza fatica, senza travaglio di rinunzia, quasi fosse stata la sua entità naturale, differenziata nella specie umana, come attratta nei vortici di una forza ignota e riplasmata, con un processo di formazione nuovo, in un tipo ideale di donna.

L’amore, come affezione o come appetito, non l’aveva mai conquistata, nonché sfiorata.

Eppure, quante volte, le brame mascoline l’avevano avvolta in vampe di lussuria, che il suo corpo flessuoso e vibrante disvelava alle concupiscenze di ardori inesausti!

Quanto spesso alte menti e nobili cuori, avevano vagheggiato rispondenza e accoglienza! Ella passava indifferente, come la salamandra tra le fiamme, nei vulcani dei desideri, che il mondo le accendeva intorno.

La sua carne, nella purità incontaminata, non soffrendo e non gioiendo, si saturava di perfezione e gli anni la rendevano più desiderata.

Nella sua arte e nella sua bellezza quasi si trasumanava.

“Luciana - le aveva detto, sul finire dell’inverno, la sua amica signora D’Arsi - spero che nell’estate verrai a farmi visita a Capri.”

L’isola è unica nel grigio-perla dell’aria, nell’ultima ora di sole ferragostano, sui declivi della collina che si rispecchiano nelle chiare acque al verderame di Marina Piccola; gli alberi e i fiori quietano l’affanno della calura, sofferta nell’attesa della propiziatrice ombra serale.

Giunta l’estate, Luciana dell’Angelica, mantenne la promessa fatta all’amica D’Arsi, e si recò nell’Isola Azzurra.

Quivi, un pomeriggio, Luciana, stando supina sull’arenile di Villa D’Arsi, col capo appoggiato al tronco di un’acacia odorosa, rileggeva l’ultimo volume delle sue liriche, ancora fresco di tipografia, sentendosi parte del tutto, parte della natura stessa.

Silenzio di membra e cose stanche tutt’intorno. Lontano, sul mare, qualche barca abbandonata all’accidia delle onde.        

Un lieve accappatoio copriva appena le sue nudità audaci.

L’acre profumo delle alghe e la salsedine dell’aria a poco a poco la narcotizzavano.

Ella si assopì.

                                                  ***

Il sole naufragava lontano nel suo epilogo diurno e la sera stendeva lentamente il morbido, mesto velo.

Un’ondata di calore si spandeva alla radice dei capelli e le scorreva dal collo al seno, sgusciato dall’accappatoio nell’abbandono del sonno.

Appena svegliata, non osava voltarsi, non sapeva e non voleva sottrarsi a quella morsa impalpabile, che pure l’irretiva in maglie tenacissime.

Tra panico e delizia, la sensazione di stordimento che la rendeva immobile.

Poi, come piegata da una potenza misteriosa, volse la testauava a  di lato a guardare: inginocchiato nella sabbia, a due passi da lei, le mani a terra e il dorso inarcato e fermo sulle braccia, il collo teso, due occhi bramosi, quasi di rapina, un giovane la osservava attentamente. Un volto giovanissimo, diabolicamente bello e pauroso, quasi un fanciullo, continuava a guardarla con insistenza.

Affascinato e fascinoso, squassato dalla violenza dell’istinto, acceso dalla visione improvvisa di una polpa mai addentata, fremeva accanto a lei, nelle implacabili volute di una formidabile forza, inconscia e predace.

Luciana allungò la mano tremula sul capo del maschio, come se volesse carezzarlo o respingerlo.

Si rotolarono nella sabbia ancora tiepida, sul filo d’acqua della battigia.

                                                     ***

Rimasta sola, Luciana raccattò il suo volume di liriche, ancora odorante di tipografia: lo guardò, rigirandolo fra le mani. Poi, con un gesto semplice e quasi solenne, lo lanciò fra le onde.

(Novembre 2020) 

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